Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia

Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia

sabato 30 gennaio 2010

Io sto con Imposimato

In un momento cosi critico per la nostra Costituzione, che viene messa in pericolo con ogni mezzo, da chi dovrebbe difenderla, vale la pena leggere attentamente quanto scritto sotto....

Appello a Giorgio Napolitano
Illustre signor Presidente della Repubblica,

mi consenta di esprimere pubblicamente la mia perplessità circa il Suo appello a riforme istituzionali condivise, di cui però si ignorano i contenuti. Se le riforme riguardano materie bocciate dal referendum 2006, - senato federale, premierato e Consulta- credo sia legittimo chiedere che non siano riproposte. D'altra parte una riforma prioritaria concerne il conflitto di interessi, che riguarda la libertà e il pluralismo della informazione (art 21 cost), di cui nessuno parla. Mi sarei aspettato che la riforma proposta dalla opposizione riguardasse il superamento del controllo di tutte le TV da parte del Premier. Talune delle coscienze più sensibili del nostro Paese- Paolo Sylos Labini, Giorgio Bocca, Giovanni Sartori e Vito Laterza- fin dal 1994 lamentarono la violazione del decreto presidenziale 30 marzo 1957 n 361 che all'articolo 10 contempla il caso Berlusconi: “Non sono eleggibili coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private, risultino vincolati con lo Stato per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica...”. Quando Berlusconi fu eletto, il Parlamento concluse per la sua eleggibilità, in base ad un'assurda interpretazione della legge. Sartori ammonì: “io mi rifiuto di giocare a scacchi contro qualcuno che ha due regine perché così lui vince sempre ed io perdo sempre”. Ed è ciò che accade da anni. Non credo che questo si possa tollerare oltre.

La preoccupazione aumenta perché in base alle ricerche del Censis e dell'Unione Stampa cattolica siamo il Paese in cui la popolazione guarda la TV per tre ore e quaranta minuti al giorno, la media più alta d'Europa. Mentre il consumo di carta stampata si è di molto ridotto. Gli italiani sono videodipendenti. La TV costituisce il mezzo di (dis)informazione fondamentale di questo paese. Si può parlare di dittatura mediatica, nonostante le apparenze di libertà. Cinque delle sei TV sono direttamente o indirettamente controllate dal premier per ragioni di proprietà (mediaset) e di controllo politico (RAI). Al Presidente del Consiglio non può essere consentito di promuovere riforme esiziali per la democrazia solo perché ha subito una aggressione deprecabile le cui conseguenze non devono riflettersi sui cittadini. Albert Einstein, dall'America profetizzò 65 anni fa: “ Le moderne democrazie mascherano regimi tirannici: utilizzano i mezzi di comunicazione di massa come strumenti di disinformazione e di stravolgimento delle coscienze degli uomini”. La stessa analisi vale per l'Italia ove esiste un pensiero unico dominante nella informazione monopolizzata che brilla per la falsificazione delle notizie e i silenzi su questioni cruciali, come i rapporti mafia-politica. Per questo occorre uscire dal vago: democrazia è trasparenza e controllo. E la chiarezza e il controllo mancano nella partita delle riforme.

lunedì 25 gennaio 2010

Consiglio Comunale del 15 Gennaio

Scusate ma causa di forza maggiore [ le ferie ] non ho potuto aggiornare il blog, quindi ripartirò dal consiglio comunale del 15 gennaio, dove finalmente mi è stato risposto alle interrogazioni / interpellanze che avevo all'ordine del giorno da un paio di mesi....
Una riguardo al consumo del territorio, sulla cementificazione, [se questa amministrazione era sensibile al problema ], sotto l’interpellanza da me inoltrata datata ottobre ‘09:

Ordine del Giorno: STOP AL CONSUMO DI TERRITORIO
Premesso che:

La natura, la terra, l’acqua non sono risorse infinite. Il Paese è al dissesto idrogeologico, ( vedi quello che è successo a Messina dove la relazione della Protezione civile parla di "leggerezza di alcune scelte territoriali ). Un degrado capace di provocare un vero disastro, il patrimonio paesaggistico ed artistico rischia di essere irreversibilmente compromesso, l’agricoltura scivola verso un impoverimento senza ritorno, le identità culturali e le peculiarità di ciascun territorio e di ogni città sembrano destinate a confluire in un unico, uniforme e grigio contenitore indistinto.
Considerato che:
Il territorio del Comune di Monteriggioni nell’ultimo decennio è stato interessato da un esagerato consumo di territorio ai fini di nuovi insediamenti abitativi e produttivi.
Vedi; Il Rugio; Fornacelle; San Martino / Tognazza per le zone residenziali; Badesse; Pian del Casone ; Gabbricce, Serfignano, per le zone industriali.
L’urbanizzazione intervenuta ha superato il corretto equilibrio tra uomo e ambiente sia dal punto di vista della sostenibilità ambientale (impronta ecologica) sia dal punto di vista paesaggistico.
Tenuto conto che:
molte Associazioni riconoscono l’unicità di questo territorio, la grande eredità ricevuta e la necessità di tutela e valorizzazione.
Ritenuta superata l’equazione “maggior consumo di territorio = maggior sviluppo”.
Affermano che, se adeguatamente gestito, l’attuale patrimonio edilizio esistente può soddisfare ampiamente le esigenze abitative e produttive dell’intera area.
Considerano un territorio integro dal punto di vista paesaggistico, un valore spendibile anche dal punto di vista economico in termini di sviluppo turistico sostenibile.
Valutato che:
il territorio comunale di Monteriggioni, a breve, sarà interessato dal censimento degli immobili da parte della società Siena Ambiente S.p.A, e quindi potremo avere dei dati più precisi possibili per quanto riguarda, sia l’unità abitative che produttive, senza costi aggiuntivi da parte dell’amministrazione
Si interpella il Sindaco e la Giunta per sapere:
-il patrimonio edilizio esistente e quello che è stato costruito dal 2000 in poi, diviso in abitativo, commerciale, industriale e servizi, specificando le superfici tot. degli stessi, per avere la vera percentuale di edificato sul territorio
-tutte quelle unità ( abitative, commerciali e industriali ) che sono rimaste invendute, nel più breve tempo possibile, portare a conoscenza la cittadinanza con assemblee, incontri, per valutare quale necessità, reali e ambientali, ci possano essere nel continuare a costruire ancora insediamenti produttivi e abitativi sul nostro territorio.

un'altra riguardo ai certificati obbligatori che gli edifici pubblici devono avere per dichiararsi agibili, che anche questa allego sotto, datata novembre ‘09:

OGGETTO: chiarimenti sul Certificato Prevenzione Incendio e sulle verifiche obbligatorie in materia antisismica degli edifici pubblici di Monteriggioni.

In seguito alla richiesta di chiarimenti da parte della lista il Popolo della libertà sullo stato degli edifici scolastici, ho voluto approfondire anch’io alcuni aspetti riguardanti le certificazioni obbligatorie che devono essere presentate alla fine lavori, sia che trattasi di una ristrutturazione, sia che gli edifici pubblici abbiano avuto degli ampliamenti, come nel caso specifico dei plessi scolastici a Castellina Scalo e San Martino.
Per fare chiarezza, riporto sotto l’elenco dei documenti obbligatori da produrre alla fine lavori come da regolamento edilizio per l’agibilità degli stessi:
-E’ fatto obbligo da parte del Direttore dei Lavori attestare contemporaneamente alla dichiarazione di fine lavori la conformità dell’opera al progetto, nei 30 giorni successivi è fatto obbligo al Direttore dei Lavori presentare la certificazione di abitabilità/agibilità delle unità immobiliari, corredata dai seguenti documenti:
- Certificato Prevenzione Incendi del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco;
dall’organo competente quale i Vigili del Fuoco di Siena
-Certificato di collaudo dell’Ufficio del Genio Civile o dichiarazione che il deposito al
Genio Civile non è dovuto;
- Relazione di fine lavori relativa alle strutture depositata presso dell’Ufficio del Genio
Civile di Siena;
Come ho potuto riscontrare, almeno per i plessi scolastici, del primo certificato ( C.P.I ) ne sono sprovvisti.
Considerato che viene a mancare una delle certificazioni elencate, che sottolineo, sono obbligatorie, l’edificio non può considerarsi agibile.
La mancanza, che può sembrare un mero formalismo, nasconde invece questioni sostanziali:
la pericolosità dell’edificio per gli abitanti.
E la cosa non è da poco, vista la destinazione d’uso.
Come è potuta accadere una leggerezza cosi, visto che è obbligatorio produrre il certificato al momento della fine lavori, e se così fosse, chi ha autorizzato l’agibilità degli stessi, visto che il regolamento edilizio non lo contempla?
Visto l’inadempienza da parte del Comune su queste norme elementari, chiedo altresì che mi siano prodotte anche tutte le altre certificazioni sopracitate e la documentazione ai

sensi dell’OPCM n. 3274/2003 in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio e di normative tecniche per le costruzioni in zone sismiche, dove al comma 3, è riportata l’obbligatorietà della verifica a cura dei rispettivi proprietari, in questo caso il comune, degli edifici di interesse strategico e delle opere infrastrutturali la cui funzionalità durante gli eventi sismici assume rilievo per le finalità di protezione civile.

Le verifiche, riporta il comma, dovranno essere effettuate entro cinque anni dalla pubblicazione nella gazzetta ufficiale dell’OPCM n. 3274/2003, avvenuta l’otto maggio 2003, e riguardano in via prioritaria edifici e opere ubicate nelle zone 1 e 2, secondo quanto definito sopra, quindi nel caso specifico del Comune di Monteriggioni, in cui la classificazione sismica è la 2 (occorre infatti prendere in esame la classificazione operata dalla medesima norma istituente l’obbligo, ovverosia l’ OPCM n. 3274/2003, senza entrare al momento nel merito dell’artificioso declassamento operato dalla Regione Toscana), dette verifiche obbligatorie devono essere già state redatte e messe agli atti, in quanto la scadenza ultima era l’otto maggio del 2008.

Se le certificazioni sopra elencate non fossero state prodotte, come presumo, per qualsiasi rischio di incolumità delle persone all’interno dei plessi scolastici e per qualsiasi evento che si possa verificare agli stessi, declino ogni responsabilità al Sindaco, che rimane il responsabile ultimo come rappresentante dell’ente, in quanto gli immobili risulterebbero privi dei requisiti d’agibilità, secondo quanto stabilito del regolamento edilizio.
E’una mancanza di responsabilità nei confronti di tutti i cittadini, genitori, operatori e non ultimo i bambini, che si trovano all’interno delle strutture pubbliche, senza le certificazioni necessarie, e a mio avviso, ascrivibile quantomeno ad episodio di cattiva amministrazione laddove l’atto amministrativo sia un provvedimento dovuto in tutte le zone sismiche, visto che le scuole sono classificate come “edifici di interesse strategico”, quindi gli stessi, devono essere sottoposti ad attenzioni particolari come richiesto dalle leggi vigenti in materia, sia antisismica sia di protezione civile.

Ebbene, le risposte sono state al quanto singolari, mi spiego meglio, di solito a questo tipo di domande precise, corrispondono risposte secche, altrettanto precise, anche perché sulla qualità della vita e sulla sicurezza dei cittadini l’amministrazione comunale può entrarci in merito.
Alla mia prima domanda mi è stato risposto che le foto pubblicate sul mio blog, [post consumo del territorio] non corrispondono tutte a nuovi insediamenti ( prometto che aggiornerò le foto dei nuovi insediamenti, perché ce ne sono… ) e comunque, quei volumi costruiti, sono volumi di edifici esistenti e recuperati, anche se al posto dell’edificio esistente ( in questo caso la vecchia discoteca “Tendenza” ) ci sono stati fatti 48 appartenenti, e la discoteca é stata spostata in pian del Casone, quindi non è stato recuperato niente, semmai è stata fatta un’operazione di riqualificazione, non di riduzione, per l'altra foto del “Borgo Fornacelle” trattasi di un nuovo insediamento, ma a sentire loro quell’insediamento è stato ridotto della metà dei volumi del progetto che era previsto, se sapete dov'è, passateci, più che un borgo è diventato un paese!!, figurarsi come era il progetto iniziale!!
Poi come piace ripete all’assessore, ci s'era anche noi di rifondazione in maggioranza, quando è stato approvato, quindi non devono spiegazioni a nessuno, anche se voglio capire che peso potesse avere un assessore, per di più all'istruzione, su 6 in totale, comunque fa piacere sapere che l'assessore segue con interesse il mio blog.
Seguisse con la stessa attenzione la mia interpellanza capirebbe che è andato fuori tema, infatti le mie domande, come riportato sopra e come riporto nuovamente per diritto di cronaca erano le seguenti:
1) sapere il patrimonio edilizio costruito, per capire l’incremento delle superfici edificate nel territorio negli ultimi 10 anni
2) se sono a conoscenza delle unità abitative invendute, possibilmente divise tra commerciale, industriale e residenziale e non ultimo se ci sono reali necessità di destinare nuove aree per l’edilizia in genere, ecco mi sembra che le mie domande siano rimaste inevase, praticamente cosa è successo, si sposta l’attenzione su altre cose per non rispondere.
Per il secondo quesito sono rimasto veramente sconcertato dalla risposta dell’assessore ai lavori pubblici, tanto da non sapere se fosse una battuta inopportuna, oppure se fosse il caso di fare un esposto in procura!!
La domanda era chiara, ci sono i certificati prevenzione incendio, che ripeto, sono obbligatori per gli edifici pubblici, per dichiararsi “agibili” o no?
(Per edifici pubblici, nel nostro territorio, intendo principalmente le scuole).
La risposta è stata la seguente:
E’ difficile avere questi certificati in regola, in quanto sono di difficile produzione e nelle scuole i lavori si susseguono continuamente, quindi va aggiunta sempre nuova documentazioni da inoltrare ai vigili del fuoco, i quali una volta acquisita e verificata che sia in regola, eseguono un sopralluogo, che completa l’iter per il rilascio del certificato.
Se ho ben capito, siccome questo certificato è di difficile produzione si elimina il problema alla fonte, cioè non se ne fa di niente? non mi sembra un ragionamento che fila visto che il C.P.I manca a tutte e cinque le scuole ( 2 materne, 2 elementari e per la scuola media ) il problema è che il comune, come scritto nel regolamento edilizio, lo richiede obbligatoriamente per tutte le nuove unità abitative perché senza non possono dichiararsi agibili, allora le scuole come devono essere classificate? Ve lo dico io, le scuole sono, non soltanto edifici pubblici frequentatissimi, ma sono edifici pubblici di interesse strategico, quindi di vitale importanza in materia di sicurezza!!!
L’assessore come ha risposto? Ovviamente partendo di contropiede, tacciandomi come non rispettoso di questa amministrazione in quanto ho scritto nell’interpellanza che un episodio tale ( di presunzione prima, e di certezza adesso ) può essere ascrivibile quantomeno ad episodio di cattiva amministrazione laddove l’atto amministrativo sia un provvedimento dovuto in quanto obbligatorio per legge.
Poi si è preso tempo per constatare la veridicità delle mie preoccupazioni nelle sedi opportune, tra uffici competenti.
Queste è stata la risposta, di conseguenza anch’io verificherò che questi certificati vengano prodotti al più presto possibile per la sicurezza di chi frequenta le scuole, gli insegnanti, i genitori e l’alunni tutti.

sabato 23 gennaio 2010

Aumenti ai prof di religione, ci pensa Tremonti..mentre la "Pubblica" affonda!!

A proposito di privilegi...
Scatti stipendiali per gli insegnanti, ma solo per quelli di religione. Lo ha stabilito il ministero dell'Economia lo scorso 28 dicembre. Mentre i sindacati della scuola sono alle prese con un complicato rinnovo del contratto in favore di tutti i docenti e gli Ata (amministrativi, tecnici e ausiliari) della scuola, alla chetichella quelli di religione nella busta paga del mese di maggio troveranno una gradita sorpresa: il "recupero" degli scatti (del 2,5 per cento per ogni biennio, a partire dal 2003) sulla quota di retribuzione esclusa in questi anni dal computo. Supplenti compresi.

A spiegare la portata del provvedimento, che porterà nelle tasche degli interessati un bel gruzzoletto, è lo Snadir (il sindacato nazionale autonomo degli insegnanti di religione). "Gli aumenti biennali per gli insegnanti di religione, che in precedenza venivano calcolati nella misura del 2,5 per cento del solo stipendio base, dovranno ormai ammontare al 2,5 per cento dello stipendio base comprensivo della Indennità integrativa speciale". Una cosetta di non poco conto visto che l'Indennità integrativa speciale rappresenta circa un quarto dell'intera retribuzione dell'insegnante e che gli anni da recuperare sono tanti, quasi quattro bienni.

Quanto basta, e avanza, per riaccendere la polemica sui privilegi assegnati dallo Stato in questi ultimi anni ai docenti di religione cattolica: accesso alla cattedra su segnalazione dell'ordinario diocesano, assunzione sulla base di un successivo concorso riservato, passaggio ad altra cattedra in caso di perdita del requisito per insegnare la religione (l'attestato dell'ordinario diocesano) e scatti biennali anche per i precari). "Mentre il ministro Tremonti a dicembre ricorda alla Curia che presto saranno liquidati gli scatti biennali di anzianità al personale docente di eligione con incarico annuale o di ruolo, che non ha mai richiesto tale indennità sotto forma di assegno ad personam, permane, purtroppo, il silenzio verso tutto il restante personale precario", dichiara Marcello Pacifico, presidente dell'Anief (l'Associazione nazionale insegnanti ed educatori in formazione).


La questione è di particolare attualità perché una sentenza della Corte di giustizia europea del 2007 ha riconosciuto, secondo il principio di non discriminazione, il diritto agli scatti di anzianità anche a favore dei precari. E da allora sono diverse le associazioni di insegnanti italiane e sindacati che hanno intrapreso la via giudiziaria per farsi riconoscere questo diritto. Ma, ancora, non si sono visti i risultati.

E mentre migliaia di precari di lungo corso sono in attesa di un riconoscimento economico. Folgorato sulla via di Damasco, il ministero dell'Economia, scrive: "A seguito degli approfondimenti effettuati in merito all'oggetto, si comunica che questa Direzione ha programmato, sulla mensilità di maggio 2010, le necessarie implementazioni alle procedure per il calcolo degli aumenti biennali spettanti agli insegnanti di religione anche sulla voce IIS (Indennità integrativa speciale, ndr) a decorrere dal 1 gennaio 2003".

Il diritto agli scatti biennali in favore degli insegnanti di religione è stabilito da una legge del 1980, che poteva anche avere un senso: siccome i docenti di religione erano precari a vita, non era prevista cioè la loro stabilizzazione, era necessario stabilire un meccanismo per aggiornare loro lo stipendio. Ma poi nel 2005 arrivò il concorso e l'immissione in ruolo. E mentre per i precari della scuola non è previsto nessun aumento di stipendio in relazione all'anzianità di servizio, quelli di religione conservano questo trattamento: incremento del 2,5 per cento ogni due anni.

Secondo alcuni calcoli effettuati dai sindacati il caveau potrebbe valere 220 euro in più in busta paga, arretrati esclusi. Niente male per quasi 12 mila insegnanti di religione a tempo determinato attualmente in forza alle scuole italiane. Per il rinnovo del contratto degli insegnanti, invece, i sindacati hanno chiesto un aumento di 200 euro mensili da erogarsi in tre anni, ma il ministro della Pubblica amministrazione è disposto a concederne appena 20. E non solo. Vorrebbe agganciare gli aumenti di stipendio dei docenti al merito.

Intanto alla scuola pubblica,iniziano le iscrizioni e i problemi....

Negli anni passati la circolare che detta le regole e le modalità per l'iscrizione alla scuola statale è stata emanata nei primi giorni del mese di gennaio.
Per l'anno scolastico 2010/2011 questa consuetudine si interrompe e per la prima volta vengono emanate due distinte circolari, una per le iscrizioni alla scuola dell'infanzia e del primo ciclo
(CM 4/2010 e allegati), che ne prevede la scadenza al 27 febbraio 2010, e un'altra per il secondo ciclo con scadenza diversa.
Le ragioni di questa discontinuità sono da ricercare nel ritardo con il quale sono stati definiti i regolamenti sulla scuola secondaria superiore, al momento ancora non passati per la seconda lettura da parte del Consiglio dei Ministri, in ragione del quale il Governo ha deciso di rinviare ulteriormente la scadenza delle iscrizioni per il solo secondo ciclo al 26 marzo.
Abbiamo quindi deciso di produrre un commento articolato sulle due circolari, come da nostra tradizione, a partire da quella appena emanata che riguarda solo la scuola dell'infanzia ed il primo ciclo.
Anche questo è un segnale delle difficoltà che si stanno determinando a fronte di decisioni del Governo sulla scuola, di natura ideologica e finanziaria, che non tengono in alcun conto i diritti ad un' istruzione pubblica di qualità, costituzionalmente sanciti, e i tempi delle scuole per organizzare una buona offerta formativa.
Rimandiamo quindi al fascicolo sulle iscrizioni al primo ciclo, con schede specifiche informative e di orientamento, per la scuola dell'infanzia, scuola primaria, scuola secondaria di primo ciclo ed i corsi per gli adulti, più approfondimenti sui poteri e le competenze degli organi collegiali e della scuola autonoma.
Produrremo un secondo fascicolo, sulle iscrizioni alla scuola secondaria superiore, non appena la circolare specifica sarà emanata.
Secondo ciclo: tempi stretti e incertezze irrisolte
Slitterà a fine marzo l'iscrizione alle secondarie superiori e per la prima volta ci saranno due date e due circolari diverse per le famiglie che devono iscrivere i figli a scuola. Con questo spostamento il MIUR cerca di prendere tempo per portare a termine la sua "riforma". Ma il tempo manca comunque e le incertezze sono sempre più incalzanti.
I pareri del Consiglio di Stato su tecnici, professionali e licei non sono lisci: alcune cose ancora non vanno e le modifiche a cui il MIUR è stato costretto allungano i tempi circa la definizione dei programmi, delle cattedre e per tecnici e professionali anche dei sub-indirizzi. E le scuole non sanno quindi su cosa orientare. Manca ancora il parere delle commissioni parlamentari sicché l'approvazione definitiva da parte del consiglio dei ministri non arriverà prima della fine di gennaio, se tutto andrà bene, sennò potrebbe anche slittare più avanti.
Quanto tempo resterà alle scuole per fare l'orientamento? Chi parte prima si assume la responsabilità di dire cose non certe. Ancora molte sono le incertezze, a partire da quella se la partenza riguarderà solo le prime o anche le seconde o se comunque altre classi saranno interessate dalla riduzione degli orari a prescindere dall'ordinamento. Un bel rebus per tutti.
Un rinvio a questo punto apparirebbe come la soluzione migliore. Ma finora solo FLC Cgil e Gilda lo hanno richiesto.
La scuola secondaria superiore
La scuola vive un momento particolarmente difficile. Le politiche del Governo, attraverso tagli pesantissimi di risorse finanziarie e professionali, accelera il processo di destrutturazione del sistema di istruzione pubblica, impoverendo la qualità dell'offerta formativa e provocando drammatiche conseguenze occupazionali.
La scuola secondaria superiore è ormai allo sbando nella incertezza più assoluta rispetto al suo futuro. Abbiamo espresso il nostro giudizio fortemente negativo sui regolamenti per il riordino dei licei, degli istituti tecnici e professionali.
Con una lettera inviata ai gruppi parlamentari abbiamo ribadito la necessità del rinvio del processo di riorganizzazione della scuola secondaria superiore, nella considerazione che ormai i tempi per una corretta programmazione e per le attività di orientamento sono abbondantemente scaduti.
Con la nota operativa per la stesura del programma 2010, emanata dal Miur il 14 dicembre (già impugnata dalla FLC), il governo azzera le risorse per il funzionamento didattico e amministrativo delle istituzioni scolastiche e riduce anche i costi per le ditte che effettuano la sorveglianza e le pulizie, determinando il peggioramento del servizio, il licenziamento dei lavoratori degli appalti e maggiori carichi di lavoro per i collaboratori scolastici che hanno già subito pesanti tagli di organico.
Finanziamenti alle scuole. Siamo alla beffa
Le scuole sanno bene che entro il 15 dicembre di ogni anno devono presentare il loro programma annuale, cioè un bilancio finanziario in base alle attività didattiche programmate e alla previsione delle spese gestionali e organizzative. Ma le scuole, anche questo si sa, vivono di finanziamenti statali, visto che, ancora, l'istruzione pubblica è un obbligo verso i cittadini che la Repubblica è tenuta a rispettare.
Allora perché le scuole vengono a sapere il 22 dicembre, tramite una nota ministeriale, furbamente datata 14 dicembre, quanti soldi hanno a disposizione? E vengono così a sapere che non avranno tutti i finanziamenti necessari e che dovranno arrangiarsi. E come si devono arrangiare? Sistemando i bilanci come possono, anche senza rispettare le regole di contabilità che la legge impone a tutte le istituzioni pubbliche.
Dopo le dichiarazioni del segretario generale Pantaleo, che nei giorni scorsi ha smentito le incaute affermazioni di Gelmini in televisione su chi sa quali fondi previsti in finanziaria, la FLC Cgil ha deciso di impugnare la nota ministeriale sul programma annuale.
Ma nel frattempo le scuole che faranno?
L'integrazione degli alunni con cittadinanza non italiana
Il 9 gennaio scorso, dopo un comunicato MIUR dal titolo: Gelmini: "Tetto del 30% per gli alunni stranieri nelle classi, si parte dal 2010-2011 dalle classi prime di elementari, medie e superiori", viene emanata la CM n. 2/10 avente ad oggetto "Indicazioni e raccomandazioni per l'integrazionedi alunni con cittadinanza non italiana".
Il testo della circolare è caratterizzato da una sostanziale ambiguità, effetto probabilmente dello
sforzo di tener conto ad un tempo delle norme vigenti, caratterizzate da ispirazioni e finalità
inclusive (si confronti il documento "La via italiana per la scuola interculturale e l'integrazione degli alunni stranieri") e di un'intenzionalità politica fortemente condizionata dall'approccio ideologico, xenofobo e (pseudo) securitario della Lega e quindi di segno ben diverso, anzi opposto.
Pur essendo presente un richiamo a pratiche senz'altro positive, peraltro già esperite e documentate nelle situazioni più avanzate come gli accordi di rete o il riferimento ai mediatori culturali, il testo sembra comunque costruito intorno ad un'idea chiave: quella che identifica nella presenza degli alunni immigrati uno dei problemi di funzionamento della scuola italiana; una condizione di rischio per l'apprendimento e gli esiti formativi di tutti.
Più che di un'idea si tratta di un pregiudizio. Di assunti assolutamente indimostrati ma del tutto consonanti con il messaggio che viene quotidianamente veicolato su tutta la tematica dell'immigrazione: esiste un limite di accettazione degli immigrati e quindi sono giusti i respingimenti ed è giusto aver stabilito che esiste il reato di immigrazione clandestina e conseguentemente è utile ed è giusto limitare il numero degli alunni "stranieri" nelle nostre classi.
Che di pregiudizio si tratti ne è implicita conferma la circolare stessa, laddove, a sostegno dell'affermazione che le criticità che derivano dalla presenza degli alunni stranieri "finiscono inevitabilmente per riverberarsi sul complessivo processo di apprendimento dell'intera classe", si rimanda alle "riserve" e alle "resistenze" talora emerse da parte delle famiglie.
Si tratta di un atto probabilmente inapplicabile sia per il merito (deporteremo i bimbi dai quartieri a maggioranza migrante o importeremo i bimbi dai quartieri “autoctoni”?) sia per la forma (una circolare non è un atto appropriato in merito e la sua prescrittività è persino dubbia), ma che intanto lascia il segno. Un atto quindi inutile ma che serve a dare un segnale ancor più grave perché viene dal governo e da chi nel governo ha la responsabilità dell’educazione. E il segno è quello di una politica razzista (che non è quindi solo appannaggio della compagine leghista), è quello della blandizie verso le peggiori pulsioni xenofobe (abbiamo visto qualcosa del genere a Rosarno), è quello dell’incoraggiamento alla individuazione del capro espiatorio.
Bella educazione! Non c’è che dire!

martedì 12 gennaio 2010

Mozioni sul crocifisso , uno per uno, non fa male a nessuno

Nel prossimo consiglio comunale, a Monteriggioni, sono state presentate due mozioni sul crocifisso, una dal Pdl, per la valorizzazione della "nostra identità" ed in merito alla sentenza della corte europea, un'altra dal centrosinistra x Monteriggioni ( il pd-elle per capirci ) sull'affissione del crocifisso nelle aule, sempre per la sentenza emanata della corte europea.
Qualcuno si chiederà, cosa cambia? niente! cioè, niente di nuovo sotto il sole direi, pur di non parlare di niente ci sono due ordini del giorno a testimoniarlo!!!
Io adesso proverò a sintetizzare, anzi a specificare, ad entrare nel merito della questione, nel tempo necessario, cosa che non potrò avere come tempo di relazione in consiglio comunale, in quanto il tempo a disposizione, come dice il regolamento, per esprimere "la mia dichiarazione di voto nelle mozioni" consiste in 5 minuti, ditemi voi come è possibile esplorare un tema cosi controverso e allo stesso tempo cosi "etereo".
Proverò ad analizzarlo partendo dalla scuola, dove per l'appunto, la corte europea ha deciso di far togliere il crocifisso dalle aule, per poi continuare su alcuni aspetti non tanto marginali..."i privilegi" della religione di stato!!!
In Italia la stragrande maggioranza delle scuole private risulta gestita direttamente da ordini o istituti cattolici o si ispira all’educazione cattolica.
Per chi considera che l'educazione è un compito esclusivo o principale dello stato una legislazione che determina lo stanziamento di fondi pubblici in favore della scuola privata è considerato come un "favore" alla Chiesa cattolica.

Le scuole non statali ricevono oggi denaro pubblico sotto forma di:

• sussidi diretti, per la gestione di scuole dell’infanzia e primarie;
• finanziamenti di progetti finalizzati all’elevazione di qualità ed efficacia delle offerte formative di scuole medie e superiori;
• contributi alle famiglie (i "buoni scuola" per le scuole di ogni ordine e grado).
Nonostante questi finanziamenti, molte famiglie non possono esercitare quello che considerano il loro diritto di scegliere la scuola per i loro figli, perché i costi delle scuole private rimangono di gran lunga proibitivi per la maggior parte delle famiglie italiane.

Il dettato della Costituzione italiana [modifica]

L'articolo 33 della Costituzione della Repubblica italiana dà il diritto "ad Enti e privati di istituire scuole ed istituti di educazione senza oneri per lo Stato".

Questo articolo ha fondamentalmente due interpretazioni:
• da parte di chi sostiene l'applicazione letterale della costituzione: lo stato, pur riconoscendo il diritto di istituzione di scuole private, non può (non deve) accollarsene alcun tipo di onere;
• da parte di chi, nel valorizzare le istituzioni intermedie nell'educazione, interpreta che l'"assenza di oneri per lo stato" si riferisca al momento dell'istituzione e non riguardi la normale gestione e amministrazione; anche in tale visione le scuole private sono un diritto che lo stato deve riconoscere, ma, in più, lo stato deve sostenere la libertà di scelta dell'istituzione scolastica da parte delle famiglie, finanziando le scuole private allo stesso modo di quelle pubbliche.

Sussidi diretti [modifica]

Il DM 261/98 ed il DM 279/99 (Ministro della Pubblica istruzione Luigi Berlinguer, Democratici di Sinistra), ed il testo unico «concessione di contributi alle scuole secondarie legalmente riconosciute e pareggiate» che li ha convertiti in legge, hanno costituito il presupposto per la regolare concessione di finanziamenti alle scuole private.

Il governo D’Alema bis ( l'inizio del Pd-elle ) con la legge 62/2000 ha sancito l'entrata a pieno titolo nel sistema di istruzione nazionale delle scuole private, che pertanto devono essere trattate alla pari anche sul piano economico.
La legge prevede anche:
• l'applicazione anche alle scuole paritarie del trattamento fiscale riservato agli enti senza fini di lucro;
• l'istituzione di fatto dei buoni scuola statali (stanziamento di 300 miliardi di lire a decorrere dal 2001);
• l'aumento di 60 miliardi di lire dello stanziamento per i contributi per il mantenimento di scuole elementari parificate;
• l'aumento di 280 miliardi di lire dello stanziamento per le spese di partecipazione alla realizzazione del sistema prescolastico integrato;
• lo stanziamento di un fondo di 7 miliardi di lire per le scuole che accolgono disabili (per la scuole pubbliche l’accoglimento dei disabili è da sempre obbligatorio).
Il governo Berlusconi, Ministro Letizia Moratti, con il DM 27/2005 ha apportato alla Legge 62/2000 le seguenti modifiche:

• non si parla più di "concessione di contributi", ma di vera e propria "partecipazione alle spese delle scuole secondarie paritarie";
• è abbassata la soglia di alunni per classe (da 10 a 8) per l’accesso ai contributi;
• vengono innalzati i livelli massimi dei contributi (12.000 euro per una scuola media, 18.000 per una scuola superiore);
• sono più che raddoppiati i finanziamenti per i progetti formativi (da circa 6 milioni di euro ad oltre 13 milioni).
Nel 2005 l'ammontare dei contributi alle scuole non statali è stato di circa 527 milioni di euro (si veda la circolare ministeriale 38/2005).
Nel 2006 a fronte dei tagli apportati dalla legge finanziaria, i finanziamenti diretti alla scuola non statale sono stati incrementati[1]. Infatti, dalla comparazione delle somme stanziate dalla precedente c.m. 38/2005 con quelle della c.m. 31/2006 si evidenzia il passaggio dalla somma complessiva revisionale di circa 527,5 milioni a quella di circa 532,3 milioni di euro con un aumento di circa 4,8 milioni di euro, assegnati ai capitoli delle unità previsionali di base “scuole non statali” degli Uffici scolastici regionali, mentre sono rimaste invariate le somme relative ai capitoli 1291 e 1474 delle unità previsionali di base “scuole non statali” dell’Amministrazione centrale.

Buoni scuola [modifica]

I buoni scuola vengono istituiti nel 2000 dal Governo di centro-sinistra con la Legge 62/2000 sulla parità scolastica con un piano straordinario di finanziamento, attuato poi dal governo di centro-destra con la Legge 289/2002 che prevede un tetto di 30 milioni di euro per il triennio 2003-2005.
La Legge finanziaria 2004 del governo Berlusconi (Ministro Moratti), aumenta il tetto per il 2005 a 50 milioni di euro con accesso indiscriminato ai buoni per tutte le famiglie, senza cioè limite di reddito alcuno. La legge sulla parità, inoltre, non prevede alcuna incompatibilità dei buoni statali con eventuali buoni regionali (previsti poi da Veneto, Emilia-Romagna, Friuli, Lombardia, Liguria, Toscana, Sicilia, Piemonte), per cui di fatto buoni statali e regionali risultano cumulabili.

Insegnanti di religione [modifica]

La Legge 186/2003[2] definisce lo stato giuridico degli insegnanti di religione cattolica di qualsiasi tipo di scuola.
L'idoneità all’insegnamento della religione cattolica è data dal Vescovo. In precedenza, stante l'attuale normativa che prevede l'obbligatorietà nell'organizzare l'ora di religione da parte dello stato ma la facoltatività di adesione da parte degli studenti, lo Stato assumeva gli insegnanti di religione con contratti annuali, in funzione dell'effettiva esigenza (in poche parole, in base al numero delle classi con studenti che richiedevano l’insegnamento della religione); con la Legge 186 gli insegnanti di religione cattolica diventano dipendenti statali a tutti gli effetti, con stato giuridico, trattamento economico e diritto alla mobilità equivalenti a tutti gli altri insegnanti, in precedenza il trattamento economico era già equiparato a quello degli insegnanti di ruolo.
Il diritto alla mobilità rende possibile per gli insegnanti di religione abilitati all’insegnamento di altre materie, in caso di revoca dell’abilitazione del vescovo o semplicemente per scelta personale, il passaggio ad altra cattedra scavalcando così tutti i precari in graduatoria per quella cattedra.
Inoltre, per tutti i 15.000 insegnanti di religione cattolica diventati dipendenti statali, l'eventuale revoca dell’abilitazione da parte del vescovo comporta per lo Stato l’obbligo di provvedere al loro impiego alternativo.
Università cattoliche [modifica]
La Finanziaria 2004 prevede uno stanziamento di 20 milioni di euro per il 2004 e 30 milioni per il 2005 da destinare all’Università Campus Bio-Medico per la parziale realizzazione di un policlinico universitario, per il potenziamento della ricerca biomedica in Italia:
il provvedimento è stato criticato per l'essere un finanziamento di denaro pubblico da parte dello stato "laico" ad un'università privata che si autodefinisce "opera apostolica della Prelatura dell’Opus Dei", che "intende operare in piena fedeltà al Magistero della Chiesa Cattolica, che è garante del valido fondamento del sapere umano, poiché l’autentico progresso scientifico non può mai entrare in opposizione con la Fede, giacché la ragione (che ha la capacità di riconoscere la verità) e la fede hanno origine nello stesso Dio, fonte di ogni verità" , il cui "personale docente e non docente, gli studenti e i frequentatori dell’Università [...] considerano l’aborto procurato e la cosiddetta eutanasia come crimini in base alla legge naturale; [...] ritiene inoltre inaccettabile l’uso della diagnostica prenatale con fini di interruzione della gravidanza ed ogni pratica, ricerca o sperimentazione che implichi la produzione, manipolazione o distruzione di embrioni [...], riconoscono che la procreazione umana dipende da leggi iscritte dal Creatore nell’essere stesso dell’uomo e della donna, ed è sempre degna della più alta considerazione"» (dalla Carta delle finalità).
La Finanziaria del 2005 prevede un finanziamento di 15 milioni di euro per il Centro San Raffaele del Monte Tabor di don Luigi Verzè.
Nel 2004 il governo, tramite il Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario, istituisce diverse ulteriori università non statali, legalmente riconosciute tra cui l’Università Europea di Roma".
Il ministero dell’Istruzione (Letizia Moratti), sempre in contrasto col parere dei rettori, dà anche riconoscimento ufficiale all’Università europea degli studi Franco Ranieri, con sede in una palazzina di Messina di tal signor Ranieri, alla cui inaugurazione, nell'ottobre del 2004, partecipano il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta ed il governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio.
La legge 293/2003 conferisce riconoscimento legislativo all’Istituto di studi politici San Pio V finanziandolo per 1,5 milioni di euro annui. L’istituto, con sede in Roma, è promotore della creazione della Libera università degli studi San Pio V, sempre in Roma.
Assistenza religiosa negli ospedali pubblici [modifica]

Dal 2000 al 2005 numerose regioni italiane (la Sicilia e la Lombardia, governate dal centro-destra; l’Umbria e la Toscana, governate dal centro-sinistra) firmano con i presidenti delle Conferenze Episcopali regionali schemi di intesa per l’assistenza religiosa negli ospedali pubblici. In particolare, quello tra la Regione Lombardia, firmato da Roberto Formigoni, Presidente della Regione, di Forza Italia, e il Cardinal Dionigi Tettamanzi, prevede che in tutte le strutture sanitarie pubbliche e private sia previsto almeno un “assistente religioso”, due in strutture con più di 300 posti letto, uno ogni 350 in strutture con più di 700 posti letto. Gli assistenti religiosi devono essere assunti dalla struttura ospedaliera ospitante a cui carico è pure la messa a disposizione di: spazi per le funzioni di culto e per l’attività religiosa, alloggi per gli assistenti, uffici, arredi, suppellettili, attrezzature, nonché tutte le spese necessarie al loro mantenimento; spese di illuminazione, e riscaldamento (artt. 1, 2, 4, 10 dell’Intesa).
Radio e televisione [modifica]

Radio cattoliche [modifica]
Con la Legge finanziaria del 2005 viene stanziato 1 milione di euro per il potenziamento e l'aggiornamento tecnologico nel settore della radiofonia. I soggetti che possono usufruire del contributo sono quelli indicati al comma 190 della Finanziaria del 2004, cioè: le "emittenti radiofoniche nazionali a carattere comunitario". Le uniche due emittenti che rispondono al requisito sono Radio Padania Libera, la radio della Lega Nord, e Radio Maria.

RAI: mancati introiti pubblicitari [modifica]

La Sipra, società concessionaria della pubblicità della Rai, ha resa nota la cifra, pari a 9,2 milioni di euro, relativa al costo sostenuto dalla RAI per il mancato introito pubblicitaro dovuto alle variazioni di palinsesto in occasione della massiccia copertura televisiva data alla morte di Giovanni Paolo II (con lunghe dirette da piazza San Pietro, spesso a reti unificate) ed alla nomina di Benedetto XVI (con le numerose trasmissioni di "approfondimento").
Alcuni inoltre hanno sollevato delle critiche di merito su come è stato trattato l'evento dal punto di vista qualitativo e di contenuto giornalistico, giudicato troppo agiografico e con scarsa pluralità ed approfondimento.
Otto per mille

La ripartizione della quota dell'otto per mille non direttamente assegnata (per mancata indicazione di preferenza da parte dei contribuenti) avviene proporzionalmente all'ammontare di quanto assegnato invece con esplicita espressione della preferenza. Ciò avvantaggia la Chiesa cattolica rispetto alle altre istituzioni aventi diritto in quanto, appunto, la Chiesa Cattolica è storicamente destinataria della maggior parte delle preferenze.
È oggetto di aspre ed annose polemiche l'utilizzo che la Chiesa Cattolica fa dei fondi assegnati, in particolare riguardo la percentuale destinata ad opere caritative: nel 2004, dei 984 milioni di euro assegnati alla Chiesa, solo 195 vengono destinati ad opere caritative: meno del 20%, mentre la quota destinata per le esigenze di culto (catechesi, tribunali ecclesiastici, manutenzione e rinnovo degli immobili, gestione del patrimonio) è del 46,5%; del 33,6% quella per il sostentamento del clero. La Chiesa Cattolica non comunica quale percentuale dei fondi ottenuti sia usata a scopo pubblicitario e gestionale.

A ciò si aggiunge la novità introdotta dal governo Berlusconi (DPC pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 26/1/2005 ): una parte cospicua dei fondi assegnati dai cittadini allo Stato è destinata al finanziamento di opere di restauro di beni ed edifici a carattere religioso di valore storico ed artistico, ma di proprietà dello Stato (circa 10 milioni di euro, il 10% dei 100 milioni complessivi di quota statale)
Alla faccia dello stato laico.......!!!!

domenica 10 gennaio 2010

Anno nuovo problemi vecchi

La prossima settimana ripartono le commissioni consiliari e gli appuntamenti non mancano, ma soprattutto si riparte con l’urbanistica, il vero motore della macchina comunale.
I problemi però sono all’ordine del giorno, infatti nello scorso consiglio comunale ho dovuto mandare una diffida ai dirigenti e a tutti i consiglieri a non compiere atti impegnativi verso l’esterno su una variante puntuale in loc. Castiglioncello in quanto difforme su vari punti.
Il problema di queste varianti e dei documenti sull’urbanistica in generale sono complessi e come ho già sollecitato i documenti da analizzare richiederebbero più tempo per approfondire ed entrare in merito alle situazioni e per dare un vero contributo in commissione, come sarebbe auspicabile, visto che le commissioni tutte, sono strumenti di supporto al consiglio comunale.
Basta pensare che la documentazione arriva in commissione, magari, dopo un mese di lavoro preparatorio dagli uffici tecnici, quindi è impensabile di dover analizzare e poter dare un contributo, il tutto nella riunione stessa.
Io non demordo, ho presentato anche una interpellanza con il titolo “stop al consumo del territorio”, perché penso e con i documenti richiesti all’ufficio urbanistica, ne avrò conferma, che non si può continuare cosi per motivi legati alla legge 1444/68, art.3-4-5 e 6, I quali precetti contenuti negli articoli sono talmente chiari che non occorre dire altro, infatti recita cosi:


RAPPORTI MASSIMI, TRA GLI SPAZI DESTINATI AGLI INSEDIAMENTI RESIDENZIALI E GLI SPAZI PUBBLICI O RISERVATI ALLE ATTIVITÀ COLLETTIVE, A VERDE PUBBLICO O A PARCHEGGI

Per gli insediamenti residenziali, i rapporti massimi di cui all'art. 17 - penultimo comma - della legge n.765, sono fissati in misura tale da assicurare per ogni abitante - insediato o da insediare - la dotazione minima, inderogabile, di mq 18 per spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggio, con esclusione degli spazi destinati alle sedi viarie.
Tale quantità complessiva va ripartita, di norma, nel modo appresso indicato:

a) mq 4,50 di aree per l'istruzione: asili nido, scuole materne e scuole dell'obbligo;

b) mq 2 di aree per attrezzature di interesse comune: religiose, culturali, sociali, assistenziali, sanitarie, amministrative, per pubblici servizi (uffici poste e telegrafi, protezione civile, ecc.) ed altre;

c) mq 9 di aree per spazi pubblici attrezzati a parco e per il gioco e lo sport, effettivamente utilizzabili per tali impianti con esclusione di fasce verdi lungo le strade;

d) mq 2,50 di aree per parcheggi (in aggiunta alle superfici a parcheggio previste dall'art. 18 della legge n. 765): tali aree - in casi speciali - potranno essere distribuite su diversi livelli.
Ai fini dell'osservanza dei rapporti suindicati nella formazione degli strumenti urbanistici, si assume che, salvo diversa dimostrazione, ad ogni abitante insediato o da insediare corrispondano mediamente mq 25 di superficie lorda abitabile (pari a circa mc 80 vuoto per pieno), eventualmente maggiorati di una quota non superiore a mq 5 (pari a circa mc 20 vuoto per pieno) per le destinazioni non specificamente residenziali ma strettamente connesse con le residenze (negozi di prima necessità, servizi collettivi per le abitazioni, studi professionali, ecc.).

Art. 4.
QUANTITÀ MINIME DI SPAZI PUBBLICI O RISERVATI ALLE ATTIVITÀ COLLETTIVE, A VERDE PUBBLICO O A PARCHEGGI DA OSSERVARE IN RAPPORTO AGLI INSEDIAMENTI RESIDENZIALI NELLE SINGOLE ZONE TERRITORIALI OMOGENEE

La quantità minima di spazi - definita al precedente articolo in via generale - è soggetta, per le diverse zone territoriali omogenee, alle articolazioni e variazioni come appresso stabilite in rapporto alla diversità di situazioni obiettive.

1 - Zone A): l'amministrazione comunale, qualora dimostri l'impossibilità - per mancata disponibilità di aree
idonee, ovvero per ragioni di rispetto ambientale e di salvaguardia delle caratteristiche, della conformazione e delle funzioni della zona stessa - di raggiungere le quantità minime di cui al precedente art. 3, deve precisare come siano altrimenti soddisfatti i fabbisogni dei relativi servizi ed attrezzature.

2 - Zone B): quando sia dimostrata l'impossibilità - detratti i fabbisogni comunque già soddisfatti - di raggiungere la predetta quantità minima di spazi su aree idonee, gli spazi stessi vanno reperiti entro i limiti delle disponibilità esistenti nelle adiacenze immediate, ovvero su aree accessibili tenendo conto dei raggi di influenza delle singole attrezzature e delle organizzazioni dei trasporti pubblici.
Le aree che verranno destinate agli spazi di cui al precedente art. 3 nell'ambito delle zone A) e B) saranno computate, ai fini della determinazione delle quantità minime prescritte dallo stesso articolo, in misura doppia di quella effettiva.

3 - Zone C): deve essere assicurata integralmente la quantità minima di spazi di cui all'art. 3.
Nei comuni per i quali la popolazione prevista dagli strumenti urbanistici non superi i 10 mila abitanti, la predetta quantità minima di spazio è fissata in mq 12 dei quali mq 4 riservati alle attrezzature scolastiche di cui alla lettera a) dell'art. 3. La stessa disposizione si applica agli insediamenti residenziali in comuni con popolazione prevista superiore a 10 mila abitanti, quando trattasi di nuovi complessi insediativi per i quali la densità fondiaria non superi mc/mq 1.
Quando le zone C) siano contigue o in diretto rapporto visuale con particolari connotati naturali del territorio (quali coste marine, laghi, lagune, corsi d'acqua importanti; nonché singolarità orografiche di rilievo) ovvero con preesistenze storico-artistiche ed archeologiche, la quantità minima di spazio di cui al punto c) del precedente art. 3 resta fissata in mq 15: tale disposizione non si applica quando le zone siano contigue ad attrezzature portuali di interesse nazionale.

4 - Zone E): la quantità minima è stabilita in mq 6, da riservare complessivamente per le attrezzature ed i servizi di cui alle lettere a) e b) del precedente art. 3.

5 - Zone F): gli spazi per le attrezzature pubbliche di interesse generale - quando risulti l'esigenza di prevedere le attrezzature stesse - debbono essere previsti in misura non inferiore a quella appresso indicata in rapporto alla popolazione del territorio servito:
1,5 mq/abitante per le attrezzature per l'istruzione superiore all'obbligo (istituti universitari esclusi);
1 mq/abitante per le attrezzature sanitarie ed ospedaliere;
15 mq/abitante per i parchi pubblici urbani e territoriali.

Art. 5.
RAPPORTI MASSIMI TRA GLI SPAZI DESTINATI AGLI INSEDIAMENTI PRODUTTIVI E GLI SPAZI PUBBLICI DESTINATI ALLE ATTIVITÀ COLLETTIVE, A VERDE PUBBLICO O A PARCHEGGI

I rapporti massimi di cui all'art. 17 della legge n. 765, per gli insediamenti produttivi, sono definiti come appresso:
1) nei nuovi insediamenti di carattere industriale o ad essi assimilabili compresi nelle zone D) la superficie da destinare a spazi pubblici o destinata ad attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi (escluse le sedi viarie) non può essere inferiore al 10% dell'intera superficie destinata a tali insediamenti;
2) nei nuovi insediamenti di carattere commerciale e direzionale, a mq 100 di superficie lorda di pavimento di edifici previsti, deve corrispondere la quantità minima di mq 80 di spazio, escluse le sedi viarie, di cui almeno la metà destinata a parcheggi (in aggiunta a quelli di cui all'art. 18 della legge n. 765); tale quantità, per le zone A) e B) è ridotta alla metà, purché siano previste adeguate attrezzature integrative.

Art. 6.
MANCANZA DI AREE DISPONIBILI
I comuni che si trovano nell'impossibilità, per mancanza di aree disponibili, di rispettare integralmente le norme stabilite per le varie zone territoriali omogenee dai precedenti artt. 3, 4 e 5 debbono dimostrare tale indisponibilità anche agli effetti dell'art. 3 lettera d) e dell'art. 5, n. 2 della legge n. 765.

In sostanza vi è il principio che l’attività edificatoria privata non deve pesare sulla collettività e che con il pagamento degli oneri concessori il privato non fa altro che ripagare il Comune degli investimenti che il medesimo ha già effettuato in pregresso.
Per quanto riguarda la temporalità della ricerca e realizzazione delle opere di urbanizzazione (sia primaria che secondaria) vige il principio che nelle aree di nuovo impianto (o di lottizzazione come si vuol dire) il soddisfacimento della quantità necessaria (e non per forza minima, ma anche superiore al minimo per quanto sia infatti necessaria) deve essere effettuato all’interno della zona di nuovo impianto e contestualmente alla realizzazione della lottizzazione.
Per quanto riguarda le opere di urbanizzazione che devono soddisfare gli insediamenti già realizzati è il Comune che attraverso il programma triennale delle opere pubbliche (P.O.T.) deve programmarne la ricerca e la realizzazione in considerazione delle risorse finanziare disponibili.
Orbene, quando i privati ad esempio ristrutturano o costruiscono una piccola casetta o negozio, ecc. (al di fuori delle aree di lottizzazione) il Comune deve destinare i soldi incamerati a titolo di contributo di costruzione in appositi capitoli d spesa in modo che al momento giusto (ovverosia al momento della formazione del P.O.T.) sappia quante risorse finanziarie ha disponibili per andare a realizzare i servizi che necessitano agli insediamenti esistenti.
E’ ovvio che se il Comune invece di accantonare i soldi avuti dai privati per l’edificazione li spende per altre spese (anche correnti) che non riguardano gli investimenti obbligatori (in quanto necessari a sanare ed assicurare i servizi) ecco che compie abuso d’ufficio, distrazione di risorse pubbliche e gravi irregolarità di tenuta e formazione dei bilanci.
i Comuni al momento si avvalgono di una normetta inserita dal Governo Prodi che recita più o meno così: “I comuni possono spendere i soldi ricevuti per oneri di urbanizzazione anche per le spese correnti …”. Tutte le amministrazioni comunali hanno interpretato tale norma nel senso che è loro completa facoltà stabilire come utilizzare le risorse incamerate. In realtà, e per diritto, quando il legislatore usa il termine “può” sta ad indicare che devono prima essere soddisfatti i limiti legali che sussistono all’interno dell’ordinamento prima di poter (eventualmente) esercitare la facoltà.
Ne deriva che solamente dopo che il Comune dimostri che i soldi incamerati non occorrono per realizzare i servizi deficitari inerenti gli insediamenti già esistenti gli subentra la facoltà di spenderli anche per spese correnti (e quindi non per investimenti).

E’ questo il motivo per il quale l’edilizia nell’ultimo decennio è stata vista dai comuni come la mucca da mungere e da cui attingere il latte per soddisfare le loro sempre più inverosimili seti di spesa: il tutto a scapito del territorio e si badi bene anche della salute dei cittadini (perché la qualità dell’aria, dell’acqua, l’inquinamento sonoro, sono dirette conseguenze della fruizione del territorio e delle attività ivi insediate). Ne va della nostra salute !

martedì 5 gennaio 2010

Saldi di fine stagione, Italia!!

Sembra una svendita di fine stagione, invece è l’Italia intera che rischia di essere svenduta al miglior offerente, nei casi migliori, oppure agli amici degli amici nei casi peggiori, da una politica miope, che si riempie la bocca di “semplificazione” e “federalismo”, lasciando alla mercé di costruttori e a mafiosi con capitali illeciti, l’acquisto di terreni e beni demaniali per far cassa a uno stato sempre più indebitato!!!

Siamo alla liquidazione totale del demanio statale. Si svende un enorme patrimonio pubblico che appartiene a tutti i cittadini: settentrionali e meridionali, ricchi e poveri, di destra e di sinistra.
Il decreto legislativo sul cosiddetto "federalismo demaniale", varato dal Consiglio dei ministri alla vigilia di Natale e rimesso ora all'esame delle competenti Commissioni parlamentari, prevede il trasferimento dei beni statali a Comuni, Province e Regioni, con la dismissione in massa di edifici pubblici, caserme e altre installazioni militari, terreni, spiagge, fiumi, laghi, torrenti, sorgenti, ghiacciai, acquedotti, porti e aeroporti. E come denuncia il presidente dei Verdi, Angelo Bonelli, una volta approvato definitivamente potrebbe innescare "la più grande speculazione edilizia e immobiliare nella storia della Repubblica". Sono in tutto sette gli articoli del provvedimento, presentato dal ministro della Semplificazione Normativa, il leghista Roberto Calderoli. Un grimaldello legislativo per forzare la "mano morta" che blocca, come si legge nella relazione introduttiva, "un patrimonio abbandonato e improduttivo". Ma proprio in nome della semplificazione e della valorizzazione, due esigenze entrambe apprezzabili, si rischia in realtà di scardinare una cassaforte che contiene beni collettivi inalienabili: compresi quelli "assoggettati a vincolo storico, artistico e ambientale che non abbiano rilevanza nazionale", come si legge all'articolo 4.
L'opposizione dei Verdi, a cui non possono non aderire gli ambientalisti più avvertiti e sensibili, punta in particolare contro due norme considerate devastanti. La prima (art.5, comma b) stabilisce che la delibera del piano di alienazione e valorizzazione da parte del Consiglio comunale "costituisce variante allo strumento urbanistico generale": in pratica, un meccanismo automatico di modifica dei piani regolatori, al di fuori di qualsiasi logica e programmazione.
Norma devastante, che ho criticato anche in consiglio comunale a Monteriggioni, dove agli inizi di dicembre in commissione urbanistica veniva decisa una delibera simile, un piano di alienazione che variava lo strumento urbanistico su una zona sensibile di tutela ambientale, dove a suo tempo ( il 1978 ) era avvenuto l’esproprio per un motivo preciso, ed oggi con questa norma viene reinserito nel patrimonio comunale a titolo puramente speculativo per far cassa!!!
L'altra norma controversa è quella che semplifica le procedure per l'attribuzione dei beni statali ai fondi immobiliari (art. 6): "Si tratta - commenta Bonelli - di un maxi-regalo alle grandi famiglie dei costruttori che hanno già saccheggiato il territorio italiano, attraverso lo sfruttamento del territorio e la speculazione edilizia". In attesa di un censimento completo, previsto dallo stesso provvedimento, i dati dell'Agenzia del demanio registrano 30 mila beni in gestione, di cui 20 mila edifici (67%) per 95 milioni di metri cubi e 10 mila terreni (33%) per 150 milioni di metri quadrati. Il demanio militare occupa lo 0,26% del territorio nazionale, pari a 783 chilometri quadrati, prevalentemente in Friuli Venezia Giulia e in Sardegna, dove si trova il poligono di Capo Teulada (72 chilometri quadrati). Seguono, con superfici minori, il Lazio e la Puglia. Nessuno può negare onestamente che buona parte di questo ingente patrimonio versi in stato di abbandono, affidato all'incuria o comunque alla mancanza di risorse per la sua valorizzazione.
Dallo Stato centrale agli enti locali, spesso si gioca allo scaricabarile, nell'incertezza delle competenze e delle responsabilità. Ma il trasferimento in blocco di questi beni ai Comuni, alle Province e alle Regioni, allo scopo dichiarato di fare cassa, minaccia di impoverire alla fine la ricchezza nazionale in funzione di un malinteso federalismo, come se un certo pezzo d'Italia fosse proprietà esclusiva di una determinata comunità. Chi ha il diritto di stabilire, per esempio, che una spiaggia della Sardegna, della Sicilia o della Puglia appartiene soltanto a quella Regione? Chi ha l'autorità di alienare un bene storico, artistico o ambientale d'interesse locale? E ancora, chi può disporre di infrastrutture come acquedotti, porti e aeroporti, che per loro natura servono aree più ampie ed estese? Al di là della necessità di rispettare i piani urbanistici, se non altro per evitare l'impatto negativo di varianti automatiche, è auspicabile dunque che il decreto legislativo sul "federalismo demaniale" venga modificato e corretto durante l'iter parlamentare, almeno su due punti fondamentali: da una parte, l'esclusione dei beni storici e artistici dall'elenco delle dismissioni; dall'altra, l'introduzione dei vincoli di destinazione e uso per i terreni o gli edifici statali. Non è concepibile cedere un castello o un museo a un soggetto privato, solo perché il bene in questione non è considerato di "rilevanza nazionale". Mentre si può pensare di alienare legittimamente un'area abbandonata o una caserma, purché venga destinata a funzioni sociali: ospedali, centri di assistenza, istituti scolastici, parchi pubblici o impianti sportivi.
Altrimenti, più che di semplificazione e valorizzazione, si dovrà parlare - appunto - di svendita e liquidazione.