Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia

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sabato 2 ottobre 2010

La verità sul provvedimento di Melfi

di Piergiovanni Alleva

Siamo curiosi di vedere quanti tra i "grandi" quotidiani saranno capaci di riferire in modo corretto ed esatto il contenuto del provvedimento con il quale il tribunale di Melfi ha rigettato una istanza della Fiom in materia di effettiva reintegra del posto di lavoro dei tre operai licenziati per discriminazione antisindacale. Si leggerà probabilmente, su quei quotidiani di un mutamento a 180 gradi nell'orientamento del tribunale, di una "rivincita" della Fiat o chissà cos'altro, all'insegna del pressapochismo e della strumentalizzazione politica.

Vogliamo, allora, dare noi la notizia in modo scientificamente esatto, e tutti potranno comprendere che non vi è stata proprio nessuna sconfitta della Fiom ma, anzi, un'interessante messa a puntoda parte del tribunale di Melfi che apre la strada a sviluppi di enorme interesse. Certo, la materia è tecnica, ma se il lettore avrà un poco di pazienza cercheremo ora di prenderlo per mano e spiegare il senso della nostra affermazione.

Il punto di partenza è questo: vi è stato un decreto ai sensi dell'art. 28 dello Statuto dei lavoratori che ha dichiarato antisindacale il licenziamento dei tre lavoratori e ne ha ordinato la reintegra nel posto di lavoro, ma la Fiat ha eseguito l'ordine solo formalmente e parzialmente perché ha riacceso i contratti di lavoro e ha ricominciato a corrispondere le retribuzioni, ma non ha consentito ai tre operai di riprendere effettivamente l'opera lavorativa. Dunque, l'ordine è rimasto in parte ineseguito e va subito detto che quando una decisione giudiziaria non viene applicata spontaneamente si passa alla fase cosiddetta "esecutiva", previo invio di una diffida (detta "precetto") ad adempiere l'ordine.

Quando, come in questo caso, l'ordine è non di pagare (la Fiat ha già pagato) ma di fare, ossia di far lavorare i tre dipendenti, la procedura esecutiva è quella stabilita dagli articoli 612 e seguenti del codice di procedura di cui meglio diremo più sotto. Va, però, aggiunto che per i provvedimenti cautelari e d'urgenza un'altra norma, ossia l'art. 669 duodeces del codice di procedura prevede che lo stesso giudice che li ha pronunziati possa integrare e dettagliare l'ordine già emesso se insorgono difficoltà di sua attuazione ed interpretazione, e nel nostro caso si poteva pensare che fosse opportuno ricorrere a questa norma, visto l'atteggiamento sofistico e recalcitrante della Fiat (ad esempio: i lavoratori possono entrare per partecipare alle assemblee, ma non per lavorare).

La Fiom si è rivolta appunto con una istanza di questo genere al giudice che aveva emesso l'ordine (tribunale di Melfi) il quale, semplicemente, ha ora stabilito che non c'era in realtà bisogno di integrare o specificare l'ordine di reintegra già emesso, ma solo di eseguirlo, essendo già sufficiente la decisione resa ai sensi dell'art. 28 dello Statuto (il quale prevede, per l'esattezza, un procedimento "sommario" e non propriamente "cautelare"). Pertanto, secondo il tribunale di Melfi, è perfettamente possibile passare da subito al procedimento esecutivo ai sensi dell'art. 612 del codice di procedura, trattandosi appunto di obbligo di fare a carico della Fiat. In definitiva, in concreto, il tribunale di Melfi ha dato "luce verde immediata" al procedimento esecutivo a carico della Fiat. Possiamo allora passare alla seconda parte del nostro discorso.

La Fiom, ovviamente, inizierà senza indugio il procedimento esecutivo dell'obbligo di fare ai sensi dell'art. 612 del codice di procedura e proprio qui si aprirà una fase molto interessante perché si discuterà se l'obbligo di fare di cui si tratta possa o meno essere eseguito in forma specifica. Alcuni obblighi di fare o anche di "non fare" possono essere eseguiti in forma specifica, ad esempio come quello di abbattere un muro, perché se chi è stato condannato ad abbatterlo non lo fa, l'altra parte, autorizzata dal giudice, può farlo abbattere lei da una ditta a spese del recalcitrante.

Ma altri obblighi di fare o non fare non sono eseguibili materialmente contro la volontà dell'obbligato: ad esempio se Tizio è stato condannato a non suonare la tromba di notte disturbando il vicino Caio (obbligo di non fare) come si potrà materialmente obbligarlo ad astenersi da ulteriori azioni di disturbo di quel genere? E, per venire al nostro caso, se il datore di lavoro si rifiuta di dare le disposizioni lavorative al lavoratore reintegrato si potrà a ciò materialmente obbligarlo? Questa dell'esecuzione degli obblighi di fare infungibili è sempre stata una terra di frontiera del nostro diritto processuale e fino a tempi molto recenti in caso di perdurante disobbedienza si è dovuto più o meno ripiegare su risarcimenti difficili da quantificare.

Recentemente però, sull'onda di una soluzione da molto tempo esistente nel diritto francese, è stata introdotta nel campo dei rapporti civili una norma di grande importanza contenuta ora nell'articolo 614bis del codice di procedura civile. Il giudice può forfettizzare e prestabilire un risarcimento progressivo predeterminato in caso di disobbedienza e così, per esempio, al disturbatore Tizio potrà essere imposto di pagare 100 euro a Caio se suonerà la tromba una prima volta, 200 per il secondo disturbo, 400 per il terzo e così via. E non vi è dubbio che Tizio si adeguerà allora ben presto all'ordine giudiziario. Tutti comprendono come questa importante novità risolverebbe il problema degli operai di Melfi e di tutti i reintegrati, i demansionati, i mobbizzati ecc. che ottengono giustizia sulla carta ma poi non riescono a piegare la resistenza di fatto del datore recalcitrante.

Proprio qui però emerge sfacciatamente il segno di classe della legislazione del centro destra, perché lo stesso articolo 614 prevede che quell'efficacissima norma si applichi a tutti i rapporti contrattuali ma non ai processi sui rapporti di lavoro. Ed allora pensiamo che proprio dal tribunale di Melfi potrebbe venire uno sviluppo di enorme importanza, nel senso che la questione potrebbe essere demandata alla Corte costituzionale la quale, a parer nostro, sicuramente, dichiarerebbe quella esclusione irrazionale e illegittima e dunque applicabile l'articolo 614bis anche ai processi di lavoro.

A nostro avviso, tutti gli avvocati italiani che difendono i lavoratori dovrebbero sentire il dovere di sollevare la questione di costituzionalità sopra ricordata in tutti i processi di reintegra nei posti di lavoro o nelle mansioni. Un giudice che rinvii la questione alla Corte si troverà sicuramente, ma a parer nostro se ne troveranno decine o centinaia.

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