Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia

Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia

venerdì 30 aprile 2010

Il voto sul bilancio consuntivo 2009

Il bilancio non è altro che l’attuazione del programma con cui la maggioranza si è presentata alle elezioni, quindi da parte della federazione della sinistra cui rappresento posso solo prendere atto che il bilancio rispetta tutti i parametri, come ha illustrato l’assessore, sia, nella relazione di rendiconto del 2009, sia in consiglio comunale, e di conseguenza le mie saranno considerazioni puramente politiche sul bilancio e non una valutazione di merito sulla gestione delle voci analitica dello stesso.


Sono soddisfatto che il patto di stabilità sia stato rispettato e che continua la lotta all’evasione fiscale sugli immobili, sia come riclassificazione sia come omessi pagamenti, che le voci di entrata corrente coprono le spese correnti, che non ci sono debiti fuori bilancio e che nel 2009 siano state accolte e soddisfatte tutte le domande dei canoni affitto.


Quello invece che non c’è e non ci sarà nei prossimi anni è un cambiamento di tendenza nell’affrontare il bilancio comunale, perché dico questo, perché mentre dal sindaco sento dire, “ siamo un comune con i conti in ordine, anche se nei prossimi anni l’edilizia privata non dovesse dare delle risposte positive, oppure, io direi, se avessimo coraggio, possiamo comunque garantire con le entrate correnti una copertura delle spese correnti”, cioè per il personale per i servizi e per l’acquisto di beni, e se lo dice il Sindaco ci possiamo credere.


Invece ancora oggi si spinge sull’entrate derivanti dagli oneri di urbanizzazione per l’edilizia privata, o industriale, mentre per le opere pubbliche ogni anno il comune è costretto ad alienare alcuni beni o terreni propri per poi monetizzarli, producendo in questo modo un circolo vizioso senza ritorno, per finanziare opere pubbliche decise anni prima.


Sarà utopistico ma sarebbe bello ridurre dal bilancio le aree destinate all’edilizia residenziale e industriale, visto che i numeri parlano chiaro;

infatti i proventi ICI per la prima casa, ad oggi, incide nelle entrate bilancio pochissimo,

il-------------------------------------- --------------------------- 2,86%,

mentre per le seconde case e i negozi incide per il 52,15%,

per gli immobili industriali incide per il -----------------25,50%

per un totale di 2550000 euro circa.


Quindi nel nostro comune ci sono molte seconde case, negozi e zone industriali sufficienti a introitare proventi che vanno a coprire la spesa corrente e non vedo il motivo di spingere ancora sull’urbanistica, forse sarebbe opportuno dirottare e spingere di più sull’aumento e sulla qualità dell’offerta turistica, che nei prossimi anni sarà un volano per l’economia del nostro territorio, se sapremo coglierne l’opportunità, altrimenti i turisti saranno dirottati su altre mete, sta a noi, come amministrazione pubblica a valorizzare questo aspetto per dirottare entrate sempre più ragionevoli che possano piano piano sopperire alla diminuzione dei proventi dell’edilizia, in modo tale da non essere totalmente dipendenti dalle imprese costruttrici, che giocoforza spuntano l’affare migliore.

Perché come ha detto il sindaco è il mercato che determina se in una determinata zona è redditizia per costruirci le abitazioni, altrimenti non ci sarebbero ancora richieste a Monteriggioni da soddisfare.

Invece secondo il mio modesto parere il mercato, specialmente sull’urbanistica, va controllato ( anche perché è l’amministrazione che decide, e qui entra la volontà politica, se una determinata zona va sviluppata oppure no in base a contesti oggettivi e di interesse pubblico!! ) altrimenti il mercato detterà lui stesso le regole, ma non saranno di certo a tutela degli interessi collettivi, cosa che deve garantire il comune!!


San Gimignano insegna, il turismo è un opportunità e va colta, noi nel nostro territorio abbiamo le carte in regola per fare altrettanto con un offerta differenziata sia naturalistica sia storica sia spirituale, se cosi la vogliamo ricondurre, con la via Francigena.

Per le opere pubbliche cosa posso dire, ci sono degli investimenti corposi su badia isola, che condivido, però andrebbe accentuato un piano per le case popolari o a canone concordato, poi l’autocostruzione tanto pubblicizzato che ancora non è partita, vedo pochi investimenti sul potenziamento dell’arredo urbano, con 45mila euro nel 2009 e 50mila euro per il 2010 ci facciamo poco, magari mettiamo due panchine qua e la….


Secondo il mio parere va rivisto il piano delle opere pubbliche cercando non soltanto opere faraoniche ma opere semplici e indispensabili come sulla sicurezza stradale, quali marciapiedi e attraversamenti pedonali in sicurezza, la sistemazione di quelle piazze e giardini esistenti migliorandoli, l'abbattimento delle barriere per i disabili, permettendo loro di fruire al meglio del nostro territorio, perché la qualità della vita può dipendere anche dalle piccole opere pubbliche.


Ovviamente queste mie considerazioni, puramente politiche, mi fanno propendere per un voto contrario in quanto non vedo, ripeto, in questo e nei prossimi anni un inversione di tendenza significativo da questa impostazione.

giovedì 29 aprile 2010

Trasporto pubblico locale ancora per poco..?!?!

E' in approvazione in tutti i consigli comunali il progetto della toscana del sud, il quale prevede che le aziende di trasporti “Train” “Rama” “LFI” e “ATM” si uniscano per formare un unico soggetto imprenditoriale.
Dopo l’acqua i rifiuti, i servizi di assistenza domiciliare con la società della salute, ancora una volta vediamo allontanare dai cittadini un servizio pubblico essenziale, in questo caso per la mobilità, il servizio del” trasporto pubblico locale”.
Si pensi come può essere determinante il servizio di trasporto per i cittadini ndei piccoli paesi o frazioni che altrimenti non potrebbero muoversi ( tipo Chiusdino, Monteguidi, o alle piccole frazioni che sono nel nostro comune.

Dobbiamo dire che il servizio di trasporti è gestito da 7 anni in maniera privatistica, da un azienda del territorio, chiamata Train, ma pur sempre a totale capitale pubblico, che deve rendere conto in prima persona agli azionisti che sono i 36 comuni della provincia di Siena, e quindi ai cittadini, adesso con questa nuova aggregazione si ridefiniscono gli assetti societari e quindi le quote dei comuni scenderanno significativamente, perché le quote confluiranno nel nuovo riassetto societario dove il “Train” avrà il peso del 34% all’interno della “new co” che verrà costituita.
Il piano industriale prevede un impronta ancora più privatistica con ricadute in primis sui lavoratori e in secondo sulla sicurezza per i passeggeri per i tagli alle manutenzioni, che sono previste.
Un'altra criticità del progetto è stata la scarsità di confronto.
Anche sei il documento che viene presentato coma “Piano Industriale” porta la firma dell’ottobre 2009 (??) i primi atti nei consigli comunali si sono avuti solo in questi giorni.

All’interno delle commissioni consiliari gli spazzi per comprendere/confrontarsi sono stati troppo stretti o assenti. Forse è mancato anche un coinvolgimento più ampio nei confronti dei cittadini ai quali spiegare il futuro dell’azienda che gestisce (gestirà???) il servizio di Trasporto pubblico locale.

Secondo noi lo spazio del confronto dovrebbe essere sempre esteso e non ristretto come succede spesso quando si affrontano cose complesse come queste.
La bontà del processo aggregativo deve misurarsi non solo sugli andamenti economici futuribili / prevedibili della nuova azienda ma da atti concreti che facciano senza dubbi riconoscere le potenzialità per lo sviluppo quali / quantitativo (più servizi e più qualità di erogazione degli stessi) dei servizi di Trasporto Pubblico.

Le operazioni aggreganti non possono essere fatte sulla pelle dei lavoratori. Quindi dobbiamo chiedere che siano garantiti gli attuali standard (livelli) occupazionali, salariali e normativi (non solo per i lavoratori che da più anni sono all’interno dell’azienda) e che l’omogeneizzazione del trattamento debba avvenire sui trattamenti aziendali più vantaggiosi
Che gli atti di gara (la prossima) debbano contenere regole ferme e chiare per la tutela dei posti di lavoro anche sotto l’aspetto dei livelli salariali e normativi

Occorre sottolineare che anche in questo caso siamo di fronte alla privatizzazione di un servizio essenziale per il riconoscimento compiuto di diritti costituzionali (libertà di movimento) e che anche in questo caso occorrerebbe ripensare pienamente al modello di gestione. Per noi vale anche in questo caso le riflessioni fatte sull’acqua e la ripubblicizzazione del servizio fino alla produzione in proprio (ente che produce direttamente con proprio personale il servizio di TPL)

mercoledì 14 aprile 2010

Io sto con Emergency!!


L’arresto dei tre medici di Emergency , le inaudite dichiarazioni di esponenti della maggioranza e del governo contro l’organizzazione umanitaria, dimostrano che si vuole eliminare ogni testimone dalla guerra sporca che si sta svolgendo in Afghanistan.
Il ministro Frattini ha affermato che se le accuse ad Emergency fossero vere da italiano si vergognerebbe . Ci permettiamo di domandare al Ministro : perché si vergogna di tre medici che curano tutte le vittime della guerra e non spende una parola di sdegno quando le truppe Nato, di cui i militari italiani fanno parte, massacrano civili?
Il governo italiano brucia 2 milioni di euro al giorno per sostenere un governo come quello Karzai, fondato sulla frode elettorale, la corruzione e la gestione dei signori della guerra del mercato dell’oppio. Allo stesso tempo si scaglia inopinatamente contro la parte migliore del nostro Paese che salva in quelle zone il buon nome dell’Italia infangato dalla nostra partecipazione alla guerra.


Emergency non ha ancora alcuna notizia dei tre volontari italiani. La struttura, spiegano dalla ong di Gino Strada, è in questo momento in mano alla polizia afgana e al personale locale. Nessun operatore internazionale è più operativo nell’ospedale. Il personale internazionale dell’ospedale che ancora si trovava a Lashkar-gah, dopo l’arresto-sequesto di Marco Garatti, Matteo Dell’Aira e Matteo Pagani, ha preso un volo per Kabul, diretto alle strutture di Emergency della capitale afgana. Si tratta di sei operatori, cinque italiani (di cui quattro donne) ed un indiano. Dal giorno dell’arresto dei connazionali, questi sei operatori si trovavano nelle loro case e non erano più rientrati in ospedale. Alla base della decisione, presa dalla ong d’intesa con le autorità, anche motivi di sicurezza.


La colonna infame. A chi fa paura Emergency? Al ministro Frattini? A Bruno Vespa? All’onorevole Gasparri? Alle pallottole vaganti? Alle mine anti-uomo? Al cartello italo-afgano dei mercanti di droga e armi? Alle missioni di pace? Al mercato delle missioni di pace rifinanziate automaticamente ogni sei mesi? Dimenticato qualcuno? Il Vaticano che teme di perdere il primo posto nelle tasche dei contribuenti italiani in virtù del silenzio assenso dell’obolo costituito dall’otto per mille. E poi c’è il mercato dei finaziamenti alle ong, e poi ci sarebbe la Croce Rossa… Fa paura ai servizi afgani? Insomma il complotto è tratto. La colonna infame è in movimento. I nemici di Emergency sono vivi e vegeti e lottano contro i medici che salvano vite umane a prescindere dalle tessere di partito, per dirla con Strada. Il mondo dell’associazionismo: Terre des Hommes, tra gli altri, chiede un intervento attivo della Farnesina “che ha la responsabilità di seguire tutti gli espatriati che si trovano in situazioni così delicate”. La rete della società civile italiana “Afgana” sollecita anche un intervento dell’Unione europea e chiede inoltre alla Nato di “chiarire definitivamente quale parte abbiano avuto i soldati Isaf nell’operazione e per quale motivo vi abbiano partecipato”, come dimostra un video diffuso dall’Associated Press.


Io sto con Emergency. “Io sto con Emergency liberi subito” è il titolo intorno al quale su facebook in poche ore si sono ritrovate migliaia di persone per manifestare il loro sostegno ai tre operatori sanitari arrestati sabato in Afghanistan. Sconcerto, dolore, rabbia, ammirazione e anche qualche frecciatina al governo italiano che domenica sera non ha certo brillato per spirito nazionale. Tanti i commenti, oltre a 70 mila firma di solidarietà, lasciati anche su sito ufficiale dell’organizzazione. Per sabato prossimo, in piazza Navona a Roma, è stata promossa da Emergency una manifestazione per protestare contro l’arresto di Matteo Dell’Aira, Marco Garatti e Matteo Pagani


Mentre rinnoviamo la richiesta al governo di pretendere l’immediato rilascio dei tre medici arrestati, ci uniamo all’appello di Gino Strada rivolto ai cittadini e alle cittadine affinché sottoscrivano la solidarietà ad Emergency. L’Italia che ripudia la guerra alzi la voce, fermi questa vergogna.

mercoledì 7 aprile 2010

10 punti di riflessione sulle prospettive del PRC e della Federazione della sinistra dopo il voto

Occorre tornare sul risultato elettorale delle regionali perché, come mi pare si sia potuto cogliere anche nel recente Consiglio della Federazione della sinistra, esso può essere interpretato in vari modi. Inoltre, i diversi giudizi conducono inevitabilmente verso prospettive differenti. I dieci punti che seguono sono il tentativo di leggere in modo obiettivo il risultato elettorale, ma soprattutto vogliono trarre prime conclusioni sulla prospettiva che si apre per il PRC e per la Federazione

1 La prima questione, essenziale, è l’interpretazione del successo del centro-destra ( perché di questo si tratta). Non si è trattato di un successo in termini di voti ( perché semmai vi è stata una flessione), quanto della straordinaria capacità di tenuta elettorale, pur in una situazione quanto mai sfavorevole, che ha consentito allo stesso centro-destra di conservare la propria forza e di conquistare il governo in altre quattro regioni. Gli effetti di questa vittoria si possono già misurare ora: rafforzamento dell’asse Berlusconi – Lega (unica vera vincitrice), rilancio dell’offensiva istituzionale (con lo scambio fra federalismo e presidenzialismo e ancor di più la riforma della giustizia, garanzia dell’impunibilità del premier) e prevedibile offensiva sociale (dall’art. 18, al sistema pensionistico, ai diritti). Su questa lettura del risultato non dovrebbero esservi dubbi. Il punto sul quale invece occorre porre l’attenzione è la simmetrica sconfitta dell’opposizione, che è intaccata anch’essa dall’astensionismo crescente ( in ciò evidenziando dinamiche del tutto diverse da quelle francesi) e che perde consensi elettorali ( dalle forze del centro-sinistra alla stessa UDC), con l’unica eccezione dell’affermazione delle liste Grillo in alcune regioni. La sostanza della sconfitta dell’attuale linea del PD sta nell’essersi illusi che fosse possibile battere il centro-destra attraverso essenzialmente una operazione di geometria politica, allargando semplicemente il sistema di alleanze al centro, anche a prezzo di torsioni moderate e rotture a sinistra. La lezione da trarre è semplice ma molto impegnativa: senza una straordinaria capacità di promuovere l’opposizione, connettendola con le non irrilevanti manifestazioni di resistenza sociale che sono in atto, senza un sostegno vero alle battaglie a difesa del lavoro e dei diritti, senza una limpidezza nella collocazione e nelle pratiche, il centro-destra non solo non è scalfito nei rapporti di forza, ma consolida la sua egemonia in pezzi rilevanti della società italiana.

2 Questa constatazione, tuttavia, ha delle implicazioni anche per quanto riguarda la lettura del nostro voto e su questo, invece, a me pare vi sia nel nostro dibattito, ma soprattutto in quello della Federazione, un’impostazione insoddisfacente e che, talvolta, emergano posizioni non condivisibili. Non si tratta tanto del giudizio complessivo. E’ del tutto evidente che dal punto di vista elettorale in senso stretto l’arretramento rispetto alle europee è negativo, anche se sarebbe sbagliato dare un giudizio catastrofico. Il punto è che questa flessione rispetto alle europee era annunciata perché nei mesi scorsi tutti i segnali andavano in questa direzione. Ciò significa che essa non è tanto il risultato della tattica elettorale utilizzata (sulla quale avrò modo di soffermarmi successivamente), quanto – assai di più – del deficit di iniziativa politica e sociale della Federazione e del suo profilo ancora indefinito.

3 La questione fondamentale sta quindi nella nostra credibilità. In questo sta a mio avviso la connessione con il tema generale che emerge dal dato elettorale a cui ho accennato in precedenza. Il deficit di opposizione e di capacità di rappresentare la domanda sociale investe, insomma, anche noi. Nella sostanza, a me pare che non siamo riusciti a ridare senso – nella materialità dell’attuale condizione sociale – ad una scelta anticapitalista e comunista. Io temo, anzi, che in queste elezioni la Federazione sia stata percepita più come l’interprete di una storia, che come il soggetto promotore di un cambiamento, che all’evocazione di un processo di riaggregazione a sinistra non abbia fatto seguito la capacità di dare il senso di una sua effettiva utilità sociale. Nel dibattito in corso nella Federazione, invece, si elude un confronto vero su questi nodi e molto spesso ci si limita al richiamo ai limiti organizzativi che hanno gravato e che gravano sulla sua operatività. A tale proposito, la richiesta di accelerare tout court il processo di costituzione della Federazione se riflette il bisogno di superare una condizione di provvisorietà, nasconde, io penso, la sottovalutazione di questi limiti di fondo e la ricerca della classica scorciatoia organizzativistica.

4 Un secondo ordine di considerazioni riguarda la questione delle scelte elettorali compiute. A me pare che in talune interpretazioni presenti nella Federazione, ma anche nel nostro partito, si tenda ad attribuire il risultato elettorale insufficiente ad un’inadeguata politica delle alleanze. L’enfasi posta sulla sconfitta in Campania e Lombardia e la continua sottolineatura sull’effetto del “voto utile” a cosa mirano? Cerchiamo di capirci: l’effetto “voto utile” c’è stato e chi lo nega non tiene conto di un dato della realtà. Lo sapevamo bene che si sarebbe manifestato e non si può certo sostenere ora che vi sia stato nelle scelte che abbiamo fatto un eccesso di settarismo nei confronti del centro-sinistra. Quando abbiamo posto la priorità dei contenuti e la questione morale abbiamo accettato un confronto con il centro-sinistra rigoroso, senza precludere la possibilità di conseguire (dove ne esistevano le condizioni) un accordo. Non è forse vero che dove le alleanze non sono state fatte ciò lo si deve al rifiuto immotivato del PD o a scelte assolutamente inaccettabili, come nel caso della Campania? Se un rilievo posso fare sulle scelte compiute non è quello che vi sia stata la mancanza di propensione unitaria, semmai che dovevamo essere ancora più rigorosi sui contenuti. Senza aprire polemiche, a me pare che in alcuni casi potevamo fare scelte o adottare comportamenti diversi. Peraltro, pur essendo il risultato nelle regioni dove siamo andati in alleanza con il centro-sinistra migliore di quelle in cui siamo andati da soli, vi sono in ogni caso differenze fra le varie regioni che non dovrebbero essere sottovalutate. Se depuriamo il risultato complessivo da quello ottenuto nelle regioni in cui ci siamo presentati autonomamente, constatiamo come si è avuta comunque una flessione, a dimostrazione che se l’effetto voto utile c’è stato, nondimeno anche le alleanze con il centro-sinistra non hanno impedito l’arretramento rispetto alle elezioni europee, che è stata sì contenuta ma non arrestata.

5 Sull’indicazione operativa da trarre dal risultato non vi possono essere molti dubbi. Di fronte al successo delle destre e alla pericolosità delle stesse, è evidente che la costruzione di un’iniziativa unitaria è essenziale. Che la Federazione debba assumersi la responsabilità di promuovere tale iniziativa mi pare altrettanto logico. L’agenda delle iniziative da assumere è dettata in primo luogo dai temi sui quali l’offensiva della destra è più forte e su quelli a maggiore impatto sociale. Sul fronte sociale queste sono: la difesa dell’articolo 18, la tutela dell’occupazione e la lotta al precariato, la salvaguardia dei beni pubblici, il rifiuto del nucleare. Questi temi s’intrecciano alla battaglia referendaria. Con tutte le forze che sono disponibili a sostenere queste iniziative dobbiamo essere disponibili al dialogo e promuovere mobilitazioni unitarie. Così come dobbiamo lavorare per uno schieramento a difesa della democrazia e in particolare della Costituzione, contro le torsioni presidenzialiste, contro la manomissione del sistema giudiziario e contro l’offensiva sul federalismo fiscale. Né, credo, si possa mettere in dubbio la necessità che in caso di elezioni politiche si realizzi un accordo elettorale per battere Berlusconi. Il punto è un altro e riguarda la relazione che si viene a stabilire fra la Federazione e il centro-sinistra.

6 A me pare che vi siano in campo due linee possibili. La prima è quella che, assumendo il bipolarismo come un dato di fatto e considerando preminente l’esigenza di evitare l’isolamento politico, persegue la via della ricostruzione del centro-sinistra, con il corollario della scelta di alleanze elettorali sistematiche a tutti i livelli, in cui l’esigenza frontista prevalga anche sul confronto di merito sui contenuti e che prevedano lo sbocco di governo. Di qui io credo una serie di polemiche fatte sugli accordi elettorali, il più delle volte formulate da chi auspicava l’intesa di governo purchessia, vuoi per occupare postazioni (gli assessorati) giudicate decisive per la visibilità, vuoi per il convincimento che la questione programmatica non sia – al momento attuale – in sé decisiva. La linea alternativa è quella che lavora per il superamento del bipolarismo, considera decisivo al fine della costruzione di una vera opposizione il terreno concreto dei contenuti e delle pratiche, accetta il confronto unitario col centro- sinistra, ma nella consapevolezza che oggi la difficoltà principale sta in una propensione moderata che impedisce lo sviluppo di un’opposizione di massa degna di questo nome, che le alleanze elettorali vadano misurate sul piano della coerenza fra esigenza di unità ed efficacia dei contenuti, che, conseguentemente, sia essenziale il mantenimento dell’autonomia della Federazione dal PD e che non esistano le condizioni per la ricostruzione del centro-sinistra.

7 Personalmente non ho dubbi. Io mi riconosco in questa seconda linea, che è poi quella che si richiama al fulcro della scelta operata nel congresso di Chianciano. Non si tratta di un rigurgito identitario, né di una propensione settaria o della sottovalutazione dell’esigenza obiettiva dell’ unità per battere le destre. Si tratta invece di una lettura – a mio parere realistica – dello stato delle cose. Se è vero che il risultato elettorale dipende dal deficit di opposizione e se tutti riconosciamo che tale deficit è imputabile in modo principale alle posizioni del PD, è evidente che al di là della nostra disponibilità unitaria, se non c’è una nostra iniziativa autonoma che sappia non solo praticare l’unità ma anche spostare a sinistra l’asse politico, l’esito sarebbe quello di assecondare un continuismo che non consente un passo in avanti. Se sul fronte elettorale, l’unica bussola è quella della generalizzazione degli accordi di governo col centro-sinistra, senza valutarne l’effettiva compatibilità con alcuni contenuti, certamente si elimina l’effetto voto utile, ma non s’inverte la tendenza (prevalente in questo risultato elettorale), ad un nostro progressivo declino per mancanza di un profilo forte, e socialmente credibile. L’alternativa fra le due linee non è, quindi, quella fra propensione unitaria e resistenza settaria, come alcuni vorrebbero dare ad intendere, ma fra due idee diverse di unità: l’unità come convergenza possibile, fra soggetti autonomi e sui contenuti e l’unità come tendenziale omologazione. A me pare che la seconda via sarebbe alla fine mortale per il nostro partito e per la Federazione.

8 Se questo è vero, un nodo va però affrontato ed è quello dei rapporti a sinistra. A me pare che l’attuale Federazione da sola non sia in grado di reggere la sfida che ci sta di fronte e questo non solo per i limiti che ho prima richiamato, ma anche per un’evidente insufficienza in termini di rapporti di forza. Con un 3% circa di consensi si rischia in continuazione di finire o nell’isolamento o nella subordinazione. Inoltre, la forma stessa che si è data la Federazione costituisce un oggettivo impedimento ad un suo allargamento. Lo si voglia o no, nuovi soggetti dovrebbero aderirvi accettando un’impostazione già definita, il che mi pare costituisca un ostacolo in molti casi insuperabile. Se la scelta fosse stata diversa – come personalmente ho sempre sostenuto – e cioè un processo aperto, molto centrato, oltre che sull’accordo elettorale, sulla sperimentazione di pratiche, senza forzature organizzativistiche – sarebbe stato possibile un allargamento. Per come si sono mese le cose mi pare sia difficile. Il problema dei rapporti di forza sta diventando sempre più importante e lo sarà a maggior ragione a partire dal voto alle amministrative del prossimo anno per le quali, data la riduzione del numero di eletti, anche in presenza di alleanze con il centro-sinistra non saremmo più garantiti. E qui veniamo ad un punto fondamentale. Se non si consolida a sinistra un “polo alternativo” di una certa consistenza non si regge la presentazione autonoma dal PD (come dimostrano specularmente i casi della Campania e delle Marche), ma diventa anche difficile, laddove ve ne siano le condizioni, stipulare alleanze con il centro-sinistra qualificate. Dirò di più, solo una sinistra autonoma, conflittuale e non subordinata, con una massa critica adeguata, può influire positivamente sullo stesso dibattito in corso nel PD.

9 Un polo di sinistra ha oggi senso se è in grado di porsi in modo autonomo rispetto al PD. E’ da qui che sorge il problema della relazione con SEL. Fare dell’alleanza con SEL una questione di numeri del tipo…… se sommiamo il nostro 2,8% con il loro 3%, raggiungiamo quasi il 6%…. e’ una pura astrazione e non solo perché in tema di elezioni non valgono mai le somme algebriche, ma perché il problema con SEL è se questa formazione intende essere autonoma dal PD o se si considera parte integrante di un centro-sinistra a guida PD. Oggi la linea prevalente in SEL è quest’ultima e le posizioni di Vendola danno a tale scelta una connotazione ancora più inquietante, puntando a costruire un soggetto unico del centro-sinistra di ispirazione “nuovista”, non molto dissimile dalle suggestioni veltroniane. L’esperienza della Marche (dove abbiamo costruito un polo alternativo con SEL) ci suggerisce che quest’impostazione può essere superata, ma per l’appunto facendo leva su contraddizioni reali, non in ragione di una convergenza scontata. Vorrei anche rilevare che un polo della sinistra di alternativa che oltrepassi i limiti della Federazione può vedere la presenza anche di altre forze politiche, ma che esso ha un senso se raccoglie una domanda di cambiamento e per questo sarebbe curioso che si realizzasse senza coinvolgere almeno parti dei movimenti di lotta, se non riuscisse a recuperare almeno un pezzo di quel popolo di sinistra che si è rifugiato nell’astensionismo o nella protesta populista. So bene che di fronte alle difficoltà obiettive la tendenza più semplice è quella di confluire sotto le grandi ali del PD, ma queste scelta non risolve alla fine i nostri problemi.

10 Un’ultima considerazione va fatta sul PRC. A me pare del tutto evidente che ogni possibilità di ripresa, sia della Federazione sia di una sinistra non omologata e rinunciataria, dipende in ultima analisi dal rafforzamento del PRC. Non si tratta di boria di partito. Il punto è che anche in queste elezioni, senza questa forza tutto sarebbe stato impossibile. Né credo all’ipotesi della Federazione come un processo di fusione. Non ho mai creduto alla semplificazione dei soggetti politici, a prescindere dalla loro base politico-culturale. La federazione è un insieme di soggetti che possono realizzare livelli di unità maggiori, anche considerevoli, ma che non ha allo stato attuale le basi per trasformarsi in partito unico. Il punto è che oggi il progetto di rilancio organizzativo, teorico e culturale del PRC non c’è. Pensare di tenere in campo migliaia di militanti, senza assumerlo, è una pura astrazione. Quando parlo di progetto intendo qualcosa di significativo, non un richiamo generico al consolidamento. Esso richiede che questo obiettivo sia posto come una priorità nell’agenda politica, che s’investano forze, che soprattutto si lavori a partire dalle organizzazioni di base, i circoli. Che se ne ridefiniscano i compiti, che li si attrezzino a reggere un’iniziativa sociale straordinaria, che si diano ai militanti strumenti di analisi e di interpretazione; che si ristrutturi il partito sulla base di principi autenticamente democratici, che la partecipazione sia una cosa vera, che le componenti tornino ad essere luoghi di riflessione ed elaborazione, anziché lobby finalizzate alla spartizione di cariche e ruoli. Un impegno gravoso, dunque, ma ineludibile.

Gianluigi Pegolo

Segreteria nazionale PRC

venerdì 2 aprile 2010

Le due facce della stessa medaglia…..

L'altra sera mi è capitato di imbattermi in un articolo interessante che secondo me riesce a far capire molto bene il periodo storico che stiamo attraversando, dove, il revisionismo storico cancella di fatto la resistenza nei libri di storia, per questo motivo colgo l’occasione per denunciare un’altro episodio accaduto dalle nostre parti, un atto vandalico sul monumento ai partigiani caduti in loc. scalvaia, di matrice fascista, che ci fa ripiombare negli anni più bui del nostro paese.



Il quotidiano la Repubblica denuncia che nei nuovi programmi di storia dell’ultimo anno dei licei è scomparsa la parola “Resistenza”. Dopo la seconda guerra mondiale, si passa direttamente alla guerra fredda. E la Resistenza? Ecco la risposta di Max Bruschi, consigliere del ministro dell’Istruzione Gelmini, alle domande della giornalista che ha redatto l’articolo: “Ma non ha letto qui, dopo la voce Onu? È ben esplicitato: ‘Formazione e tappe dell’Italia repubblicana’. Naturalmente è sottintesa la Resistenza. L’abbiamo inclusa senza citarla tra i capitoli fondativi della storia repubblicana. È un modo per rafforzarla, no?”.

No, onestamente non sembra proprio. Bruschi poi afferma che “la Resistenza continuerà ad essere affrontata come momento significativo della storia d’Italia” ed è scontato che sia compresa, “sarebbe come insegnare la matematica senza le tabelline”.

Sarà, ma non essendo esplicitamente citata, sorge il sospetto che il livello di approfondimento sia lasciato all’iniziativa del docente di turno che potrebbe anche, volendo, ometterla senza violare i programmi ministeriali.

Ma è un caso che la madre della nostra Costituzione e dell’Italia repubblicana non venga più menzionata nei programmi di storia del liceo?

Forse qualcuno ricorda la riforma Moratti delle scuole elementari e medie del 2004, che ha cambiato l’assetto dei primi otto anni di istruzione. Al varo della riforma sorse analoga polemica sull’evoluzionismo, stralciato di netto dai programmi di scienze. Al suo posto era comparso, ma solo nel programma di storia, il seguente punto: “La terra prima dell’uomo e le esperienze umane preistoriche. Passaggio dall’uomo preistorico all’uomo storico nelle civiltà antiche. Miti e leggende delle origini”.

L’evoluzionismo darwiniano, cioè, era stato relegato tra i miti e le leggende, a pari dignità con le teorie creazioniste della Genesi.

La levata di scudi di tutto il mondo accademico e scientifico fece fare retromarcia al ministro Moratti, che si affrettò subito a correggere la ‘svista’.

Il perpetrarsi di queste ‘sviste’ non ci fa certo stare tranquilli. Lo smantellamento della scuola pubblica, in corso da vari anni, non ha solo fini economici – come l’equiparazione con le scuole private a tutto vantaggio degli istituti cattolici – ma culturali. Saltare una parola qui e una lì, giocando sulla facile ambiguità del linguaggio, è un’operazione mirata di attacco all’istruzione e alla democrazia.

Sappiamo bene che in ogni regime totalitario l’istruzione segue dei canoni ben precisi, comprende ciò che va divulgato – e magari amplificato – mentre tace su ciò che è meglio non conoscere.

In Italia il percorso è iniziato da tempo sotto i vari governi Berlusconi. Vittime, oltre all’informazione – le censure televisive precedenti le elezioni regionali costituiscono un acme che dovrebbe convincere anche i più increduli – la scuola, l’università, la ricerca, nelle quali si introducono, a piccole gocce, visioni di parte, interpretazioni politiche e perfino religiose. A tal proposito, che il vicepresidente del più rappresentativo istituto di ricerca italiano, il Cnr, sia uno storico del cristianesimo, fa ridere a crepapelle tutta la comunità scientifica mondiale. Come può un uomo, condizionato in modo evidente dalla sua personale convinzione religiosa, assumere una carica così rappresentativa per la ricerca pubblica italiana? Roberto De Mattei, infatti, assolve al suo ruolo di vicepresidente sostenendo le teorie creazioniste della Bibbia contro quelle evoluzioniste di Darwin e, incredibile ma vero, è arrivato addirittura ad affermare pubblicamente che Adamo ed Eva sono due personaggi storici!

Tutto quadra quindi. La Resistenza, così come l’evoluzionismo, potrebbero destabilizzare delle coscienze fino a impedirne il controllo. Per un regime incipiente è inaccettbaile.



La notizia appresa dell’atto vandalico sul monumento ai partigiani caduti a Scalvaia è estremamente preoccupante. La matrice fascista è di indubbia evidenza e le minacce contenute nel volantino rappresentano un offesa non solo al popolo di Monticiano ma a tutti i democratici della nostra provincia e del nostro Paese.

Il gesto è estremamente preoccupante e l’evoluzione dello stesso (così come descritto nel volantino di rivendicazione) può rappresentare un ulteriore pericolo alla democrazia già piegata dai tanti provvedimenti governativi. Tale gesto deve trovare ferma indignazione da parte di tutta la società civile che in questa terra trova le sue fondamenta proprio nelle gesta e nei sacrifici di questi partigiani che in molti casi a prezzo della vita garantirono la libertà e la democrazia di questo Paese.

Noi siamo enormemente preoccupati della fase politica e sociale che il Paese attraversa. La difficile situazione economica che i lavoratori stanno subendo si affianca al tentativo sempre più spesso realizzato della riduzione dei diritti conquistati con le lotte nei decenni passati. Nel contempo la memoria per la storia del nostro Paese subisce continui attacchi revisionistici tali che ad oggi nella mente di molti è stata cancellata la differenza tra dominati e dominanti oppure tra sfruttati e sfruttatori.

Di fronte a questi casi occorrerebbe ripetere l’esperienza di quella “vigilanza democratica” che in alcuni casi nel passato ha impedito la fine della democrazia così come l’abbiamo conosciuta e contribuito a realizzare.

Se le esperienze del passato non sono ripetibili occorrerebbe almeno una indignazione generale che impedisca il ripetersi di simili fatti.

Per prima cosa ci aspettiamo quindi che non ci sia più indugio ad esempio sul voto della mozione su Mussolini. In alcuni interventi passati sulla stampa, qualche autorevole esponente politico della nostra città dichiarava che quella mozione apparteneva ad una fase storica chiusa e passata e riteneva che tali manifestazioni non fossero utili ad una sinistra moderna chiamata al governo delle cose serie che incidono sulla pelle dei lavoratori.

Secondo noi invece tutto quello che sta avvenendo in questo Paese fa parte di un contesto antidemocratico. Il vandalismo nei confronti di monumenti che rappresentano la storia di un Paese e gli attacchi ai diritti dei lavoratori (compreso il diritto ad una vita dignitosa) sono le due facce della stessa medaglia. E non è pensabile affrontare un problema senza affrontare l’altro. La sinistra, per moderata che possa essere, non può far finta che oggi non siamo al cospetto di un grave attacco alla nostra Costituzione e che per difendere i diritti dei lavoratori occorre anche essere coscienti che occorrano prese di posizione forti.