Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia

Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia

giovedì 31 maggio 2012

Il terremoto colpisce il lavoro.


Come scrive sul suo profilo Facebook il paesologo e scrittore Franco Arminio, “forse è la prima volta che nella storia del mondo c'è un terremoto che colpisce una sola classe sociale: il terremoto degli operai”. Le nuove scosse di terremoto che hanno colpito l’Emilia Romagna la mattina del 29 maggio lasciano vittime soprattutto nel mondo del lavoro, e alimentano polemiche sulla ripresa della produzione nei capannoni industriali dove, anche in seguito alle prime scosse del 20 maggio, la sicurezza non era garantita.

“C'è preoccupazione – ha commentato questa mattina Susanna Camusso -. Il fatto che sono di nuovo i lavoratori a lasciarci la vita mi fa pensare che non si è proceduto alla messa in sicurezza degli stabilimenti prima di far tornare le persone al lavoro”.

Alle preoccupazioni del segretario generale della Cgil si aggiunge l’elenco, purtroppo parziale e non definitivo, delle vittime e dei danni. Sarebbero almeno dieci gli operai morti al lavoro per i crolli in fabbrica e nei capannoni. E' quanto riporta l’agenzia Agi citando Antonio Mattioli, responsabile delle politiche industriali della Cgil Emilia Romagna. Al momento, secondo le verifiche del sindacato, ci sarebbero altri 20 lavoratori dispersi sotto le macerie tra Medolla, Cavezzo e San Felice sul Panaro.

E sono stati trovati nel pomeriggio i corpi senza vita di due dei tre operai dispersi nel crollo dell'azienda Haematronic di Medolla. Sotto le macerie erano rimaste tre persone, due di queste sono state trovate senza vita. Una terza vittima era stata individuata questa mattina. Si cerca ancora il quarto operaio.

“Le nuove scosse sismiche – batte sempre l’Agi – hanno seriamente danneggiato molte aziende, nel modenese, soprattutto nei settori del bio-medicale, alimentare e meccanico. Crolli si sono registrati negli stabilimenti delle società: Gambro, Arnes (Mirandola), Menu e Haemotronic (Medolla), Vam (Cavezzo), Arnes (Mirandola) e al caseificio razionale novese (tra i maggiori dell'Emilia Romagna)”. Fabbriche e capannoni crollati che si aggiungono all'elenco delle 1.780 aziende già ferme dopo il terremoto del 20 maggio per inagibilità. Alla Meta macchina di precisione di San Felice hanno perso la vita due operai stranieri, Mohamad Azaar e Kumar Pawan e un ingegnere italiano. Quattro dispersi sotto una fabbrica a Medolla, ricercati dai cani dei vigili del fuoco.

“Venerdì scorso – ricorda ancora Mattioli in una nota – abbiamo siglato l'accordo con la Regione per la copertura del reddito dei lavoratori coinvolti dal sisma e allo stesso tavolo regionale abbiamo posto il problema dell'edilizia industriale per la sicurezza dei lavoratori. In questi giorni ci sono state segnalate molte situazioni in cui la ripresa delle attività o anche solo il lavoro di recupero di materiali o macchinari avviene in condizioni non idonee a garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori. L'evento sismico di stamattina ha ulteriormente aggravato la situazione”.

“L'eccezionalità non può mai prescindere dalla garanzia di operare in assoluta sicurezza”, osserva ancora Mattioli. “Per questo ricordiamo che la legislazione vigente permette al lavoratore di rifiutarsi di andare al lavoro se la sicurezza non è garantita. È scritto a chiare lettere nei due articoli 43 punto 4 e 44 punto 1 del Dlgs 81/2008 e successive modifiche. Questi due articoli consentono al lavoratore di astenersi dal riprendere l'attività lavorativa nel caso ne ravvisi la pericolosità senza con ciò incorrere in sanzioni disciplinari”.

“Inoltre – conclude Mattioli – nel caso di crollo di strutture costruite prima del 1992 (entrata in vigore legge sull'amianto), va prestata molta attenzione alla eventuale presenza di amianto, che subordina la rimozione delle macerie alla adozione di misure cautelari. In ogni caso è importante segnalare alle categorie e alle camere del lavoro eventuali situazioni di rischio o pericolo. La delicatezza e la drammaticità degli eventi impone intransigenza nella tutela della salute e sicurezza dei lavoratori”.

Anche per la Fiom è “gravissimo che si sia ripreso a lavorare dopo il primo evento sismico senza aver verificato le condizioni di sicurezza degli edifici industriali e ben sapendo che le scosse sarebbero continuate”. “Per queste ragioni – afferma la segreteria nazionale dei metalmeccanici -, riteniamo indispensabile che la ripresa del lavoro avvenga solo quando, dopo le necessarie e opportune verifiche, si sia certi che i capannoni industriali siano in sicurezza. A tal fine chiediamo alle Istituzioni e alle imprese di garantire che la ripresa avvenga solo dopo accurati
controlli di sicurezza.”

rassegna.it


Per quanto riguarda il solo settore agroalimentare, i danni quantificati dalla Coldiretti salgono ad almeno mezzo miliardo tra nuovi crolli e lesioni degli edifici rurali (case, stalle, fienili), di capannoni e stabilimenti di trasformazione, danni ai macchinari e un totale di circa un milione di forme di Parmigiano Reggiano e Grana Padano rovinate a terra dopo le ultime scosse che hanno provocato ulteriori crolli delle "scalere", le grandi scaffalature di stagionatura. Ma anche questo è, purtroppo, un bilancio provvisorio.

mercoledì 23 maggio 2012

Un salto di qualità


Documento approvato della Direzione nazionale del PRC il 22/5/2012
La Direzione nazionale di Rifondazione Comunista ringrazia tutti i compagni e le compagne che hanno messo tutto il loro impegno nella campagna elettorale delle amministrative e nella piena riuscita della manifestazione del 12 maggio. Non si tratta di un ringraziamento rituale ma della piena consapevolezza che la nostra forza risiede nella libera adesione e nel lavoro gratuito che migliaia e migliaia di compagni e compagne danno al nostro partito.


Il risultato della tornata elettorale e la drammatica situazione in cui versa il paese ci chiedono un deciso salto di qualità nel lavoro politico. Il risultato elettorale di tenuta e l’ottima riuscita della manifestazione del 12 maggio ci permettono di affrontare questo compito con maggiore serenità e con la necessaria determinazione.
Il dato elettorale.

Il voto amministrativo ha registrato un vero terremoto politico. Una ulteriore riduzione della partecipazione al voto. La proliferazione di liste civiche che hanno raccolto oltre il 35% del totale dei voti espressi. La forte avanzata delle Liste 5 stelle, in particolare nel centro nord. Il pesante arretramento della Lega Nord e del PdL (hanno perso 2/3 dei voti in relazioni alle ultime regionali). Il significativo arretramento del PD (ha perso 1/3 dei voti in relazione alle ultime regionali). La disarticolazione del centro. Il pesante arretramento delle forze che sostengono il governo Monti.

In questo contesto, la Federazione della sinistra ha avuto un risultato di tenuta, positivo tenendo conto del terremoto che è avvenuto, ma che segnala però la nostra inadeguatezza nell’intercettare il crescente disagio sociale.

Gli elementi di fondo che emergono sono due:
In primo luogo, il disagio sociale determinato dalla crisi e dalle politiche del governo, assume le caratteristiche di una complessiva critica del sistema dei partiti e del sistema politico. Questo elemento è sovra determinante le stesse differenze tra le forze politiche in particolare nel cento Nord, in un contesto in cui il più forte fattore di produzione di antipolitica e di forme populiste è proprio il governo Monti. Si tratta di una situazione che ha qualche superficie di contatto con la situazione tedesca , dove il partito dei pirati ha raccolto larghe parti di criticità giovanile e che si differenzia molto dai risultati ottenuti in Grecia, Francia e Spagna dalle forze della sinistra di alternativa. La richiesta di cambiamento radicale – che si esprime attraverso le culture che vi sono a disposizione nella società - è vissuta in primo luogo come la richiesta di rovesciamento del sistema dei partiti e solo in seconda battuta come utilizzo dei partiti della sinistra per cambiare l’esistente.
In questo contesto assistiamo alla disarticolazione delle forme in cui erano aggregate e definite le forze di centro e di destra.

La situazione attuale
Ci troviamo quindi in una situazione in cui la crisi economica si intreccia con la crisi sociale e con la crisi del sistema politico. Una crisi organica del sistema in cui tutto cambia e in cui in particolare vengono oggi messi in discussione gli strumenti tradizionali dell’agire politico. Ecco così che la critica della casta e della politica assume un aspetto totalizzante che mette in secondo piano il tema delle scelte di politica economica. Così appare più radicalmente antisistema chi critica i partiti piuttosto che chi critica le banche. Se – come abbiamo detto più volte - la crisi è una crisi costituente che determinerà una trasformazione sociale, culturale e politica della profondità di una guerra, stiamo assistendo ai primi violenti scossoni di questa grande trasformazione.

La situazione si è messa in veloce movimento e decisiva è la nostra capacità di aggiornare passo passo la nostra posizione al fine di essere efficaci nella battaglia politica per determinare una uscita da sinistra dalla crisi.
Dal Congresso ad oggi abbiamo seguito una linea politica corretta che ha messo al centro l’opposizione al governo Monti, il tema della costruzione del partito sociale e delle lotte, l’unità a sinistra.

E’ però evidente che quanto abbiamo fatto è stato utile e corretto ma non è sufficiente. Siamo in una fase di guerra di movimento e non di guerra di posizione e quindi non è sufficiente tenere la posizione ma è necessario muoversi rapidamente. A partire da questa consapevolezza dobbiamo sviluppare la nostra azione politica al fine di ottenere quella efficacia nel rapporto di massa che è per noi decisivo. E’ infatti del tutto evidente che la pura prosecuzione dell’azione politica sin qui condotta non è sufficiente a raccogliere il disagio sociale su un progetto di alternativa.

La riprogettazione della nostra azione deve avere tre indirizzi di fondo:
Occorre partire dalla critica della politica per arrivare alla critica dell’economia politica. Si tratta di connettere i due terreni e non di pensare di sostituire il secondo al primo. La critica della politica è oggi così forte da assumere un carattere non aggirabile per rendere efficace la critica del sistema economico. Questa critica riguarda anche noi e siamo chiamati ad una risposta in avanti. La critica del sistema dei partiti ha infatti una dimensione tale da rappresentare un punto di non ritorno: il nodo è se questa critica approderà alla demolizione della democrazia in nome della gestione tecnica degli interessi forti oppure se sfocerà in una rinnovata democrazia partecipata.

Sul terreno della critica della politica come attività separata noi siamo stati ad oggi molto timidi. Anche le giuste intuizioni hanno avuto difficoltà a trasformarsi in pratiche politiche ed in una nuova identità adeguata alla fase. Assumiamo troppo spesso un tratto difensivo di chi ha giustamente paura che venga gettato il bambino con l’acqua sporca ma in questo modo rischiamo di avere una pratica politica poco efficace. Basti pensare al tema della corruzione su cui non abbiamo insistito abbastanza, delle retribuzioni degli eletti e dello stesso tema del finanziamento pubblico dell’attività politica, che abbiamo accettato si restringesse al finanziamento pubblico dei partiti. Basti pensare alla Federazione della Sinistra che abbiamo proposto e praticato con l’intento di intrecciare pratiche sociali, culturali e politiche ma la cui realizzazione concreta non è che una copia sbiadita dell’obiettivo che ci siamo posti. Non è in primo luogo un problema di linea politica ma di forme concrete di un processo di effettiva riaggregazione della sinistra.

Il primo terreno di riflessione e ricerca è quindi quello di come costruire un effettivo spazio pubblico della sinistra che faccia fino in fondo i conti con la critica della politica e dell’economia politica. Uscire da ogni politicismo per avviare un processo costituente di una sinistra di alternativa e di una terza repubblica basata sulla democrazia partecipata. Questo è l’obiettivo che ci poniamo, che poniamo ai compagni e alle compagne con cui abbiamo costruito la Federazione della Sinistra, che poniamo al complesso delle forze e degli uomini e delle donne che vogliono costruire una sinistra antiliberista nel nostro paese. La costruzione di un processo inclusivo e partecipato che costituisca il terreno della partecipazione politica unitaria a sinistra è obiettivo non rinviabile.

In secondo luogo dobbiamo rafforzare enormemente la nostra capacità di produrre una demistificazione delle spiegazioni dominanti della crisi e delle ricette che vengono messe in campo e nello stesso tempo dobbiamo avanzare una proposta compiuta e comprensibile di una politica economica radicalmente alternativa. In questo quadro decisivi sono i terreni della formazione e della elaborazione partecipata del programma per uscire a sinistra dalla crisi.
In terzo luogo dobbiamo riorganizzare il partito al fine di renderlo più efficace nella costruzione del conflitto e nella costruzione delle pratiche mutualistiche e del partito sociale. La nostra risposta alla critica della politica non deve concedere nulla ad una idea di delega al leader o alla personalizzazione della politica. Noi dobbiamo costruire una risposta alla critica della politica basata sull’autorganizzazione dei soggetti sociali su tutti i terreni: sociale, culturale, politico. Questa è la frontiera che oggi deve porsi un partito comunista per essere protagonista dello scontro sociale.

A tal proposito individuiamo i seguenti terreni di sviluppo del concreto lavoro politico:
1) Prosecuzione e intensificazione della mobilitazione per impedire la riforma del lavoro, la manomissione dell’articolo 18 e proponendo il reddito sociale. Occorre determinare la visibilità a livello di massa della nostra ferma opposizione, annunciando il referendum su queste norme.
2) Costruzione di una campagna per abolire l’IMU e sostituirla con la Patrimoniale.
3) Costruzione di una campagna contro il Fiscal Compact con l’obiettivo di impedirne l’approvazione a parte del Parlamento.
4) Lancio nel mese di luglio di una campagna sulle emergenze sociali e democratiche con la raccolta di firme su leggi di iniziativa popolare su cui raccogliere le firme durante l’estate.
5) Costruzione di una bozza di programma da far discutere nel corso dell’estate e su cui costruire un confronto largo con le forze della sinistra di alternativa e a livello di massa.

martedì 22 maggio 2012

Ai francesi piace stare in Calabria

I francesi di Veolia controllano l’approvvigionamento dell’acqua in tutta la Regione, attraverso Sorical. Se i comuni non pagano, chiude i rubinetti

Dopo aver ridotto la pressione dell’acqua, qualcuno ha chiuso l’acquedotto con un lucchetto e si è portato via la chiave.

È così che, in Calabria, è iniziata la guerra dell’acqua.
La chiave è nella tasca della “badante” che la giunta regionale ha scelto per aiutare la “vecchia signora”, come qualcuno tra gli amministratori della Regione chiama la rete idrica calabrese. La badante in questione è una signora francese, si chiama Veolia, ed è la prima impresa del servizio idrico al mondo (vedi box a p. 23).
È arrivata in Calabria nel novembre del 2004, come azionista di Sorical, la Società risorse idriche calabresi. Possiede solo il 46,5% dell’azioni (le altre sono appannaggio della Regione Calabria, della 5 Province calabresi, dell’Anci Calabria), ma lo statuto prevede che l’assemblea deliberi sempre con una maggioranza qualificata dei 55%. C’è bisogno, cioè, dell’accordo tra socio pubblico e socio privato. Per dirla in modo diverso: se il privato non vuole, una delibera non passa.

Sorical, in Calabria, non si occupa del ciclo integrato delle acque, quello che tiene insieme acquedotti, fognature e sistemi di depurazione, ma solo dell’adduzione: vende l’acqua all’ingrosso ai Comuni. E se gli enti locali non pagano, chiude i rubinetti.
È successo, negli ultimi mesi, a Frascineto (in provincia di Cosenza) e a Cinquefrondi (in provincia di Reggio Calabria). Prima ancora, nell’autunno del 2010, a Cosenza, comune capoluogo di Provincia, 70mila abitanti. In Calabria vivono oltre 2 milioni di persone.
I comunicati diffusi da Sorical per annunciare i tagli sono laconici, come se il “nodo” della questione non fosse la negazione di un diritto. Questo è dell’agosto 2010: “Sorical procederà alla riduzione della fornitura idropotabile per i comuni di Bova Marina e Locri sin dai prossimi giorni. La decisione è resa inevitabile dalla decisione delle rispettive amministrazioni comunali che non hanno mai inteso provvedere al pagamento del dovuto nei confronti della società, pur in presenza di una fornitura costante e puntuale e di interventi di manutenzione ordinaria che hanno consentito la normale erogazione del prezioso liquido”.

L’azienda assicura che la “riduzione” non incide sul fabbisogno cittadino.
“Ogni fontaniere, però, spiega il contrario: a una portata inferiore della rete corrisponde una pressione inferiore, e ciò significa che l’acqua fatica a salire ai piani alti delle case”. Giovanni Di Leo, l’uomo che mi fa quest’esempio, è un ingegnere idraulico. Per 26 anni ha lavorato nella gestione degli acquedotti calabresi, come dipendente della Regione Calabria, che fino al 1° novembre 2004 -prima dell’avvio dell’era Sorical- si occupava direttamente degli impianti di adduzione, ereditati a metà anni Ottanta dalla Cassa del Mezzogiorno. Oggi è ancora un dipendente della Regione, ma soprattutto ha messo le proprie competenze a servizio del Coordinamento calabrese acqua pubblica “Bruno Arcuri”.

“Esiste una convenzione-tipo tra Sorical e Comuni, che è stata approvata dalla Regione -spiega Di Leo-. Ma anche in caso di ritardo nel pagamento non prevede la riduzione parziale o totale dell’erogazione dell’acqua potabile”. Oggi, invece, per non chiudere i rubinetti Sorical propone ai Comuni morosi di firmare una seconda convenzione, “più impegnativa” spiega Di Leo. Oltre alla restituzione del debito, in 60 rate mensili, prevede anche il pagamento anticipato dell’acqua potabile.
Secondo Maurizio Del Re, l’amministratore delegato di Sorical, la cosa è un po’ diversa. Intanto, chiarisce, “la tariffa l’ha stabilita la Regione, perché non avviene mai che un concessionario imponga la tariffa. Il servizio di approvvigionamento -continua Del Re- implica un costo, che i Comuni devono ribaltare sulla tariffa che paga il cliente finale. E la tariffa -specifica- giustifica la propria evoluzione sulla base degli investimenti e dell’inflazione”. Secondo l’ad Sorical, in molti Comuni alle perdite fisiche si sommano quelle amministrative (acqua non contabilizzata, non fatturata). “Molti Comuni hanno ridotto le seconde, ed hanno risorse sufficienti per far fronte ai propri costi, tra cui Sorical. Non dimentichiamoci che viviamo situazioni di gravi ritardi, fino a due anni, nei pagamenti. Ciò è, per noi, fonte di squilibrio finanziario”.

Una riflessione ineccepibile, se non fosse che tutta la situazione deriva da un’interpretazione singolare della normativa italiana: la legge Galli del 1994, quella che istituiva il servizio idrico integrato, immagina l’unificazione su scala territoriale dei servizi di acquedotto, depurazione e fognature. Lo spiegano in molti, anche se con parole diverse: Salvatore Corroppolo, dirigente della Regione, che dice: “Sfuggendo una quota (l’adduzione, data in concessione a Sorical, ndr) rimane un servizio monco”; Sergio Cristofanelli, responsabile della segreteria della Commissione nazionale di vigilanza sulle risorse idriche presso il ministero dell’Ambiente, Conviri, dal suo osservatorio registra che “la Calabria non ha fatto niente: c’è una forte arretratezza: in un ambito su cinque, Crotone, si è arrivati all’affidamento del servizio idrico integrato”.

Infine, Claudio Cavaliere, segretario di Legautonomie Calabria, associazione di enti locali, spiega così la situazione calabrese: “È semplice: anche nel sistema idrico c’è la polpa e c’è l’osso. In una Regione ricca d’acqua, la polpa è l’adduzione, che non è particolarmente gravosa. L’osso è la distribuzione: i Comuni sono costretti ad acquistare l’acqua all’ingrosso: acquistano 100 e fatturano 60. Se il servizio fosse integrato, i costi degli investimenti sulla rete si potrebbero scaricare sull’intera filiera”. Cavaliere ha curato il rapporto di Legautonomie “Il buco nell’acqua”, presentato nel marzo del 2011. Dove si calcola, tra l’altro, che il deficit accumulato di gestione accumulato dai Comuni per il servizio idrico integrato tra il 2011 e il 2008 ammonta a 579 milioni di euro.

Cristofanelli, del Conviri, se la prende anche con gli enti locali: “Non mi risulta che i Comuni pongano in essere attività finalizzate al recupero della morosità”. “Il problema sta esplodendo -gli fa eco Claudio Cavaliere-: gli enti locali non ritengono di dover riconoscere a Sorical debiti di dieci anni fa nei confronti della Regione. I contenziosi sono in aumento. Siamo, ormai, a una fase giudiziaria: molti Comuni si sono rivolti ai tribunali”.
Il nodo, spesso, è quello dei “crediti pregressi”: con la convenzione sottoscritta nel 2003 tra Regione e Sorical, la prima chiedeva alla seconda di farsi carico del recupero delle somme dovute dalle amministrazioni comunali alla Regione prima dell’ingresso della società privata, pari a circa 500 milioni di euro.
Il tutto in cambio del 2% sulla somma recuperata. Di Leo però mette in fila anche altre falle del “sistema calabrese”. Una è che Sorical, a fine 2010, avrebbe aumentato il costo dell’acqua del 32% circa, e del 21 per cento a fine 2008. Peccato che, in virtù della convenzione, i prezzi avrebbero dovuto restare bloccati fino al primo novembre 2010. “Calcoliamo che in questo modo Sorical avrebbe scaricato sui Comuni una spesa di 30 milioni di euro” racconta Alfonso Senatore, che con Di Leo coordina in Calabria il Comitato referendario “2 sì per l’acqua bene comune”. Un’altra è che, in base alla solita convenzione, l’azienda considera “investimento” anche gli interventi di manutenzione straordinaria, che in questo modo incidono direttamente sulla tariffa. E pur calcolando la manutenzione tra gli investimenti, quelli realizzati tra il 2005 e la fine del 2009 ammontano a 57,7 milioni di euro, una quarantina in meno rispetto a quelli previsti secondo la Convenzione Regione-Sorical.

Sembra, poi, che Sorical faccia pagare l’acqua erogata ai Comuni spesso senza legittimazione amministrativa all’uso della risorsa idrica: in altre parole l’azienda non paga l’acqua derivata dalle fonti di alimentazione (corsi d’acqua, sorgenti, pozzi). L’articolo 17 di un regio decreto del ‘33, il numero 1775, prevede (comma a) che “è vietato derivare acqua pubblica senza un provvedimento autorizzativo o concessorio dell’autorità competente”. Da informazioni assunte, prendendo a riferimento l’anno 2007, risulta che la Sorical abbia “derivato” 328 milioni di metri cubi d’acqua prelevando la risorsa da 27 grandi derivazioni e 364 piccole derivazioni, il 79,75% delle quali risulterebbero irregolari: 2 “con titolo amministrativo valido ma non coerente con la effettiva portata derivata”; 11 “con titolo scaduto, ovvero provvisorio”; e 297 per le quali “non si dispone di alcune notizia circa l’avvio di istruttoria di rito”. E concessione significa pagamento di canoni, commisurati al tipo di utilizzo e ai volumi derivati. In base alla Convenzione, la società riconosce alla Regione un canone di 500mila euro all’anno, per l’uso degli impianti e delle opere degli acquedotti regionali (dighe, reti). La somma non comprende il diritto di utilizzazione della risorsa idrica poi erogata -cioè “venduta”- da Sorical ai Comuni calabresi.

C’è, infine, il mega-mutuo da 240 milioni di euro acceso con Depfa Bank (banca di diritto irlandese, al centro di un processo a Milano per i derivati venduti al Comune lombardo). Serve a finanziare gli investimenti: “Nonostante le ripetute richieste del Coordinamento calabrese acqua pubblica -spiega Di Leo-, non sappiamo chi sia il garante del mutuo”.
Ad Ae Del Re, l’amministratore di Sorical, spiega che in pegno ci sono “solo le azioni del partner privato”. Scarsa trasparenza: sono i risultati di una privatizzazione consumata senza realizzare il servizio idrico integrato. E il prossimo passo, che la Regione sta programmando, è l’unificazione dei 5 ambiti territoriali ottimali (Ato) in cui era suddiviso il territorio regionale. Per arrivare, forse, a una gestione unitaria. Del Re minimizza il ruolo della Sorical: “La nostra è una società di progetto, e deve rispettare il contratto sottoscritto con la Regione. Non vi è altro interesse, né legittime aspirazioni. Se poi Veolia vuole partecipare ad un’eventuale gara, può farlo”. Da Roma, però, il segretario del Conviri ci dice che “Sorical aspira a diventare il gestore del servizio idrico integrato”. Chi ha ragione lo sapremo nei prossimi mesi.

Cento giorni senza
Cento giorni senz’acqua potabile. Succede a Vibo Valentia, uno dei 110 capoluoghi di Provincia. Secondo i cittadini, è colpa dell’invaso dell’Alaco, una diga a mille metri d’altezza, nel territorio comunale di Brognaturo (Vv), che garantisce l’acqua potabile a circa 400mila cittadini calabresi, a cavallo tra le province di Vibo e Catanzaro. “La Diga dell’Alaco è una ex incompiuta. L’invaso è stato terminato da Sorical nel 2004. Ed è poi stata riempita senza fare le dovute bonifiche, senza eliminare la vegetazione presente sul fondo” raccontano alcuni membri del Coordinamento delle Serre per la difesa dell’acqua. Sergio G., Sergio P., Vincenzo, Salvatore A., Salvatore C. e Bruno vivono a Serra San Bruno, 7mila abitanti a 800 metri sul livello del mare. Sono scesi a Cosenza per portare in un laboratorio privato di analisi le acque del lago dell’Alaco. Vogliono capire cosa c’è nell’acqua. Anche il sindaco di Serre, infatti, ha emesso un’ordinanza di non potabilità. Per ferro e manganese. È stata revocata a inizio aprile, dopo 38 giorni. “L’impianto di potabilizzazione è sottodimensionato -accusano-. Inoltre, è concepito per trattare acque del sottosuolo, non di superficie. Abbiamo raccolto mille firme in calce a una petizione per chiedere che i dati delle analisi siano resi pubblici”.
Il paradosso: quella delle Serre è una delle zone più ricche d’acqua della Calabria; qui s’imbottigliano 4 marchi di acque minerali. “I nostri acquedotti erano alimentati da pozzi -spiegano i membri del Coordinamento-. Questi acquedotti oggi sono stati dismessi”. Maurizio Del Re, ad di Sorical, ribatte alle accuse: “Noi eccepiamo sul fatto che il sindaco abbia emesso un’ordinanza di non potabilità. Facciamo 120mila misurazioni all’anno”. Per Sorical, la colpa è del Comune. Per il Comune, è di Sorical. Ci fosse il servizio idrico integrato, queste manfrine non esisterebbero. “L’Arpacal (Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente della Calabria, ndr), nell’agosto del 2010, ha emesso il proprio giudizio: il problema è nell’impianto di adduzione, ovvero della diga dell’Alaco” spiega Di Leo, del Coordinamento calabrese acqua pubblica.
Nelle foto che mi mostrano, scattate sulle rive dell’Alaco, ci sono schiume strane. Le analisi spiegheranno cosa c’è sotto.

Info: www.associazionebrigante.it

sabato 19 maggio 2012

Dalla parte di Syriza e di Alexis Tsipras


La vicenda europea è arrivata ad un punto di svolta e la vera partita si gioca in Grecia. Questo perché in Grecia può vincere le elezioni un partito chiaramente antiliberista come Syriza. Il contesto europeo in cui la destra ha perso in Francia e nelle regionali tedesche a favore dei socialdemocratici, può dare una mano, ma la vera questione la sta ponendo la Grecia, cioè l’anello più debole della catena. Ed il punto è semplice: visto il palese fallimento delle politiche recessive basate sulla distruzione del welfare e dei diritti dei lavoratori, è sufficiente oggi per uscire dalla crisi affiancare a queste politiche un po’ di investimenti come chiedono i socialisti?

E’ del tutto evidente che la risposta è no, mille volte no.
Non solo perché il Fiscal Compact condannerebbe l’Europa ad una recessione senza fine, ma perché la crisi – innescata dalla speculazione – ha le sue radici in una ingiusta distribuzione del reddito e nei meccanismi di fondo di funzionamento della globalizzazione e dell’Unione Europea. Se non si mette mano alle questione di fondo, semplicemente dalla crisi non si esce.
Per questo la Grecia è importante, perché Syriza (che fa parte del Partito della Sinistra Europea come Rifondazione Comunista, il Front de Gauche, Izquierda Unida, la Linke ) ha posto i nodi di fondo che l’Europa deve affrontare. Dicendosi indisponibile ad accettare il memorandum che sta demolendo l’economia greca, ha posto la questione centrale per il nostro futuro.

Se Syriza vince si riapre tutto perché la folle politica europea sta in piedi su un solo presupposto: la complicità trasversale tra popolari, liberali e socialisti e le classi dirigenti di tutti i paesi. Il fatto che i governanti tedeschi in questi giorni alternino le minacce alle promesse, cioè il bastone e la carota, ci dice solo della paura che hanno, perché loro sanno benissimo di essere i primi a guadagnarci con l’Euro.
Molti dicono che Syriza sia irresponsabile e che se vince rischia di portare la Grecia fuori dall’Euro. E’ vero il contrario: Se la Grecia accetta di proseguire sulla strada del memorandum la sua economia e la sua società vengono semplicemente distrutti e fuori dall’Euro ci finiranno quando farà comodo alle banche. Basti pensare che grazie alle azioni di “salvataggio” praticate dall’Europa la Grecia è da 5 anni in recessione e il debito pubblico è quasi raddoppiato.
Siamo arrivati quindi all’ora delle scelte.

Di fronte alla vittoria di Syriza, che auspico con tutte le mie forze, tutti i paesi europei dovranno decidere: si contratta con il nuovo governo Greco o li si butta fuori dall’Euro? Se si sceglie la prima strada e si abbandonano le politiche liberiste l’Europa ha un futuro. Se si sceglie la seconda, comincerà un processo di dissoluzione che porterà alla fine dell’Euro, dell’Unione Europea e ad una crisi sociale di dimensioni bibliche non solo nei paesi del Sud Europa ma anche al centro dell’impero.

A questo punto il re è nudo, perché Syriza propone una modifica della politica economica a partire dall’azzeramento del memorandum. Tutti, ma proprio tutti, a partire dai partiti socialisti, dovranno scegliere se essere complici della catastrofe o mettersi dalla parte della soluzione.
Noi sappiamo da che parte stare, da quella di Syriza e di Alexis Tsipras.

di Paolo Ferrero

venerdì 18 maggio 2012

La nuova strada per uscire dal debito


Il nuovo vento che soffia in Europa forse ci permetterà di imboccare altre strade per la soluzione del debito. Un problema che va sicuramente risolto, sapendo però che ci sono due modi per farlo: dalla parte dei creditori o dei cittadini. La politica italiana, assieme a quella europea, finora ha scelto i creditori imponendoci sacrifici fatti passare come medicine per salvare l'Italia. Il ritornello lo conosciamo: siamo sotto costante esame dei mercati, se facciamo scelte a loro gradite abbiamo qualche possibilità di cavarcela, altrimenti saremo distrutti. Implicito riconoscimento che fra Stato e mercati ormai non comandano più parlamenti e governi, ma banche, fondi di investimento, hedge fund.


Ma il guaio è che non è sempre facile indovinare la cera più giusta, i mercati assomigliano a damigelle un po' viziate che si stancano subito del vestito appena indossato e con aria annoiata ne richiedono un altro. E se in un primo momento i mercati hanno brindato di fronte alla decisione dei governi di spremere le famiglie con un aggravio di tasse per garantire ai creditori interessi più alti, oggi si dimostrano insofferenti perché sanno che togliendo ricchezza alla gente si rischia di inceppare l'intero sistema, con danno anche per loro.


I tecnici economisti, quelli che sanno servire i mercati meglio dei politici, perché hanno studiato per questo, hanno fatto subito una proposta alternativa: non è dai redditi delle famiglie che dobbiamo ottenere il latte da somministrare ai mercati, ma dal taglio della spesa pubblica, che in Italia ha raggiunto gli 800 miliardi di euro, il 50% del Pil. Una vera bestemmia per i nostri dottori in economia, che si sbarazzerebbero volentieri di pensioni e assistenza alle famiglie (300 miliardi), sanità (100 miliardi), spese degli enti locali (240 miliardi), scuola (80 miliardi). Ma i tecnici d'oltreoceano hanno subito bocciato l'idea, nientepopodimeno che per bocca di Lawrence Summers, già ministro del Tesoro e consigliere economico della Casa Bianca.

In un articolo apparso sul Financial Times del 30 aprile ricorda che il taglio della spesa pubblica ha un effetto demolitivo sul Pil pari a una volta e mezzo. Come dire che a ogni euro in meno di spesa pubblica corrisponde un euro e mezzo di contrazione del Pil. In effetti non ci vuole la laurea per capire che anche la spesa pubblica rappresenta domanda per il sistema e ogni sua riduzione si ripercuote negativamente sull'intera economia. Così i nostri tecnici lavorano contro la crescita pur invocandola dalla mattina alla sera, al pari dei mercati che coltivano il caos pur invocando la stabilità.


L'unico modo per uscire da questa politica fallimentare è un cambio di prospettiva. Dobbiamo smettere di inseguire i padroni della finanza e concentrarci sugli interessi dei cittadini. Allora scopriremo che la priorità non sono il Pil e la crescita, ma l'equità e i servizi. Due percorsi che, oltre a garantire benefici a ogni cittadino, portano prosperità all'intera economia perché rimettono in circolazione ricchezze nascoste, tutt'al più utilizzate in operazioni speculative.
Fra le prime misure il congelamento del debito, inteso come sospensione del pagamento di capitale e interessi, per toglierci dalla tempia la pistola dei mercati e riportare subito il bilancio pubblico in pareggio. Congelamento a tempo, accompagnato da un'approfondita indagine popolare per capire come e perché si è formato il debito in modo da individuare eventuali parti illegittime che si ha il diritto di ripudiare definitivamente.

A seguire una seria riforma fiscale per ottenere un aumento del gettito fiscale dai grandi redditi e dai grandi patrimoni, che costituiscono comunque un sequestro di ricchezza parcheggiata in area improduttiva. E per finire una riqualificazione della spesa pubblica per sbarazzarci degli sprechi, intesi come privilegi e spese inutili, in modo da incanalare ogni euro verso il miglioramento dei servizi pubblici e il potenziamento degli investimenti pubblici in acquedotti, difesa del territorio, case popolari, scuole, ospedali, ferrovie locali.

La vera speranza occupazionale risiede nell'economia pubblica che, se ben gestita, può anche adoperarsi per rilanciare l'economia privata, non quella orientata all'esportazione come i dottori in economia continuano a dirci, ma quella votata all'economia interna, a partire dall'agricoltura, ché di mangiare avremo sempre bisogno. Se le campagne disponessero di viabilità, trasporti, servizi scolastici, sanitari e tutto il resto che serve per una vita civile, chissà quanti giovani potrebbero tornare a fare i coltivatori diretti, specie se godessero di servizi di consulenza tecnica gratuita e naturalmente di credito agevolato. Il che apre tutta la questione del sistema bancario, anch'esso da riformare in profondità affinché le banche tornino ad occuparsi di credito al servizio dell'economia reale, in un'ottica di sostenibilità.

Un programma impossibile? Mercati, dottori in economia e lacchè della politica diranno che si tratta di solo delirio. E delirio sarà finché ci faremo intimorire dalle loro minacce e dai loro ricatti. Me se avessimo il coraggio di osare, ci renderemmo conto che il nemico è solo un grande pupazzo di cartapesta costretto a farsi da parte se non vuole finire sotto i piedi di un popolo deciso a marciare.

di Francesco Gesualdi

* Centro nuovo modello di sviluppo
da Il Manifesto.

giovedì 17 maggio 2012

Ad Atene rinascerà l'Europa di sinistra

intervista a Theodoris Dritsas di Argiris Panagopoulos
La Grecia deve abbandonare le politiche dei tagli e dei Memorandum con un governo di sinistra, che aiuterà anche il cambio in Europa, spiega il deputato di Syriza Theodoris Dritsas al manifesto, convinto che con il recente voto in Grecia, in Francia, in Italia ma anche in Germania è cominciato l'inizio della fine del neoliberismo in Europa.


Theodoris Dritsas è uno dei più noti attivisti in Grecia. Ha cominciato partecipando alle durissime lotte per il diritto allo studio prima della dittatura per passare cinque anni della sua vita come consigliere comunale nella conflittuale città di Pireo e per formare subito dopo, con altri attivisti e movimenti, la lista «Il porto dell'Agonia, il Porto dell'angoscia», con la quale si è presentato come candidato sindaco per tre volte. È stato sempre a favore dei movimenti di base e delle masse e un feroce difensore della loro autonomia dai partiti politici, indispensabili però per avere una rappresentanza politica visibile. Non a caso questo dirigente «movimentista» è stato anche portavoce di Syriza nel parlamento greco.

Dritsas, perché è stato impossibile formare un nuovo governo dopo le elezioni del 6 maggio?

Le elezioni che sono convocate per il 17 giugno sono la logica conseguenza dell'impossibilità di formare un governo sulla base dei risultati elettorali del 6 maggio. Quel voto ha già sancito il rifiuto della politica dei «memorandum» da parte della stragrande maggioranza dei greci. Il 6 maggio si ha delegittimato i «memorandum» e gli accori per i prestiti che sono stati imposti alla società greca dalla troika e dai governo di Papandreou e Papadimos. Contemporaneamente, i cittadini hanno anche delegittimato tutto il sistema politico tradizionale. Syriza ha proposto di formare un governo delle sinistre ma quest'idea è stata rifiutata dal partito comunista Kke e pertanto è sfumata. Tutte le altre soluzioni che sono state avanzate da quel momento in poi erano solo un tentativo di far rientrare dalla finestra quello che i cittadini avevano cacciato via dalla porta. Naturalmente Syriza non ha accettato nessun'altra soluzione, perché crediamo che si è aperta una nuova strada non solo per la Grecia ma anche per l'Europa. Siamo ottimisti e fiduciosi: nelle prossime elezioni del 17 giugno questo futuro sarà più stabile e la porta per i cambiamenti che si era aperta diventerà uno spazio ancora più grande per cambiare il paese.

Con quali alleanze potrà governare Syriza in caso di vittoria il 17 giugno?

Non possiamo saperlo oggi con esattezza. Però è sicuro che le prossime elezioni stanno già assumendo il carattere di uno scontro frontale tra la sinistra e i neoliberali che hanno imposto i «memorandum» e i tagli, sia conservatori che socialisti. Le forze di sinistra si esprimono maggiormente in Syriza e le forze neoliberali sono rappresentate principalmente da Nuova Democrazia. Credo che il nuovo risultato elettorale vedrà le forze della sinistra molto più forti. Un governo con il suo nocciolo duro nella sinistra avrà una maggiore possibilità di portare il paese lontano dalla distruzione della sua società.

Per questo Syriza cerca di trasformarsi in un partito in brevissimo tempo?

Questa trasformazione l'hanno desiderata tante persone da tanto tempo. Il risultato elettorale accelera questa procedura. Questo cambio è necessario anche per superare i vincoli della pessima legge elettorale, che regala 50 sui 300 seggi del parlamento al primo partito. Dopo tante dure lotte e sacrifici della gente e dei nostri compagni e militanti non possiamo permettere che questi 50 seggi finiscano in mano ai conservatori anche in caso che Syriza sia il primo partito e non possa prenderli perché attualmente invece è una coalizione. Dobbiamo cambiare non solo perché vogliamo vincere ma anche perché un fatto cosi altererebbe anche il risultato elettorale. La vera procedura per trasformare Syriza in un partito comincerà nella forma e nella sostanza dopo le elezioni del 17 giugno.

Abbiamo visto che aumentano le pressioni e i ricatti contro Syriza. Vi dipingono come coloro che vogliono uscire dall'eurozona, che fatte di tutto per riportare la Grecia alla dracma, ecc...
Queste sono le maniere con le quali le forze di Nuova Democrazia e Pasok si preparano a dare la loro battaglia contro Syriza nelle prossime elezioni. Noi ormai lo ripetiamo da quasi tre anni e fino alla nausea: i tagli e l'applicazione di queste politiche che hanno distrutto la nostra economia e la nostra società portano alla accentuazione della crisi dell'eurozona, non alla sua salvezza. E' sempre più evidente che la Grecia non è affatto un caso isolato ma fa parte della crisi complessiva dell'eurozona e dell' Unione Europea. Le politiche dei tagli e dei «memorandum» accelerano la distruzione dell'economia greca e la crisi dell'Europa.

da Il Manifesto, giovedì 17 Maggio 2012