Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia

Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia

mercoledì 27 ottobre 2010

Nucleare? piatto ricco mi ci ficco!!

Le centrali nucleari richiamano alla mente un tipico proverbio toscano "piatto ricco mi ci ficco". Ed è proprio così, il ritorno al nucleare in Italia è un gigantesco affare che preparerà una grande abbuffata alla cui tavola siederanno tanti commensali avidi di denaro e di potere.

Converranno a quella tavola: l'industria meccanica nazionale in crisi che pensa di rigenerare le vecchie competenze nucleari o di riconvertirsi ad esso; le lobby transnazionali dell'energia in cerca di una nuova verginità, visto che l'era dei combustibili fossili sta per finire; i vari tecnici ed esperti nucleari dispersi e silenti per molti anni e oggi in cerca di occupazione ben retribuita; un esercito di consulenti di lusso per ingrassare le loro tasche e infine pseudo intellettuali super pagati per convincerci che il nucleare è cosa buona e giusta. Mi riferisco in primis a Umberto Veronesi ormai nominato Presidente dell'Agenzia Nazionale per la Sicurezza Nucleare, il quale utilizza il suo titolo di oncologo di fama internazionale per fare l'imbonitore e il piazzista di centrali nucleari a giro per l'Italia.

Il nucleare, invece, per il nostro paese è solo e soltanto un grande affare e non, come ci raccontano, la novella di una grande opportunità per diminuire l'effetto serra che riscalda il pianeta, perché produrrebbe molta meno CO2, o perché darebbe un contributo significativo alla produzione di energia elettrica e all'occupazione.

Quello dei bassi costi è un grande inganno che si fonda sul fatto che nel costo del nucleare non si include tutta la filiera che va dall'estrazione di uranio in miniera al suo trasporto, alla costruzione dell'impianto, agli incentivi per i comuni che ospitano l'impianto stesso (cioè la monetizzazione del rischio), all'immagazzinamento dei residui radioattivi di bassa e media intensità vicino l'impianto fino allo smaltimento delle scorie ad alta attività e allo smantellamento della centrale alla fine del suo funzionamento.

Se ciò venisse fatto, il costo del Kwh nucleare già ora sarebbe comparabile addirittura a quello prodotto attraverso il solare fotovoltaico. Si tace su tutto ciò, perché altrimenti la società si ribellerebbe e chiederebbe immediatamente, in alternativa, l'utilizzo delle fonti rinnovabili di energia.
Calcoli fatti da esperti a livello internazionale dimostrano che la CO2 prodotta dal lungo ciclo del nucleare, a parità di potenza installata, è paragonabile a quella prodotta da una centrale a carbone.
Né durante la fase di esercizio dell'impianto, perché la centrale nucleare emette continuamente elementi radioattivi di bassa e media attività, né soprattutto perché sino ad oggi nel mondo non si è ancora risolto in modo sicuro lo smaltimento delle scorie di alta attività.

Chi può, infatti, garantire lo smaltimento definitivo del plutonio o di altri elementi la cui attività radioattiva può durare per un periodo di oltre 100mila anni ?
E poi, anche se si trovasse il sito teoricamente adatto e la tecnica più idonea per il compattamento delle scorie, chi può garantire il controllo del sito per le migliaia e migliaia di anni necessari?

Allora, invece di inseguire le chimere di un nucleare economico, ecologico e sicuro che non c'è e non ci sarà, almeno in una scala di tempi ragionevoli, adottiamo programmi di risparmio, di efficienza dell'energia e di sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili (solare, eolico, ecc) da promuovere in ogni territorio e in ogni settore (fabbriche, scuole, ospedali, abitazioni, ecc).

E per questo attiviamoci e raccogliamo più firme possibili sul Disegno di Legge di Iniziativa popolare "Sviluppo dell'efficienza energetica e delle fonti rinnovabili per la salvaguardia del clima" in modo da affermare il principio che il No al nucleare sta nelle cose, perché esiste un'alternativa a portata di mano che è più ecologica, più sicura e che può offrire opportunità di lavoro e buona occupazione stabile e diffusa su tutto il territorio nazionale anche attraverso la promozione della ricerca e di attività produttive innovative e qualificate.

mercoledì 20 ottobre 2010

L’assessore regionale Salvatore Allocca sul tetto, per denunciare l’attacco senza precedenti del Governo allo stato sociale, ai diritti di cittadini

L’assessore regionale Salvatore Allocca: “Il Governo fa macelleria sociale: i cittadini e i lavoratori sono parte lesa, così come Regioni ed enti locali. Sul tetto per denunciare una situazione insostenibile che chiede anche agli amministratori il massimo di contrasto e mobilitazione”

I cittadini ed i lavoratori sono, insieme alla Regione Toscana, parte lesa.
Il decreto legge n. 78 del 2010 “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”arriva dopo una crisi economica a lungo negata che ha impoverito le famiglie e colpito il tessuto produttivo del paese.

L’impianto della manovra non ha alcuna posta destinata allo sviluppo ed alla equità, ma ha come unico riferimento la riduzione della spesa pubblica di Regioni ed EE.LL. e, con essa, la riduzione della quota destinata agli interventi sociali, al trasporto pubblico, al sostegno dell’occupazione, il non rifinanziamento degli ammortizzatori sociali, alla sanità, alla scuola.

Una riduzione drastica che arriva alla fine di un triennio in cui il governo Berlusconi aveva già messo ripetutamente le mani nelle tasche degli Enti Locali e quindi dei cittadini a cui sono destinati i servizi. Basti ricordare:
il Fondo Nazionale Politiche Sociali (FNPS), trasferito alla Regione, passato dai 62,677 milioni di euro del 2007 ai 24,904 del 2010 ed erogati ad oggi solo al 50%, le risorse per la salute incrementate di percentuali molto al di sotto dell’inflazione sanitaria, il ridimensionamento del fondo per il sostegno agli affitti fino ad una cifra nettamente inferiore ad un premio del superenalotto, il perdurare dell’assenza di una concreta politica per la casa.

E’ alla fine di questa cura che arriva, con il Decreto 78, il taglio per la Regione Toscana di 320 milioni di euro per il 2011 e di 360 milioni per il 2012. Una somma a cui si aggiunge quanto negato a Province e Comuni dello stesso territorio. Una somma che chiama la Giunta Regionale ad uno sforzo enorme per chiudere in pareggio e senza esercizio provvisorio, il bilancio di previsione 2011. Un pareggio da conquistare attraverso l’eliminazione virtuosa degli sprechi, attraverso la riduzione drastica dei costi di funzionamento della macchia amministrativa e della rappresentanza politica, attraverso la razionalizzazione della erogazione dei servizi, ma un pareggio che non può non prevedere, vista la consistenza della diminuzione delle entrate, inevitabilmente misure dolorose per i lavoratori e per gli utenti.

Ogni servizio lascia sul campo una fetta importante di risorse, mentre il “patto di stabilità” impedisce anche l’utilizzo di somme presenti nei bilanci ed altrimenti immediatamente disponibili producendo ritardi ingiustificabili nella riscossione di somme dovute agli enti locali, alle imprese di servizi, ai fornitori.
La condizione di “pareggio” può essere raggiunta oggi superando il limite della sostenibilità sociale, ma come ulteriore elemento di preoccupazione, dovendo ricorrere anche a misure una tantum, non può essere riprodotta per più di un esercizio senza spingersi molto oltre questo limite.

Occorre quindi non assuefarsi alla cura Tremonti e rilanciare l’iniziativa affinché siano chiare le responsabilità dei tagli ed affinché si determino le condizioni per un cambio di politiche che mettano finalmente mano alla ridistribuzione della ricchezza ed al rilancio dei consumi interni compressi dalla crisi.
Lavoratori e famiglie non possono continuare a vedere peggiorare la loro condizioni di vita attraverso il combinato disposto della diminuzione del reddito e dei servizi erogati.

Occorre un netto profilo di opposizione al Governo di destra ed alla sua politica economica.
E’ necessario impedire che l’applicazione del “federalismo” divenga un nuovo centralismo a trazione leghista e che le Regioni vedano garantito un efficace sistema di perequazione insieme ad un reale spazio di autonomia impositiva.
In questi mesi centinaia e centinaia di lavoratori sono saliti sui tetti per difendere assieme al loro posto di lavoro, le fabbriche delocalizzate, i diritti e la dignità di tutti.

Lo hanno fatto i lavoratori!

Può farlo anche qualche amministratore, a Firenze come in altre città, qualsiasi sia l’istituzione in cui esercita il proprio compito. Può farlo denunciando i problemi senza rinunciare a cercare le quotidiane soluzioni. Può farlo in Toscana come altrove, per chiedere una svolta nel governo dell’economia, per chiedere da subito lo scorporo delle spese sociali dal patto di stabilità, per chiedere che si impegnino risorse per rispondere alla emergenza casa, per chiedere che mentre aumenta la febbre della crisi non si diminuiscano gli interventi di sostegno, che non si separi l’obiettivo della ripresa economica da quello del mantenimento della coesione sociale, per chiedere che si salvaguardi la reale autonomia dei territori.
Dobbiamo chiederlo, possiamo ottenerlo.

martedì 19 ottobre 2010

Venti di guerra, via libera alla costruzione dell'HUB a Pisa per i teatri operativi e aerei spia e bombe nucleari a Sigonella…

E' calato il silenzio sulla costruzione dell'Hub a Pisa ma i progetti vanno avanti e a passi spediti.
Ne abbiamo conferma dal dibattito parlamentare e da alcune e dichiarazioni del Ministro ( della guerra ) La Russa ,lo stesso che a domande ben definite rispondeva, un mese fa, in termini evasivi (MAI FIDARSI DEGLI EX FASCISTI)

Dopo la morte degli alpini in Afganistan, invece di aprire una discussione sulla inutile presenza dei militari all'estero si preparano nuovi scenari militari e in prospettiva gettano le basi di nuove infrastrutture e supporti logistici. La realizzazione di un Hub aereo nazionale dedicato alla gestione dei flussi, via aerea, di personale e di materiale dal territorio nazionale per i teatri operativi, e viceversa, con tempestività e efficacia» ha ricevuto nei giorni scorsi il parere favorevole della commissione difesa di palazzo Madama.

In un paese in crisi economica e sociale, si trovano i soldi per " un investimento quadriennale (dal 2010 al 2013) pari a 63 milioni di euro (di cui 37 milioni per le infrastrutture ed i restanti 26 per i mezzi ed i materiali) per la realizzazione di «una struttura di grandi dimensioni connessa con le
principali vie di comunicazione stradale, ferroviaria e navale e servirà a gestire la ricezione, lo stoccaggio e lo smistamento dei materiali, a preparare e curare l'allestimento del carico, ricevere e gestire vettori di trasportoaereo (militari e civili) di diverse capacità e caratteristiche (sia di grandi
che di medie dimensioni), ed essere in grado di gestire contemporaneamente più operazioni di imbarco e sbarco di personale e materiali" Relatore in Parlamento l'onorevole Ramponi già generale , del resto gli alti comandi dell'esercito italiano una volta congedati li ritroviamo o nel ruolo di
consulenti e promoters delle industrie militari o come parlamentari in difesa delle lobby militari

Dal Parlamento si capisce bene come il progetto sia in fase avanzata, nonostante i silenzi e le mancate risposte di Rossi, Pieroni e Filippeschi (REGIONE, PROVINCIA E COMUNE DI PISA)
Del resto, il comando logistico dell'aeronautica militare ad agosto " ha bandito una gara per la fornitura di mezzi, equipaggiamenti e sistemi «per il costituendo hub aereo nazionale presso l'aeroporto militare di Pisa", ovvero quell'hub di cui soltanto pochi giorni fa è arrivato il sì della commissione Difesa del senato, quindi Il Governo prima ha deciso e avviato i lavori poi ha
ricevuto l'assenso in Parlamento.

Alla grazia della democrazia parlamentare!!!!
Per capire il giro di affari , basta vedere l'importo della gara ( 6.408.552 euro per acquisire 2 barre di traino velivoli, 4 K-Loader aviotrasportabili, 3 attrezzature carico e scarico di container, 6 nastri trasporto bagagli, 10 gruppi illuminanti, 6 scale telescopiche passeggeri semoventi, 200 carrelli
trasporto bagagli a mano, 2 veicoli per il rifornimento di acqua potabile, 2 attrezzature semoventi per il rifornimento di acque chiare e lo scarico acque nere e 2 Air Starter Unit.)

La militarizzazione del territorio pisano va avanti a passi celeri con il silenzio assenso delle istituzioni locali e dei partiti che governano , anche di quelli che non condividono salvo poi rimanere ben ancorati alle poltrone degli assessorati


Altro scenario più a sud nella base siciliana di Sigonella il più sofisticato modello di jet senza pilota “Global Hawk” è atterrato, ma il governo Berlusconi non ha preventivamente informato il Parlamento italiano. Interpellato in merito il ministro della Difesa, ( della guerra, oserei dire ) Ignazio La Russa, tace visibilmente imbarazzato, anche a proposito della presenza a Sigonella di testate nucleari con potenza distruttiva da 1 kiloton a 1,45 megaton: modello b 43, b 61, b 83.


Lo stesso comando della Nato di Bruxelles rivela che “l’inclusione dei velivoli Uav darà maggiore flessibilità ai sistemi Ags”. Ags dovrà trattare tutte le informazioni raccolte dai velivoli radar. A Sigonella gli Usa hanno installato il comando del sistema di sorveglianza della Nato. La corsa bellica del governo Berlusconi continua sempre più intensa, sempre più in silenziosa. Teatro, appunto delle nuove operazioni di guerra è ancora la base militare di Sigonella, dove in gran segreto l’Us Air Force ha posizionato il maggior centro operativo degli “Unmanned Aerial Vehicle, Uav, aerei senza pilota. Ufficialmente, lo scopo è assicurare la sorveglianza su tutto il globo terrestre, ma l’obiettivo più ambizioso del Pentagono è di fare in modo, entro il 2011, che un terzo della sua flotta da combattimento sia costituito da velivoli teleguidati.

L’operazione decolla nell’ottobre 2005, quando il sottosegretario alla difesa Usa Dyke Weatherington rilascia un’intervista al National defense magazine parlando di Uav: l’ultima frontiera della guerra ad altissima tecnologia. Tra loro i Global Hawk, prodotti dalla Northrop Grunmann, frequentemente adoperati in Iraq e Afghanistan. Quaranta di questi velivoli saranno dislocati nelle basi di Kaneohe nelle Hawaii, Jacksonville in Florida, Diego Garcia nell’Oceano Indiano, Kadena ad Okinawa e Sigonella in Italia.

Detto e fatto. Per il Dipartimento della difesa Usa è un anno cruciale per la localizzazione effettiva delle principali basi operative dei Global Hawk, al punto che nel bilancio annuale le voci relative al luogo e ai costi dell’operazione sono indicate come “classificate”, ossia segrete. Se la difesa Usa omette di indicare la sede della base è però possibile ricostruirne le caratteristiche a partire dalle funzioni del Global Hawk.
L’aereo teleguidato è associato al nuovo pattugliatore P-8 Mma, destinato alle basi aeronavali Usa. E il dipartimento della Marina indica, tra i siti, a cui è destinato il P-8, anche Sigonella, sede fissa del 25° Squadrone antisommergibile e del Centro di supporto tattico, che coordina le operazioni di pattugliamento della marina militare Usa.

venerdì 15 ottobre 2010

Domani con la FIOM, per i diritti, per la democrazia

Manca un giorno alla manifestazione del 16 ottobre. Un appuntamento carico di un significato straordinario e che può aprire una fase nuova in questo paese. Può farlo perché coglie fino in fondo la natura dell’attacco che viene portato e di questo investe il complesso della società e della politica. Può farlo perché promette di durare, oltre il 16 ottobre.

Gli scenari che abbiamo di fronte in Italia ed in Europa sono segnati dalla scelta di fondo delle classi dominanti di non rimettere in discussione il modello di sviluppo che ha portato alla crisi, e di produrre, all’opposto un salto di qualità pesantemente regressivo di quello stesso modello. La dimensione dei tagli decisi dai diversi governi europei, la revisione del patto di stabilità in corso d’opera, accentuano drammaticamente il carattere liberista ed oligarchico dell’Unione.

La scelta neomercantilista per cui si dovrebbe uscire dalla crisi orientando tutte le economie all’esportazione, senza sapere chi dovrebbe comprare, ma con una competizione sempre più aspra sulle condizioni di lavoro e i diritti sociali, è tanto illusoria quanto distruttiva. E’ una scelta incompatibile con i diritti del lavoro, il sistema di welfare, la democrazia costituzionale.
Di questo si tratta e del fatto che l’Italia rappresenta in questo contesto, la punta più estrema dell’attacco in corso. Lo è per le caratteristiche che si sono sedimentate nel tempo della sua struttura economica e sociale. Per la lunga assenza di politiche industriale e una competizione da tempo giocata sulla compressione dei costi e delle condizioni di lavoro.

Per l’iniquità della struttura fiscale, che ha comportato al tempo stesso un debito pubblico oggi al 120 per cento del Pil e uno stato sociale sottofinanziato rispetto al resto d’Europa. Lo è per il quadro politico e sindacale da cui il nostro paese è segnato: l’asse Berlusconi-Marchionne al governo, la scomparsa della sinistra dal Parlamento, la scelta di Cisl e Uil di un modello di sindacato che niente ha più a che vedere con l’organizzazione e la rappresentanza dei lavoratori. Il sindacato della bilateralità che si candida, nella crisi, alla privatizzazione del welfare, il patto neo-corporativo con cui padronato e sindacati insieme gestiscono collocamento, formazione, ammortizzatori sociali, sanità, previdenza… Il valore che assume la mobilitazione contro questo disegno è un valore generale.
E’ la difesa e la riconquista del contratto collettivo come legame solidale delle lavoratrici e dei lavoratori, contro il disegno di frammentare e dividere, fabbrica per fabbrica, lavoratore per lavoratore. E’ la difesa del diritti del lavoro e del carattere progressivo del conflitto sociale, che è matrice di fondo della nostra Costituzione. E’ il rifiuto di assoggettare la società tutta al comando unilaterale dell’impresa.

In questo appuntamento in molte e molti si stanno riconoscendo. Per il ruolo che ha svolto e svolge la Fiom, dalla Innse a Pomigliano, alle tante realtà produttive meno note, dove delegati sindacali, spesso giovani ragazzi, sono un presidio di organizzazione dei lavoratori, di democrazia quotidiana e sostanziale. Perché la valenza generale della mobilitazione del 16, i diritti del lavoro e la democrazia in un nesso inscindibile, è stato compreso. Perché le lavoratrici e i lavoratori della scuola, gli studenti, sanno che la lotta contro Marchionne è l’altra faccia della medaglia della lotta contro la Gelmini. Perché i comitati per l’acqua pubblica, le associazioni ambientaliste e pacifiste, Libera, Emergency, l’Arci, l’Anpi saranno in piazza per un altro modello di sviluppo.

Durare è decisivo. Durare per battere il disegno regressivo in campo nel nostro paese e su scala continentale. Durare con la messa in campo dello sciopero generale. Durare con la capacità di progettare un altro modello di sviluppo, che ridistribuisca ricchezza e potere, che riconverta produzione e consumo, dentro un’idea di democratizzazione radicale della società.
In molti territori si sono costituiti i Comitati 16 ottobre a sostegno della manifestazione. Ci siamo spesi come partito e come federazione, anche noi, da mesi e con assoluta generosità per quest’appuntamento, prendendo l’iniziativa, tessendo e ritessendo relazioni. In molte realtà c’è la richiesta che a fronte della durezza della crisi i lavoratori non vengano lasciati soli nella lotta per la difesa dei posti di lavoro. C’è la richiesta di costruire collettivamente resistenza ai processi pesantissimi di ristrutturazione, e capacità di progettare alternative di sviluppo e di vita, socialmente e ambientalmente sostenibili.


Proviamo a farlo. Proviamo a consolidare queste esperienze. A fare in modo come è positivamente avvenuto in tante realtà che le diverse espressioni della sinistra politica, associazioni e movimenti che si battono per un’alternativa agli esiti distruttivi della globalizzazione liberista non si perdano di vista. E nel fare, nella difesa dei posti di lavoro e dei diritti del lavoro, nelle pratiche di solidarietà e nella capacità di progetto, rimettiamo all’ordine del giorno che cambiare è necessario e possibile.

martedì 12 ottobre 2010

Class action addio, non è prioritario secondo la commissione europea

Viviane Reding, commissaria europea, annuncia che l'azione collettiva non è più una priorità alla vigilia delle consultazioni dell'Ue con rappresentanti delle industria e associazioni dei consumatori

Addio alla “class action europea”. Viviane Reding, commissaria Ue Giustizia e Libertà civile, ha annunciato che la class action non è più tra le priorità dell’agenda politica Ue, notizia che ha causato un terremoto nel mondo dei consumatori. Una dichiarazione inaspettata soprattutto perché arriva alla vigilia delle consultazioni con le parti in causa (rappresentanti delle industrie e associazioni dei consumatori) da parte dell’Unione europea.

La class action, o azione legale collettiva risarcitoria, è considerata l’incubo delle multinazionali. Offre a un singolo consumatore vittima di pratiche commerciali scorrette (ad esempio crack finanziari, irregolarità nei contratti telefonici, disservizi nei trasporti e problemi con pacchetti turistici) la possibilità di chiedere l’avvio di una procedura legale di risarcimento per lui e per tutti coloro che si trovano nelle stesse condizioni. Una normativa rivoluzionaria, in grado di mettere singoli cittadini e grandi multinazionali sullo stesso piano davanti a un giudice. Nel caso dei crack Cirio e Parmalat, la class action intentata da una sola persona avrebbe permesso alle migliaia di risparmiatori truffati di ottenere in modo compatto i legittimi risarcimenti, contrariamente alle attuali briciole elargite sentenza dopo sentenza.

Un argomento sul quale l’Ue stava lavorando da oltre 15 anni e che adesso è finito nel cestino delle priorità della Commissione europea. E questo perché? Secondo la Reding, con l’attuale crisi economica l’introduzione di una class action europea potrebbe provocare “un rischioso calo degli investimenti”. Insomma, per non spaventare i capitani di impresa è meglio limitare i diritti dei consumatori. La Reding ha aggiunto che la sua decisione è frutto anche di “lunghe consultazioni con i rappresentanti del mondo industriale statunitense” che l’hanno messa in guardia sugli impatti di una simile legislazione sull’economia europea.

Si, perché negli Stati Uniti la class action esiste già dal 1965, da quando l’avvocato Ralph Nader vinse la causa di diffamazione intentatagli dalla General Motors (il colosso automobilistico statunitense) per le sue accuse sull’insicurezza della Chevrolet Corvait. Da quella vittoria nacque la cintura di sicurezza, i paraurti rinforzati e altri test obbligatori per le industrie automobilistiche. Negli Usa la class action è diventata lo spauracchio delle multinazionali anche per il “punitive damage”, l’indennità punitiva che le aziende devono pagare in aggiunta ai risarcimenti. Storica la class action del 2001 contro Ford e Firestone, condannate a pagare 10 miliardi di dollari per i pneumatici difettosi del fuoristrada Explorer. E poi le cause intentate e vinte dai fumatori malati di cancro nei confronti di Philip Morris e Reynolds, costrette a pagare cure e danni morali con cifre a nove zeri.

La Beuc (The European Consumers’ Organisation) condanna l’intromissione dell’industria statunitense e sottolinea le differenze tra la class action americana e il modello europeo, che “evita gli eccessi presenti nella legislazione Usa”. Monique Goyens, direttore generale Beuc, ha mandato una lettera di protesta alla Reding e al presidente della Commissione Barroso, ricordando che “la stessa Commissione ha stimato che in Europa i danni ai consumatori dovuti a pratiche commerciali scorrette vanno dai 25 ai 69 miliardi di euro l’anno”.

La class action europea doveva fare tesoro dell’esperienza positiva di alcuni Stati membri che prevedono già nei loro ordinamenti l’azione collettiva di risarcimento. In Spagna dal 2000 la class action è stata usata ben 50 volte soprattutto per danni finanziari. Nel 2007 ben 323,337 cittadini sono stati risarciti per il black out di Barcellona causato dall’incendio di tre trasformatori elettrici che ha visto centinaia di persone intrappolate in ascensori e nella metropolitana. Altre tipologie di class action si trovano in Portogallo, Svezia, Danimarca, Finlandia, Grecia, Lituania, Norvegia, Polonia Germania e Regno Unito.

In Italia l’azione collettiva risarcitoria è stata introdotta alla fine del 2007 dal Governo Prodi, ma la sua entrata in vigore è stata più volte rinviata. Lorenzo Miozzi, presidente del Movimento Consumatori ha denunciato a più riprese “le continue modifiche che ne annacquano la sostanza”. Infatti, la “class action all’italiana” non può essere retroattiva e le associazioni dei consumatori non hanno la possibilità di essere promotori delle azioni, ma solo di ricevere il mandato dai danneggiati. È quindi esclusa la possibilità di ottenere un risarcimento del danno per il crack Cirio, Parmalat, e Lehman Brothers.

lunedì 11 ottobre 2010

L'italia ripudia la guerra!!

Nel Belpaese quando si contano i morti piove retorica dai soliti salotti televisivi e dalla carta igienica, pardon stampata. Dopo la convivenza con la mafia propugnata dal ministro berlusconiano Lunardi in palese conflitto di interessi, ecco la sparata di un altro servo del sistema.
Scrive l’esperto di turno Andrea Nativi sul quotidiano Il Giornale: “Impariamo a convivere con i morti in guerra”. Dopo un’altra carneficina con un’opposizione parlamentare inesistente che ha preventivamente approvato le missioni di guerra.

Ecco il soldato hi-tech. Prima sperimentazione segreta proprio in Afghanistan. “Forza Nec”: addio “missioni di pace”. E’ la punta di diamante dell’esercito italiano. Ufficialmente dal 2010 è la prima unità operativa di “cyber soldati”. Ogni kit costa 30 mila euro. In gran segreto l’82° reggimento fanteria “Torino” sperimenta l’equipaggiamento bellico in Afghanistan.

Cosa cambia in pratica? In sostanza gli armamenti. A cominciare dal fucile d’assalto Beretta, evoluzione dei modelli esistenti AR-70/90 e CX4-Storm. L’arma è più leggera con una serie di optional, incluso il lancia granate di 40 mm con calcolatore balistico a telemetria laser. La tecnologia consente prestazioni impensabili: il sistema di mira optronico consentirà al soldato di scoprire, identificare e sparare a obiettivi (esseri umani) su distanze che oltrepassano la capacità del nemico in ogni momento ed in ogni situazione di luminosità, di giorno come di notte.

Anche dietro gli angoli degli edifici. Dati e immagini (di serie le combat camera montate su elmetto e fucile) sono trasmessi in tempo reale a chilometri di distanza, dietro le linee nemiche, in modo da aggiornare costantemente il campo di battaglia. Canale termico, telemetro laser e compasso integrato, invece, per il sofisticato binocolo. Le nuove uniformi assicurano maggiore protezione e minor visibilità. Sono più leggere del 20 per cento rispetto a quelle standard e, grazie al ricorso alle fibre impregnate di carbone attivo risultano efficaci contro la minaccia Nbc.

Nulla è stato lasciato al caso. Ecco i sensori per tenere sotto controllo costantemente lo stato psico-fisico del soldato, laptop collegati in Gprs, navigatori satellitari palmari funzionanti con batterie al metanolo. Le linee di tendenza della Difesa italica prevedono un numero sempre più limitato di soldati con elevate possibilità di sopravvivere al combattimento. Insomma, l’Italia sarà perennemente in guerra. Ergo: per favore niente lacrime retoriche sui giovani morti in battaglia. Anche lei Vendola si astenga e rispetti il dolore: non risulta agli atti pubblici che abbia mai prodotto qualcosa di serio contro la guerra e lasci riposare in pace don Tonino Bello. Prego: qualcuno dei più alti in grado dello Stato maggiore – magari anche un semplice generale di divisione – rinfreschi la memoria al ministro della difesa Ignazio la Russa.

In Afghanistan i tornado del sesto stormo di stanza a Ghedi (BS) – dove gli Usa custodiscono illegalmente, contro la volontà popolare bombe nucleari modello b 61, col beneplacito dei vari governi tricolore – sono armati con ordigni bellici. Parola del generale Carlo Jean (nel 2003 voleva imporre il deposito unico di scorie nucleari alla Lucania per conto della Sogin e di Berlusconi): “Occorre smettere di considerare la pace come una specie di diritto acquisito, garantito dall’art. 11 della Costituzione, ma di fatto delegato ad altri.
Occorre considerare le Forze Armate anzichè come mezzi indispensabili per qualsiasi pace possibile…”. A crepare sono quasi sempre i figli del Sud, come ai tempi dell’annessione del Mezzogiorno.

domenica 10 ottobre 2010

Metti una sera al campino col PD!

L’altra sera al campino c’era un incontro pubblico, indetto dal PD, dove il sindaco e gli assessori presenti, illustravano la situazione della scuola pubblica, facevano un quadro della crisi, poi avrebbero parlato dei problemi legati alla frazione.
Finalmente, mi sono detto, un occasione per dare la parola ai cittadini su cosa va e non va, un’amministrazione vicina ai suoi cittadini pronta ad ascoltarli, invece come al solito è stato un monologo dove i cittadini ascoltano in silenzio “ la ricetta per uscire dalla crisi”.

L’incontro non è stato altro che una auto proclamazione di quanto gli amministratori del PD sono bravi, di quanto riescono a tenere sotto controllo il bilancio del comune, che con il patto di stabilità, è risaputo, non è permesso loro di fare alcunché, se non opere pubbliche faraoniche, per milioni di euro, di cui ovviamente le strade e circonvallazioni, ne fanno da padrone, e poi ponti per servire mirabolanti nuove zone di produzione, che porteranno il benessere della comunità ovviamente.
Poi nuove costruzioni di edilizia residenziale, che in questa zona sinceramente mancavano, tanto che la moglie di un consigliere di maggioranza si girava verso di me apostrofandomi “ ma quando la smetteranno di costruirci case qui, che non ci si rigira più?”, come se io potessi farli smettere!!!
Infine hanno avuto il tempo di parlare del nuovo centro civico che dovrà sorgere accanto a quello esistente, e della casa dell’acqua che verrà fatta entro l’anno, per darci un contentino.

Fin qui tutto bene, anche se non sapevo che si fosse in campagna elettorale.
Il problema è nato quando, finiti i proclami, alcune persone, compreso io, siamo intervenuti, e ovviamente da semplici cittadini, non sudditi, abbiamo fatto delle domande semplici, forse banali, ma siamo cosi, ci basta poco, siamo gente concreta, abbiamo chiesto se era possibile, oltre alle circonvallazioni e alle case, prevedere un po’ di marciapiedi, dove mancano, qualche giochino e panchina in più nel parchetto pubblico, e far funzionare l’illuminazione dove non funziona, qui ovviamente è cambiato il tono della voce, non era più benevolo e ammaliante da comizio, e la risposta è stata: “non possiamo mica fare un giardino in ogni frazione, e poi le panchine e i giochi se dovessimo metterli a tutti quelli che ce lo chiedono quante ce ne vorrebbero!!, il comune non è in grado di questi tempi di accontentare tutti, facciamo degli sforzi enormi, e rivolti a me hanno apostrofato: il consigliere Polato dovrebbe saperlo bene che non è possibile, come a richiamarmi ai miei doveri, quindi accontentatevi!!,

Come non detto, comunque se nel piano delle opere pubbliche vengono previsti dei capitoli di spesa più corposi per l’arredo urbano, poi si ritrova, non pensavo che le spese di bilancio di un comune andasse in crisi per alcune panchine, per un po’di giochini in più, o per qualche albero da piantare dove non ce ne sono.

Addirittura per sostenere questa tesi e farci sentire in colpa delle richieste che avevamo fatto il Sindaco a preso a raccontarci una storia; prendiamo ad esempio l’IRPEF, che è il l’imposta sulle persone fisiche, sul comune di Monteriggioni è lo 0,40, mentre l’IRPEF del comune di Castelnuovo Berardenga è lo 0,80, quindi, ha concluso il Sindaco: lo stesso cittadino con lo stesso reddito ma nel comune di Castelnuovo paga il doppio!!, bisogna ringraziare e zitti, prendere quello che passa il convento!!
Ovviamente, molte persone, dopo questo discorso, sono andate a casa più col pensiero dell’IRPEF al 0,40 che alle risposte elusive che il sindaco e l’assessore avevano dato senza trovare risposta.

Anche questa volta il PD ha perso un occasione per essere vicino alla gente, è inutile chiedere la parola se le risposte sono sempre le solite, non c’è soldi, non possiamo garantire tutti i sevizi, ci saranno dei rincari, e via scorrendo, nemmeno uno che abbia risposto con “ un vedremo”, oppure uno che abbia preso una nota per un piccolo problema sollevato, in fondo si chiedeva di risolvere dei piccoli problemi.

venerdì 8 ottobre 2010

I costi standard e il servizio differenziato sulla sanità

Il governo ha approvato la bozza di decreto sui costi standard in sanità. Saranno applicati solo dal 2013 e potrebbero aprire la strada a tagli al budget del Sistema sanitario nazionale. Ma la vera sorpresa è che i costi standard diventano irrilevanti per la ripartizione dei fondi e per stimolare l'efficienza delle Regioni, tanto che lo stesso risultato si può ottenere applicando qualsiasi costo standard, basso o alto.

Il governo ha approvato la bozza di decreto sui costi standard in sanità. La buona notizia è che saranno applicati solo dal 2013, la cattiva notizia è che potrebbero aprire la strada a tagli al budget del Sistema sanitario nazionale. Ma il vero scoop è che i costi standard non c’entrano proprio nulla con il calcolo dei fabbisogni regionali di spesa. Tanto che la stessa quota regionale si ottiene sia applicando un costo standard basso (delle Regioni più virtuose) sia uno elevato.

LA SIMULAZIONE
Si è simulata la ripartizione delle risorse disponibili per il 2012 (che si suppone siano uguali a quelle del 2010: 102 miliardi) secondo i nuovi criteri, per semplicità senza suddividerle per i tre livelli essenziali di assistenza (Lea) indicati.
I passaggi logici della bozza di decreto si possono così riassumere:

1) il costo standard è rappresentato dalla spesa media ponderata delle tre Regioni più “virtuose” , su una rosa di cinque;

2) sono le Regioni che nel secondo esercizio precedente hanno chiuso il bilancio in pareggio e rispettato i parametri di qualità, appropriatezza ed efficienza;

3) la spesa benchmark coincide con il finanziamento ordinario, perché si escludono sia le entrate da sforzo fiscale autonomo, sia le spese per prestazioni oltre i Lea;

4) il finanziamento pro-capite, che serve da costo standard, è quello ponderato per classi di età (ad esempio, nel 2010 la Campania ha ricevuto 1.636 euro pro-capite e la Liguria 1.861 euro);

5) in via teorica, il requisito dell’equilibrio di bilancio si può riscontrare sia in Regioni con alti livelli di spesa sia in Regioni con bassi livelli di spesa (ed è quindi casuale);

6) se il costo standard, calcolato sulle Regioni virtuose, fosse inferiore alla media nazionale e applicato sic et simpliciter a tutte le Regioni, i fondi disponibili potrebbero apparire eccessivi: ad esempio, il budget potrebbe essere di 99 miliardi. Viceversa, se fosse superiore, risulterebbero insufficienti, e servirebbero 106 miliardi;

7) a prescindere da ciò, conta la percentuale di ogni Regione sul valore teorico ottenuto dalla moltiplicazione tra il costo standard e la popolazione regionale pesata (art. 22, comma 6, lett. e, comma 8), che si applica al budget del nuovo anno (art. 22 comma 9), fissato dal “Patto per la salute”, i 102 miliardi nell’esempio.
Ma così facendo il costo standard non diviene altro che una costante moltiplicativa della popolazione pesata (vedi colonne 5 e 7 della tabella), per cui la quota di finanziamento regionale riflette solo la percentuale di popolazione pesata rispetto alla popolazione nazionale.

Il costo standard diventa perciò irrilevante per la ripartizione dei fondi e per stimolare l’efficienza delle Regioni, tanto che lo stesso risultato si può ottenere applicando qualsiasi costo standard, basso o alto.
Ne risulta che i costi standard non sono i veri meccanismi per l’assegnazione delle risorse sanitarie alle Regioni. Il decreto sembra prigioniero dei suoi stessi limiti, dovuti all’identificazione dei costi standard con i finanziamenti standard e alla definizione di “virtuosità” basata principalmente sul pareggio di bilancio.

Se si fa coincidere il costo standard efficiente con il finanziamento delle Regioni con popolazione più giovane, Lombardia e Veneto per esempio, solo perché chiudono il bilancio in pareggio, e poi lo si applica anche a quelle con popolazione più anziana, si entra in un circolo vizioso. E si commette una grave ingiustizia sul piano dei diritti. Di sicuro, il metodo proposto del governo non porta al risultato sperato.

martedì 5 ottobre 2010

Con la Fiom a Roma, contro l’eversione del capitale

Fra meno di due settimane, sabato 16 ottobre, la Fiom chiamerà a raccolta, in quella che già si annuncia come un’imponente manifestazione di popolo, tutte le forze sociali che nella necessità di respingere l’attacco furibondo alle conquiste e ai diritti dei lavoratori vedono la via maestra per impedire che si compia la più devastante rottura democratica dell’era repubblicana.

Occorre dire che di un simile rischio vi è, anche a sinistra, solo parziale consapevolezza. O meglio, dello smottamento democratico si coglie l’aspetto più immediatamente politico e morale: la degenerazione corruttiva della coalizione di governo, il potere dispotico, personale, del capo del governo che travolge l’intera architettura costituzionale, l’oltraggio sistematico alla legalità, il disprezzo ostentato per ogni procedura democratica e l’assalto liquidatorio ai poteri indipendenti che rifiutano di sottomettersi all’esecutivo. Si coglie meno, e nel Pd non si coglie affatto, quello che con chiarezza e semplicità esemplari Oscar Lafontaine, fondatore della Linke, ricordava in un recente dibattito svoltosi alla festa della Federazione della Sinistra, e cioè che domina nella sfera politica chi domina nei rapporti sociali. E che se questi sono caratterizzati dallo sfruttamento e dall’unilateralità del comando d’impresa, la politica non potrà autonomizzarsene ed anzi finirà per divenirne lo specchio fedele.

Ancora ieri, qualche giornale di area democratica titolava, in prima, «Eversore», epiteto impresso sul faccione torvo di Berlusconi. E a ragione. Dubito tuttavia che quella stessa grave espressione verrebbe usata per qualificare il comportamento di Marchionne. All’amministratore delegato della Fiat, capintesta della crociata contro il lavoro e a Confindustria, la cui parola è ormai ascoltata con la deferenza che si deve ad un organo istituzionale, non si rivolge lo stesso capo d’accusa.

Una volta era nozione di senso comune, maturata nella concreta esperienza di milioni di persone, che l’affermazione della democrazia dentro i luoghi di lavoro, le conquiste frutto del conflitto operaio, si riverberassero a 360 gradi sull’insieme della società, rendendola più giusta, più civile, più coesa. Difendendo gli interessi dei lavoratori - si diceva - si difendono gli interessi generali del Paese.Non vi era ombra di dubbio sul significato pregnante dell’articolo 1 della Costituzione, che coniuga non casualmente la democrazia con il lavoro, riconoscendo ai produttori associati una funzione quasi demiurgica per l’inveramento dei precetti della Carta. Oggi no. Il rovesciamento è stato diametrale.

L’impresa e la regola ferrea, sebbene non scritta, che ne informa i comportamenti, quella della competitività, hanno occupato interamente il proscenio, unendo destra e sinistra moderata nel culto dell’ideologia neo-mercatista. Quella in ragione della quale si è accreditato Marchionne come l’interprete genuino della modernità ai tempi della globalizzazione e si è accettato che il posto di lavoro fosse messo in concorrenza con i diritti.

La fortuna della destra in tutta Europa e specialmente nel nostro Paese ha molte convergenti ragioni. Ma l’egemonia culturale del capitale, la “costituzionalizzazione“ del mercato è ciò che ne ha più di ogni altra cosa legittimato la funzione dirigente. L’impotenza di fronte alla crisi planetaria è la più plateale confessione di un disarmo culturale che ha sin qui impedito alla sinistra di candidarsi alla guida di una grande riforma economica e sociale. Una riforma che o passa attraverso un profondo mutamento dei rapporti di produzione, o ha la forza di riproporre la questione divelta del carattere sociale della proprietà, oppure è destinata ad insabbiarsi, perdere di vigore e rinculare nell’alveo del riformismo, trasformista e subalterno.

La Fiom ha preso nelle proprie mani e proposto alla sinistra la precondizione di questo necessario salto di paradigma: l’affermazione dell’ irriducibilità del lavoro al capitale. Per questo viene ferocemente combattuta dal potere costituito e dal groviglio di interessi di cui esso è espressione. Per questo il successo dell’appuntamento del 16 ottobre, al quale offriremo tutto il nostro sostegno, rappresenterà molto più che la buona riuscita di una pur importante manifestazione.

lunedì 4 ottobre 2010

In piazza col popolo Viola, prove generali per l'alternativa

Dieci mesi dopo, eccolo di nuovo qui. Dopo la grande manifestazione del 5 dicembre 2009 il Popolo Viola è tornato a riempire le vie della capitale. Poco importa se i numeri non sono quelli della prima edizione: in fondo, come nel cinema, un sequel non sarà mai come l'opera prima.

Ma a guardare il fiume viola che ieri ha attraversato Roma, non si può certo dire che il No B-Day 2 sia stato un flop come invece si sono affrettati ad affermare i media mainstream. Perchè vedere migliaia di giovani e giovanissimi cantare e ballare sulle note di bandiera rossa, saltare al ritmo di "chi non salta Berlusconi è!" e soprattutto sventolare come dazebao copie della Costituzione italiana, scusate, di certo non può essere considerato un flop. Che Berlusconi sia ormai al capolinea, e con lui il "berlusconismo", è ormai assodato.

Ciò che invece stupisce è come, in un momento in cui gli sforzi delle maggiori realtà sociali e politiche del nostro paese sono incentrate sulla grande manifestazione del 16 ottobre che, ormai, non può più definirsi "della Fiom" ma "di tutta l'Italia che resiste", almeno 250 mila persone decidano di scendere in piazza contro il simbolo della malapolitica. Silvio Berlusconi è ormai solo un'icona.

Non spaventa più. La prova ne sono le decine di maschere e striscioni che ironizzano sulla sua figura ormai ridotta a macchietta. Al centro degli slogan "che contano" e dei cartelli più applauditi, infatti, c'è la democrazia, la Costituzione, la cultura, l'antifascismo come valori fondanti di una nuova era politica destinata a venire. Sono da poco passate le 15 quando, con un'ora di ritardo sulla tabella di marcia, il corteo si muove verso piazza San Giovanni dove è stato allestito il palco.

Ad aprirlo, uno striscione che sembra più un manifesto programmatico di una nuova "alleanza democratica". Sotto la scritta "Svegliati Italia!" su sfondo ovviamente viola, tre punti fondamentali: nuova legge elettorale; no al conflitto di interessi; subito al voto. Risalendo il lungo serpentone di gente colorata di viola (e di rosso), ognuno porta con sè un simbolo dell'Italia che non ci sta: chi un cartello che si chiede "Come facciamo a non incazzarci con questa politica da letamaio?" Chi risponde citando Indro Montanelli: "Il berlusconismo è la feccia che risale il pozzo". Altri, invece, puntano più sul propositivo che non sulla denuncia: "Chi semina cultura" avverte una signora di mezza età "raccoglie democrazia".

Fra gli spezzoni più applauditi, e più numerosi, c'è quello della Federazione della Sinistra: niente striscioni autocelebrativi in apertura ma un significativo "Siamo tutti Pomigliano". Quanto ai volantini, poi, quello della FdS "Contro Berlusconi e contro la Confindustria" verso il 16 ottobre è andato letteralmente a ruba. "E' il segno" spiega Alfio Nicotra, responsabile politico Prc di Roma "che la gente vede ormai nel corteo promosso dalla Fiom il momento in cui dare la spallata decisiva al Governo". Significativo, poi, che a parlare di "collegato lavoro" e di attacco alla democrazia di tutti nell'opera di Sacconi siano i giovanissimi: "ormai è chiaro a tutti "spiega Simone Oggionni dei Giovani Comunisti "che la lotta per il lavoro e quella per la scuola pubblica sono la stessa, unica lotta da portare avanti insieme".

Un'unità che ieri si è concretizzata nella manifestazione dove oltre al Popolo Viola, c'erano l'Italia dei Valori, Sinistra Ecologia e Libertà, i Verdi, la Federazione della Sinistra e qualche individualità del Partito Democratico: "è un errore" ha commentato il senatore del Pd, Ignazio Marino "non essere tutti qui perchè questa piazza la pensa esattamente come noi. Ma noi, oggi, non siamo qui". Sulla stessa linea di pensiero di Marino è anche Antonio Di Pietro dell'Idv: "in questa piazza c'è molto popolo democratico. Se qualche volta venissero anche i dirigenti democratici se ne accorgerebbero". Accolto da molti applausi, Nichi Vendola (SeL) ha invece preferito glissare alle domande sul Pd e dedicare la propria attenzione sull'importanza "di questo pezzo di Italia che, anche fuori dalla vita dei partiti, sente di dover esprimere la crescente insofferenza nei confronti della destra che ci governa".

Non solo partiti, però. Il Popolo delle Agende Rosse di Borsellino, dietro a Salvatore, fratello di Paolo, ha caratterizzato la parte centrale del corteo, quello "antimafia". I precari della scuola sono stati tra i più "rumorosi" mentre tanti applausi sono stati dedicati al Comitato cassaintegrati Alitalia. Come si sperava alla vigilia, la forza della manifestazione di ieri è stata proprio quella di essere riuscita a tenere insieme tutte quelle realtà di opposizione vera "che al berlusconismo" ha commentato Cesare Salvi, portavoce della Fds "oppone la difesa dei diritti, del lavoro, del welfare. Quello che ora serve è un'alternativa democratica e costituzionale".

domenica 3 ottobre 2010

Novità dal processo Della Malva...

IL 1 ottobre 2010 c’e’ stata a Pistoia quella che noi pensavamo essere l’atto finale del processo contro gli antifascisti di Pistoia.

In realtà non e’ stata l’ultima,infatti, il processo e’ stato rinviato al 19 novembre ma e’ stata sicuramente l’udienza che ha rovesciato sia politicamente che legalmente il procedimento.

Grazie alla testimonianza di un giornalista del Tirreno di Pistoia e’ stata smascherata la falsa testimonianza del Sign.Lucarelli che oggi , richiamato dal giudice a testimoniare e a confrontarsi con il giornalista, non voleva nemmeno presentarsi in aula….chissà come mai. Una volta in aula ha fatto una figura al limite dell’indecenza sostenendo addirittura ad un certo punto che prima di rispondere alle domande doveva parlare con sua moglie!!!

In sostanza il giornalista,di cui sopra, ha dichiarato, in modo assolutamente credibile, di aver assistito ad un intervista fatta da un suo collega, poco dopo l’assalto a Casa Pound, in cui il Testimone Lucarelli dichiarava di non essersi trovavo sul posto al momento del danneggiamento e di non aver visto nulla. Lo stesso Lucarelli dichiarava oggi in aula che non parlò con nessuno fino alle 21 , ora in cui la polizia l’ha tradotto in questura per fare le sue dichiarazioni. Alle 21 dell’11 ottobre 2009 noi antifascisti eravamo stati sequestrati dalla Digos già da diverse ore e nasce spontaneo il dubbio(se non la certezza) che se alle 16 Lucarelli sosteneva di non aver visto nulla e alle 21 invece, in questura, dichiarava di aver riconosciuto gli artefici dell’assalto (permettendo cosi l’arresto degli antifascisti)allora forse (se non certamente) , in questura e’ stato fornita al Testimone Lucarelli una “storiella” da raccontare in tribunale.

Storiella che però si e’ sgretolata oggi facendo si che il Lucarelli, per bocca del Procuratore Generale Dell’Anno, diventasse un testimone non attendibile. Ci sentiamo di sostenere che la falsa testimonianza del Lucarelli sia stata pilotata dalla questura per il semplice fatto che il giornalista stesso ha dichiarato oggi che un giornalista quando succede un fatto cerca delle testimonianza e per questo e’ stata la cosa più normale del mondo per lui e per i suoi colleghi entrare nell’unico esercizio pubblico , nei paraggi di Casa Pound, aperto in quel momento…dunque se per un giornalista e’ ovvio muoversi in questo modo come mai la questura non l’ha ritenuto necessario se non circa 5 ore dopo che era successo il fatto?E come mai ha ritenuto invece d’obbligo entrare al Primo Maggio e sequestrare gli antifascisti senza avere un supporto di un testimone arrivato solo 5 ore dopo?

La nostra risposta a questa domanda e’ che il piano di bonifica del territorio dagli antifascisti del questore Manzo prevede l’eliminazione degli antifascisti stessi , costruendo attorno a loro delle accuse false e delle intimidazioni che secondo lui farebbero da deterrente….peccato che non tutte le ciambelle riescano col buco! Forse a Lucca in parte il suo progetto e’ andato in porto ma stavolta ha trovato un bel muro davanti..gli antifascisti non mollano e lui e’ all’angolo!

A questo punto dell’udienza si e’ visto, secondo noi, che il giudice Costantini ha cominciato a dubitare della colpevolezza degli antifascisti o perlomeno a porsi qualche domanda(aggiungiamo un bel FINALMENTE). Ha cosi deciso, di sua iniziativa, di mandare a prendere il Sign. Bartalini. Personaggio questo a noi sconosciuto nel senso che nessuno di noi aveva mai fatto caso a questa persona. Il Sign. Bartalini e’ colui che commissionò lo spostamento della famosa stufa/lavatrice a Lucarelli e Ramondia(altro testimone dell’accusa). Questo signore ha oggi dichiarato in aula che la stufa e’ stata portata lungo una rampa di scale ripida da lui stesso dal Lucarelli e dal Ramondia…ma appunto solo fino in fondo a una scala….poi il Sign Bartalini ha provveduto al trasporto della stessa con un carrellino, ma a differenza di ciò che dichiararono Ramondia e Lucarelli, l’ha fatto da solo con l’aiuto di un carrellino.

E che invece il Lucarelli e il Ramondia si sono recati alla loro pizzeria a piedi e SENZA stufa!!! Il Sign.Bartalini ha inoltre dichiarato di non aver visto nessuno scappare mentre spostava la stufa con Lucarelli e Ramondia, a differenza di ciò che avevano dichiarato in precedenza i due Testimoni ossia che mentre spostavano questa stufa erano stati sorpassati da un gruppo di ragazzi che correvano infilandosi le cinture etc.etc….dunque altro testimone che evidentemente sta dichiarando il falso….
Quest’ultima testimonianza,ricordiamo, procurata e voluta dal giudice Costantini, dimostra una volta di più che gli antifascisti non si trovavano sul posto quando sono successi i fatti perchè a nessuno di noi e’ mai venuto in mente di dire ai nostri avvocati di chiamare il signor Bartalini a testimoniare…ed evidentemente se fossimo stati presenti,durante i danneggiamenti, e fossimo stati noi a scappare avremmo saputo con certezza che non c’era nessun trasporto di stufe in quel momento in quella via… se ne deduce anche che la stessa Digos sapeva perfettamente che noi non eravamo sul posto altrimenti avrebbe immaginato una nostra dichiarazione in questo senso che avrebbe immediatamente smontato le testimonianza di Lucarelli e Ramondia.

Dunque concludendo ribadiamo che oggi la svolta c’e’ stata ma dobbiamo anche sottolineare che noi in quel tribunale non siamo entrati , un anno fa’, come innocenti la cui colpevolezza doveva essere dimostrata, come dovrebbe succedere normalmente, ci siamo entrati da colpevoli e abbiamo dovuto dimostrare la nostra innocenza…la lotta non e’ finita ma oggi un bel colpo si e’ assestato. In aula oggi eravamo tutti uniti sulla stessa linea d’attacco contro le macchinazioni della Questura che usa (come si e’ dimostrato oggi)i fascisti come sporca manovalanza. La denuncia contro questo “gioco di squadra” tra fascisti e questura e’ stata fatta anche nelle dichiarazioni spontanee di alcuni imputati ed e’ stato dimostrato che hanno provato a dividerci e a spezzarci ma non ci sono riusciti.
La nostra battaglia continua tutti sullo stesso fronte per continuare a smantellare granello dopo granello il castello di sabbia che ha costruito il questore Manzo un anno fa.

Cogliamo l’occasione per ringraziare tutti quelli che oggi sono venuti in tribunale ad assistere all’udienza perchè pensiamo che vederle con i proprio occhi queste cose sia molto meglio che sentirsele raccontare!!

Comitato amici e parenti di Alessandro Della Malva

sabato 2 ottobre 2010

La verità sul provvedimento di Melfi

di Piergiovanni Alleva

Siamo curiosi di vedere quanti tra i "grandi" quotidiani saranno capaci di riferire in modo corretto ed esatto il contenuto del provvedimento con il quale il tribunale di Melfi ha rigettato una istanza della Fiom in materia di effettiva reintegra del posto di lavoro dei tre operai licenziati per discriminazione antisindacale. Si leggerà probabilmente, su quei quotidiani di un mutamento a 180 gradi nell'orientamento del tribunale, di una "rivincita" della Fiat o chissà cos'altro, all'insegna del pressapochismo e della strumentalizzazione politica.

Vogliamo, allora, dare noi la notizia in modo scientificamente esatto, e tutti potranno comprendere che non vi è stata proprio nessuna sconfitta della Fiom ma, anzi, un'interessante messa a puntoda parte del tribunale di Melfi che apre la strada a sviluppi di enorme interesse. Certo, la materia è tecnica, ma se il lettore avrà un poco di pazienza cercheremo ora di prenderlo per mano e spiegare il senso della nostra affermazione.

Il punto di partenza è questo: vi è stato un decreto ai sensi dell'art. 28 dello Statuto dei lavoratori che ha dichiarato antisindacale il licenziamento dei tre lavoratori e ne ha ordinato la reintegra nel posto di lavoro, ma la Fiat ha eseguito l'ordine solo formalmente e parzialmente perché ha riacceso i contratti di lavoro e ha ricominciato a corrispondere le retribuzioni, ma non ha consentito ai tre operai di riprendere effettivamente l'opera lavorativa. Dunque, l'ordine è rimasto in parte ineseguito e va subito detto che quando una decisione giudiziaria non viene applicata spontaneamente si passa alla fase cosiddetta "esecutiva", previo invio di una diffida (detta "precetto") ad adempiere l'ordine.

Quando, come in questo caso, l'ordine è non di pagare (la Fiat ha già pagato) ma di fare, ossia di far lavorare i tre dipendenti, la procedura esecutiva è quella stabilita dagli articoli 612 e seguenti del codice di procedura di cui meglio diremo più sotto. Va, però, aggiunto che per i provvedimenti cautelari e d'urgenza un'altra norma, ossia l'art. 669 duodeces del codice di procedura prevede che lo stesso giudice che li ha pronunziati possa integrare e dettagliare l'ordine già emesso se insorgono difficoltà di sua attuazione ed interpretazione, e nel nostro caso si poteva pensare che fosse opportuno ricorrere a questa norma, visto l'atteggiamento sofistico e recalcitrante della Fiat (ad esempio: i lavoratori possono entrare per partecipare alle assemblee, ma non per lavorare).

La Fiom si è rivolta appunto con una istanza di questo genere al giudice che aveva emesso l'ordine (tribunale di Melfi) il quale, semplicemente, ha ora stabilito che non c'era in realtà bisogno di integrare o specificare l'ordine di reintegra già emesso, ma solo di eseguirlo, essendo già sufficiente la decisione resa ai sensi dell'art. 28 dello Statuto (il quale prevede, per l'esattezza, un procedimento "sommario" e non propriamente "cautelare"). Pertanto, secondo il tribunale di Melfi, è perfettamente possibile passare da subito al procedimento esecutivo ai sensi dell'art. 612 del codice di procedura, trattandosi appunto di obbligo di fare a carico della Fiat. In definitiva, in concreto, il tribunale di Melfi ha dato "luce verde immediata" al procedimento esecutivo a carico della Fiat. Possiamo allora passare alla seconda parte del nostro discorso.

La Fiom, ovviamente, inizierà senza indugio il procedimento esecutivo dell'obbligo di fare ai sensi dell'art. 612 del codice di procedura e proprio qui si aprirà una fase molto interessante perché si discuterà se l'obbligo di fare di cui si tratta possa o meno essere eseguito in forma specifica. Alcuni obblighi di fare o anche di "non fare" possono essere eseguiti in forma specifica, ad esempio come quello di abbattere un muro, perché se chi è stato condannato ad abbatterlo non lo fa, l'altra parte, autorizzata dal giudice, può farlo abbattere lei da una ditta a spese del recalcitrante.

Ma altri obblighi di fare o non fare non sono eseguibili materialmente contro la volontà dell'obbligato: ad esempio se Tizio è stato condannato a non suonare la tromba di notte disturbando il vicino Caio (obbligo di non fare) come si potrà materialmente obbligarlo ad astenersi da ulteriori azioni di disturbo di quel genere? E, per venire al nostro caso, se il datore di lavoro si rifiuta di dare le disposizioni lavorative al lavoratore reintegrato si potrà a ciò materialmente obbligarlo? Questa dell'esecuzione degli obblighi di fare infungibili è sempre stata una terra di frontiera del nostro diritto processuale e fino a tempi molto recenti in caso di perdurante disobbedienza si è dovuto più o meno ripiegare su risarcimenti difficili da quantificare.

Recentemente però, sull'onda di una soluzione da molto tempo esistente nel diritto francese, è stata introdotta nel campo dei rapporti civili una norma di grande importanza contenuta ora nell'articolo 614bis del codice di procedura civile. Il giudice può forfettizzare e prestabilire un risarcimento progressivo predeterminato in caso di disobbedienza e così, per esempio, al disturbatore Tizio potrà essere imposto di pagare 100 euro a Caio se suonerà la tromba una prima volta, 200 per il secondo disturbo, 400 per il terzo e così via. E non vi è dubbio che Tizio si adeguerà allora ben presto all'ordine giudiziario. Tutti comprendono come questa importante novità risolverebbe il problema degli operai di Melfi e di tutti i reintegrati, i demansionati, i mobbizzati ecc. che ottengono giustizia sulla carta ma poi non riescono a piegare la resistenza di fatto del datore recalcitrante.

Proprio qui però emerge sfacciatamente il segno di classe della legislazione del centro destra, perché lo stesso articolo 614 prevede che quell'efficacissima norma si applichi a tutti i rapporti contrattuali ma non ai processi sui rapporti di lavoro. Ed allora pensiamo che proprio dal tribunale di Melfi potrebbe venire uno sviluppo di enorme importanza, nel senso che la questione potrebbe essere demandata alla Corte costituzionale la quale, a parer nostro, sicuramente, dichiarerebbe quella esclusione irrazionale e illegittima e dunque applicabile l'articolo 614bis anche ai processi di lavoro.

A nostro avviso, tutti gli avvocati italiani che difendono i lavoratori dovrebbero sentire il dovere di sollevare la questione di costituzionalità sopra ricordata in tutti i processi di reintegra nei posti di lavoro o nelle mansioni. Un giudice che rinvii la questione alla Corte si troverà sicuramente, ma a parer nostro se ne troveranno decine o centinaia.

venerdì 1 ottobre 2010

Consiglio Comunale del 29 ottobre

All’ordine del giorno ci sono 8 punti, tra i quali il bilancio di previsione 2010 variazione - approvazione e la ricognizione dello stato di attuazione dei programmi - Salvaguardia equilibri di bilancio e la mia interrogazione sulla segnaletica.
Il Sindaco chiede di anticipare l’illustrazione dei punti sul bilancio per non far attendere inutilmente il revisore dei conti dott. Dragoni che è venuto ad assistere la discussione in consiglio.
Quindi si passa ai punti indicati dove l’assessore al bilancio Fantucci illustra le variazioni al bilancio di previsione, le quali sono indispensabili per diversi motivi, vuoi per l’arrivo dei finanziamenti, realizzazione raddoppio Siena Nord, il giardino al Castello ed opera Francigena, il percorso pedonale a Belverde e poi tutti quei capitoli degli uffici.
La discussione è stata pacata, perché in questo momento particolare va dato merito che i conti in ordine è segno di una buona gestione delle risorse pubbliche, quindi ne va preso atto, come ho fatto, sottolineando l’efficienza degli uffici tutti, è che il mio voto contrario non è da riferirsi alla cattiva gestione delle risorse, o alle variazioni in corso, ma dal fatto di trovarmi sui banchi della minoranza in consiglio, che comunque mi porta ad essere prudente, fino a quando non arriveremo al bilancio consuntivo, dove se la buona gestione non sarà solo sulla carta, ne prenderò atto con il voto favorevole.

Poi siamo ritornati sulla mia interrogazione che allego sotto:

Oggetto: Interrogazione consiliare sulla carenza di segnaletica orizzontale, in via del Pozzo a San Martino e in via G. di Vittorio a Castellina Scalo.

Visto e considerato
-che in via del Pozzo dal civico 70 al civico 104, esiste un camminamento pedonale pubblico che passa davanti agli appartamenti e li collega di fatto
-che viene usufruito anche dai quartieri sottostanti, con la conseguenza che il flusso pedonale, in particolari orari, quali, ingresso e uscita delle scuole è intenso
-che il suddetto camminamento ha due sbocchi sulla strada che sono, uno in corrispondenza alla scuola materna e uno davanti al parcheggio che rimane dietro la scuola stessa
-che alla ripresa del’anno scolastico si sono intensificati gli attraversamenti della strada anche da parte dei bambini per raggiungere le scuole
-che i pedoni, obbligati dalle uscite del camminamento, attraversano la strada soltanto in prossimità delle stesse
- che non ci sono agenti della polizia Municipale a controllare il traffico veicolare e permettere l’attraversamento in sicurezza dei pedoni durante l’orario d’ingresso delle scuole

Considerato che la strada di via del Pozzo in direzione delle lottizzazioni ex novo è senza sfondo, la stessa è transitata nei due sensi di marcia.
Gli appartamenti, che insistono sulla parte finale via del Pozzo sono aumentati e sono abitati nella maggior parte da famiglie che hanno figli piccoli, quindi il flusso pedonale, per chi accompagna i figli a scuola e poi li riprende e il flusso delle autovetture di chi va a lavoro e poi rientra, sono spesso coincidenti.

Inoltre a Castellina Scalo, su via G. di Vittorio, arrivando dalla stazione, lungo tutto il perimetro della piazza della pace, sul marciapiede, non esiste una benché minima segnaletica orizzontale che permetta ai pedoni di attraversare la strada in sicurezza e raggiungere la piazza stessa.

Premesso che gli obblighi e competenze relative alle funzioni di gestione della strada sono di competenza dell’Ente come stabilito nell’Art. 38 cod. della strada.
Sulla base delle puntuali disposizioni di legge in materia di responsabilità, tutti gli Enti proprietari delle strade sono tenuti alla massima cura nel mantenimento della segnaletica stradale ed al controllo della sua efficienza, insieme alle altre condizioni di buona gestione.
In caso di incidente dovuto a carenza della segnaletica, in linea di principio deve affermarsi la responsabilità dell'Ente proprietario della strada.

Interrogo la giunta e il Sindaco per sapere
Come mai in prossimità delle uscite del camminamento pubblico sopradescritto, e in via G. di Vittorio manca qualsiasi tipo di segnaletica orizzontale, quali strisce pedonali, ecc. che permettano ai pedoni l’attraversamento della strada in sicurezza, e cartelli che ne segnalano la presenza agli automobilisti, sia in direzione della scuola, sia in direzione del parcheggio, sia per raggiungere piazza della Pace.

Ovviamente l’interrogazione non è nulla di particolare, e senz’altro è un piccolo problema, come ce ne sono altri sul territorio, rimane comunque un occasione per riparlare di sicurezza a 360 gradi, tema ormai inflazionato da anni su molti giornali, ma con significati e connotazioni differenti.
Infatti quando la destra parla di “sicurezza” è sempre sinonimo di presidio di forze dell’ordine e repressione, invece per me, come per la Federazione della Sinistra, questa “parola” acquista altri significati, vuol dire muoversi o vivere la vita di tutti i giorni all’insegna della sicurezza, che sia sul posto di lavoro, oppure camminando a piedi, in bicicletta, in auto o all’interno degli uffici pubblici, anche pretendendola da chi ne è preposto, come feci tempo fa, in una precedente interrogazione in consiglio, sollecitando l’amministrazione a chiudere le pratiche per mettersi in regola con il certificato prevenzione incendio, il quale certificato obbligatorio, non era in possesso di tutte le scuole normalmente in funzione, con tutti i rischi che ne poteva conseguire.

La risposta dell’assessore ha evidenziato un problema oggettivo nelle difficoltà di realizzare tale segnaletica in quanto mancano le distanze di sicurezza dalle curve e per la visuale stessa che potrebbe mettere ancora più in pericolo i pedoni se la segnaletica fosse fatta in posizione sbagliata, la soluzione potrebbe essere raggiungibile al momento della nuova iniziativa edilizia nella zona che permetterebbe di fare una strada che si ricollega nella via vicino alla Bassilichi e un marciapiede di collegamento per raggiungere il parcheggio sotto le scuole.
purtroppo speravo che il collegamento della strada fosse fatto senza ulteriori costruzioni visto che la zona è già inflazionata dall’edilizia.

Poi siamo passati al regolamento per l’utilizzo dei locali all’interno del complesso di Abbadia Isola, il quale andava aggiornato perché l’amministrazione, proprietaria del locale, è intenzionata a darlo in gestione a terzi.
Ovviamente il pretesto è per sostenere le spese di manutenzione e ammortizzare un po’ i costi, cosa discutibile se fosse stato per un servizio.
In questo caso il fatto che si tratti di un immobile è differente, infatti il locale costa di manutenzione, sia che venga adoperato, sia che venga tenuto chiuso, quindi l’aggiornamento del regolamento può garantire di fatto tutte quelle problematiche derivanti da una gestione di terzi.
Con il regolamento che si è votato garantisce oltre la disponibilità dei locali a tutta l’amministrazione, gruppi consiliari compresi a costo zero, per manifestazioni di interesse generale, ovviamente, anche la possibilità con la gestione futura di avere un calendario e un offerta di attività più varia.

Poi c’è stato il programma triennale delle opere pubbliche dove si evidenziavano soprattutto le scelte di procedere dove erano arrivati i finanziamenti, le variazioni decise poco prima, e siccome le opere pubbliche, nonostante siano legate al bilancio, hanno tempi di realizzazione più lunghi e nell’insieme ci sono progetti interessanti, ho deciso di astenermi e vedere cosa in questi anni si potrà veder realizzato, magari auspico anche un insieme di piccole opere che magari consolidi i centri urbani maggiormente penalizzati dallo sfruttamento edilizio.
All’ultimo punto la variante all’art 39 delle NTA del regolamento urbanistico che non erano altro che delle osservazioni per specificare meglio cosa poteva essere fatto e cosa non poteva essere fatto all’interno delle aree a verde privato di pertinenza dell’edificio e le aree a verde sempre di pertinenza ma di valore storico.