Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia

Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia

venerdì 26 ottobre 2012

Sabato 27 tutte/i a Roma!


di Stefano Galieni

La semplice idea di realizzare per il 27 ottobre una manifestazione pacifica e di massa contro le politiche di questo governo ha creato e sta creando aspettative e malumori. Promossa da forze politiche e sociali che non godono dei favori della ribalta, che non meritano la prima serata televisiva, apre contraddizioni enormi fra le persone stesse. Al di là delle adesioni confermate e degli impegni presi – ad oggi è previsto l’arrivo di un centinaio di pullman di cui la metà organizzata dal nostro partito – la si vorrebbe bollare in partenza come manifestazione minoritaria e tipica del “populismo di sinistra” ma i contenuti di cui è animata, fanno riflettere.

Il “No Monti” è un esplicito no alle politiche di austerity che stanno portando alla fame e ad una recessione irreversibile il Paese, un no al “fiscal compact” e ai tagli che questo comporta, un no alla demolizione del concetto di bene comune verso un contesto in cui tutto, anche le persone sono solo e soltanto merce. Ma racchiude anche una varietà di proposte politiche che arrivano dal basso, da chi si occupa nelle vertenze in atto, di difendere la qualità dei posti di lavoro, da chi considera il precariato una sciagura da evitare. Uomini e donne lontani anni luce dallo stuccoso dibattito sulle primarie, che invece di rinunciare alla politica cercano e propongono  una alternativa, sentendosi nelle stesse condizioni di tanti paesi europei: Grecia, Spagna, Portogallo, Francia e non solo. 

Uomini e donne che vivono sovente una condizione di “non rappresentanza” e che pretendono di far sentire la propria voce. Ovvio che per l’informazione dominante simili aggregazioni siano da considerare come elementi non compatibili, al di fuori dalla politica dei salotti buoni. Sono le stesse testate che stanno dando ampio risalto a Grillo e a un Movimento 5 stelle che, per le modalità monarchiche e messianiche in cui è gestito servono come il Valium ad ogni forma di contestazione. Non a caso, in contemporanea, coloro che si riconoscono in detto movimento, se ne staranno chiusi nel Palazzo della Regione Lazio, ad elaborare le prime tracce di un programma “partecipato”. 

Una contraddizione in termini. Sarebbe stato prezioso e utile che l’intero arco della sinistra che si dichiara contraria alle politiche governative, avesse preso la decisione di partecipare a questa manifestazione o comunque di interloquirci. Invece si è preferito, dai vertici, bollarla come minoritaria e di nicchia, come una manifestazione “vetero”. Alcuni giornali soffiano anche sul fuoco della possibilità che durante il percorso (partenza alle ore 14.30 da Piazza della Repubblica e arrivo a P.zza S. Giovanni) si possano verificare incidenti. Alimentare la paura fa spesso comodo. Fa meno comodo dire che ad aprire il corteo saranno alcuni malati di Sla le cui condizioni di assistenza sono messe in profonda crisi grazie a quella mannaia che si abbatterà sul sistema sanitario grazie al patto di stabilità.  

Eppure, nei sussurri che circolano fra i social network, in quel dibattito informale spesso più importante e stimolante delle grandi dichiarazioni, ci si sente dire:«Io sabato vengo in piazza». Si obbedisce ad una propria coscienza civica e politica più che alle scelte fatte da dirigenti lontani. La manifestazione di sabato è organizzata con infinite difficoltà logistiche e si concluderà con una assemblea in cui gli oratori non avranno a disposizione palchi stratosferici ma un camion. In piazza ci saranno gli spazi del Prc per raccogliere firme per i referendum su pensioni, ripristino dell’articolo 18 e abolizione dell’art. 8Saremo in tanti e in tante, più di quanto ci si aspetta, forse troppi per chi vorrebbe ridotto il confronto politico ad un talk show televisivo. Ma sarà una bella manifestazione. Peccato per chi sceglierà di restare a casa.

martedì 16 ottobre 2012

Un errore l'analisi di Asor Rosa

di Livio Pepino

L'analisi di Asor Rosa è chiara: nel nostro desolato panorama politico una riedizione del governo Monti e della sua politica può essere scongiurata solo dalla «coalizione Bersani-Vendola» che, pur nell'incognita dello stato confusionale del Pd, può essere ri-orientata a sinistra da una vittoria elettorale; in ogni caso non c'è alternativa, se non la «libidine della sconfitta» di spezzoni, vecchi e nuovi, di una sinistra presuntuosa e velleitaria. Fino a qualche anno fa avrei condiviso: del resto non sono un estremista (e se a volte appaio tale è solo per l'inarrestabile corsa a destra degli estremisti di un tempo). Ma oggi ritengo quell'analisi un errore, utile solo a mettere la pietra tombale su ogni prospettiva di cambiamento. Provo a spiegare perché.

Primo.
C'è, in Italia e nel mondo, una grande questione aperta che riguarda le politiche per uscire dalla crisi. Alcuni - la maggioranza - ritengono che la ricetta sia interna al liberismo e che non possa prescindere dalla riduzione della spesa pubblica, dall'abbattimento dello stato sociale, dalla diminuzione delle tutele del lavoro, dall'espansione del privato, dall'investimento in opere faraoniche. Altri - quel che resta della cultura di sinistra - pensano che la strada sia quella opposta, cioè, per usare le parole di Luciano Gallino, un New Deal (finanziato con il taglio delle spese militari e di quelle per le grandi opere, una imposizione fiscale equa ed efficiente, il recupero delle risorse concesse a fondo perduto alle banche) fondato su un piano di interventi pubblici finalizzati alla piena occupazione, alla razionalizzazione del welfare, al reddito di cittadinanza, alla riconversione ecologica, al riassetto del territorio e delle infrastrutture del paese, alla valorizzazione dei migranti e via elencando. Sono due prospettive inconciliabili. Il Pd, cioè il perno della coalizione invocata da Asor Rosa, ha scelto la prima, nelle parole e con i fatti: appoggiando senza se e senza ma il governo Monti, contribuendo ad approvare il fiscal compact e la modifica costituzionale sul pareggio di bilancio, avallando la riduzione delle tutele del lavoro, sostenendo le grandi opere, eludendo nei fatti l'esito referendario in favore dell'acqua pubblica eccetera. Sono scelte di tutto il partito, non scalfite da qualche isolato «mal di pancia», presto rientrato in attuazione di quella disciplina che si è deciso di estendere all'intera coalizione. Scelte legittime, ovviamente: ma per quale ragione al mondo chi non le condivide e le osteggia dovrebbe sostenerle col proprio voto? Non è questo cinismo di fronte ai contenuti che uccide la democrazia e la politica?
 
Secondo. Asor Rosa cerca di uscire dalla stretta osservando che l'alleanza con Vendola e un grande successo elettorale potrebbero rimescolare le carte. Su quali basi non è dato sapere e anzi, la cosa appare a dir poco difficile, anche a non considerare la variabile Renzi... La scelta del Pd è, infatti, risalente e tradotta in una pluriennale attività di governo. Lo ha ammesso persino Romano Prodi scrivendo, in un empito di sincerità, che negli anni di governo dell'Ulivo «il cambiamento della società è continuato secondo le linee precedenti: una crescente disparità nelle distribuzione dei redditi, un dominio assoluto e incontrastato del mercato, un diffuso disprezzo del ruolo dello Stato e dell'uso delle politiche fiscali, una presenza sempre più limitata degli interventi pubblici di carattere sociale» (Il Messaggero, 15 agosto 2009). Tutto questo - è bene non dimenticarlo - ha, per di più, marginalizzato l'attenzione alla «questione morale», contribuendo a trasformare la corruzione nel sistema in corruzione del sistema. Solo chiudendo gli occhi si può pensare che questa linea politica cambi nei tempi brevi e, soprattutto, sull'onda di una vittoria elettorale (che secondo ogni logica la confermerebbe).
 
Terzo. Arriviamo all'ultimo punto: non c'è alternativa. È questo l'errore più grave. Inutile dirlo: l'alternativa non è la riedizione di esperienze verticistiche, burocratiche e perdenti come quella della Sinistra Arcobaleno del 2008. Da allora, molte cose sono cambiate, a cominciare dall'esperienza dei referendum sull'acqua pubblica e sul nucleare del 2011 (su cui all'inizio erano in pochi a scommettere...) e dal rifiuto diffuso di assetti di potere consolidati. Oggi sono i fatti a richiedere una iniziativa politica nuova, nei contenuti e nel metodo, e intransigente (categoria lontana le mille miglia dalla presunzione). Una iniziativa che parta non da apparati ma da persone di buona volontà e che aggreghi movimenti, associazioni, singoli, amministratori di piccole e grandi città in un progetto di rinnovamento delle stesse modalità della rappresentanza. So bene che è un'operazione complicata e che, rispetto alle elezioni del prossimo aprile, siamo in ritardo. Ma qualcosa si muove (lo si è visto, per esempio, nell'incontro promosso a Torino da Alba il 6 e 7 ottobre) e - come la storia dimostra - i processi di cambiamento iniziano da piccole incrinature del pensiero unico. Comunque, la difficoltà dell'impresa non è una buona ragione per rinunciarvi. Di questo (e non di una anacronistica assemblea nazionale programmatica del Pd...) sarebbe bene discutere da domani.



sabato 13 ottobre 2012

Comunicato stampa con proposta di modifica statuto Fondazione MPS

 
 Un pubblico attento e numeroso ha seguito la conferenza stampa aperta organizzata dai circoli cittadini Città Domani – Sinistra per Siena, Peppino Impastato dell’IDV e Viro Avanzati di Rifondazione Comunista per presentare la proposta di una profonda revisione dello statuto della Fondazione MPS, da mettere in atto subito per cambiare radicalmente il modo di operare di un ente che ha sperperato un immenso patrimonio della Città.

In sintesi le proposte prevedono: obbligo di gestire direttamente il proprio patrimonio, che è funzione caratteristica non delegabile; poteri di nomina della Deputazione Generale che tornino nelle mani degli organi elettivi (comune, provincia, regione) e non più di sindaco e presidenti; riduzione del numero dei componenti la Deputazione amministratrice; poteri di revoca da parte degli organi nominanti; bandi pubblici per la formazione di elenchi di candidati e voto limitato per evitare inciuci; ineleggibilità di coloro che sono stati amministratori o dirigenti di comune, provincia, regione e società partecipate nei cinque anni precedenti la nomina; divieto per gli amministratori della Fondazione di assumere incarichi nelle società partecipate dalla stessa; compensi dei membri della Deputazione Amministratrice equiparati a quelli del Sindaco e degli Assessori del Comune di Siena, e per la deputazione generale limitati ad una gettone di presenza di 300 euro mensili (contro gli attuali 2.000); spese di funzionamento generale della Fondazione non eccedenti una quota prestabilita dal bilancio.

Infine, dato il carattere di soggetto rappresentante un’intera comunità, è stata affermata la necessità che tutti gli atti della Fondazione siano pubblici ed improntati alla massima trasparenza.
Con questa proposta i circoli intendono stanare le forze che ancora resistono al cambiamento e costringerle ad un confronto di merito, senza tante manfrine come quelle di chi parla di revisione dello statuto avendo in mente solo provvedimenti di facciata.

Nel corso della serata è stato inoltre ripresa la proposta, già presentata all’assemblea dell’associazione degli Azionisti per il Buongoverno MPS, di una revisione della struttura della banca che consenta di salvare il salvabile, mettendo al riparo il cuore essenziale del Monte dei Paschi dalla rapina che sta tentando di sottrarlo alla città. La proposta prevede sostanzialmente di dividere in due la banca, conservandone per un terzo la parte operante nei territori dell’Italia centrale con un controllo reale in testa alla Fondazione ed quindi alla comunità senese e lasciando al processo di normalizzazione voluto dai neoliberisti e dal governo quei due terzi che operano nel resto del paese.
Anche questa è una proposta verso la quale non ci si può girare dall’altra parte: chi ha avuto tanta parte nel disastro che è stato combinato, cerchi di mettere la testa al lavoro per ridurre al minimo i danni.

A conclusione dell’assemblea i circoli si sono presi l’impegno a promuovere una petizione popolare ed iniziative in tutte le sedi per avviare un’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori della Banca e della Deputazione Amministratrice della Fondazione affinché siano chiamati a rispondere legalmente ed in solido dei danni procurati alle istituzioni da loro amministrate ed alla comunità senese.
Siena, 13 ottobre 2012










Fondazione Monte dei Paschi




Il virtuoso Sistema Siena si è involuto in un gorgo di clientelismo provinciale che ha inghiottito tutto, dall'Università alla Banca, dal Santa Maria della Scala al Comune e che minaccia ogni altra istituzione distruggendo ogni prospettiva. L'enorme quantità di quattrini che il Monte dei Paschi faceva piovere sui buoni e sui cattivi ha portato ad una degenerazione in cui non contano più la qualità dei progetti e delle persone, ma l'affiliazione e la spartizione”.



E' da questa accertata premessa che il Circolo Città Domani – Sinistra per Siena, il Circolo Peppino Impastato dell'Italia dei Valori e il Circolo Viro Avanzati del Partito della Rifondazione Comunista intendono partire per sottolineare il carattere politicamente corruttivo di alcune norme dell'attuale Statuto della Fondazione e per chiedere alla società civile senese e agli organi competenti per la sua revisione uno straordinario e immediato impegno capace di imporre una svolta e una riscossa civile.
La Fondazione ha mancato clamorosamente gli obiettivi minimi stabiliti dagli articoli 3, 4, e 5 del proprio statuto contravvenendo in particolare il principio essenziale della salvaguardia della consistenza del suo patrimonio e la sua valorizzazione a causa soprattutto dell’assoluta mancanza di autonomia e della subordinazione al sistema di potere che l'hanno spinta ad avallare scelte maturate al suo esterno e sulle cui conseguenze, nella maggior parte dei casi, non esisteva la benché minima consapevolezza.
Questa drammatica situazione si è verificata in quanto l'organo di indirizzo e l'organo di amministrazione della Fondazione sono stati concepiti fin dall'inizio come strumenti finalizzati alla mera gestione delle risorse e all'erogazione degli utili che la banca avrebbe ineluttabilmente realizzato, producendo un'attenzione pressoché esclusiva ad una distribuzione che non scontentasse nessuno, alimentando un sistema di clientele e un sottobosco di potere che nulla avevano a che vedere con le finalità perseguite dall'attuale statuto.
La Fondazione stessa è diventata un organo autoreferenziale ben poco attenta al suo ruolo di azionista di riferimento del Monte dei Paschi e priva di capacità di selezionare le politiche che avrebbe dovuto esprimere. In molti campi la sua struttura, già eccessiva, ha prodotto una molteplicità di centri di spesa (società controllate e partecipate, incarichi di consulenza) generando costi assolutamente insostenibili.




Per produrre una nuova etica dell'amministrazione del bene comune che la Fondazione rappresenta servono immediati interventi:


A) Gestione del patrimonio della Fondazione.
Eliminare radicalmente ogni possibilità di far ricorso a soggetti ed entità esterne: la gestione del patrimonio è funzione caratteristica che va svolta con risorse proprie ed all'interno della propria struttura operativa responsabile dei risultati.

B) Senesità
La Banca deve tornare alle origini, in altre parole esercitare la funzione di Banca del Territorio che fa credito alle imprese e le aiuta nei loro investimenti, che sostiene le iniziative produttive nell'agricoltura e nell'ambiente, che valorizza la cultura e l'arte di cui è ricca la nostra terra contribuendo per questa via a creare occupazione e certezza per le future generazioni. Rifiutiamo una banca con aspirazioni monopolistiche che investe in titoli spazzatura e specula sui titoli di Stato.
Per questo la Senesità passa oggi attraverso un progetto di scissione della Banca attuale: da un lato quella nazionale che persegue i suoi obiettivi di globalità senza “l'onere” degli interessi locali, dall'altro una banca regionale dell'Italia centrale e di ridotte dimensioni rigorosamente sotto il controllo della Fondazione che salvaguarda l'occupazione nel territorio e che persegue quelle finalità. Non c'è tempo da perdere: il territorio faccia sentire la sua voce.
La residenza nel territorio dell'attuale provincia di Siena di una parte degli amministratori della fondazione non può essere una norma finta: o è una residenza che risale ad alcuni anni, o è requisito che va eliminato.

D) Poteri di nomina
La Deputazione generale, ricondotta ai suoi compiti essenziali di indirizzo, deve essere nominata dagli organi collegiali di elezione diretta da parte dei cittadini (Comune di Siena, Provincia, Regione) e, in misura da definire, dagli enti pubblici e provati “radicati sul territorio ed espressivi, per tradizione storica senese, di interessi meritevoli di essere rappresentati nell’organo di indirizzo” (secondo gli indirizzi della Corte Costituzionale) e non più da singole persone, benché democraticamente investite di poteri di governo, che ottengono smisurati vantaggi personali dalla riconoscenza dei nominati a scapito della loro autonomia critica.
La Deputazione amministratrice, nominata a sua volta da quella generale, può essere utilmente ridimensionata e ridotta a tre membri compreso il presidente.
Fermo restando il rapporto di autonomia previsto dalla legge tra nominanti e nominati gli enti nominanti nei confronti della deputazione generale e la deputazione generale nei confronti di quella amministratrice e del presidente devono essere investiti di poteri di revoca in caso di accertate e conclamate violazioni statutarie o per inosservanza degli indirizzi generali prestabiliti.





E) Meccanismi di nomina
Ritenendo fondamentale il possesso dei titoli culturali e professionali e di comprovate esperienze e competenze in capo ai candidati, si chiede l'istituzione con bandi pubblici di un albo permanente e annualmente aggiornato da cui individuare gli eletti con forme di votazione che garantiscano il più ampio pluralismo democratico e culturale evitando pasticciati accordi consociativi. A questo scopo devono essere previste forme di votazione che prevedano un voto limitato e l'obbligo di assicurare che una quota di nominati sia scelta tra le candidature presentate da enti ed associazioni estranee a Comune, Provincia e Regione.

F) Incompatibilità
Introdurre un criterio di incompatibilità per le candidature e le nomine che impedisca di usare la Fondazione come sede per il carrierismo di casta anche attraverso la revisione drastica dei compensi come appresso. Saranno dunque non candidabili e non eleggibili gli amministratori (sindaci, presidenti e assessori), i dirigenti in carica e quelli che lo sono stati nei cinque anni precedenti alla nomina dei comuni della Provincia di Siena, della Provincia, della Regione Toscana e delle aziende e società partecipate e, in modo particolare, della banca conferita ria MPS.
Introdurre un divieto per gli amministratori della Fondazione in carica di assumere incarichi amministrativi e di essere assunti alle dipendenze di enti, Istituzioni e società partecipate dalla Fondazione e dalla Banca, né di soggetti che durante il mandato beneficino delle provvidenze della Fondazione. In caso contrario decadenza automatica dall'organo.

G) Compensi e costi
Per il presidente e per i componenti della deputazione amministratrice i compensi non devono eccedere quelli previsti rispettivamente per il sindaco e per gli assessori del Comune di Siena.
Per i componenti della deputazione generale, oltre al rimborso delle spese vive, prevedere la corresponsione di un gettone di presenza non superiore a trecento euro lordi a seduta rispetto a quello attuale tuttora esorbitante nonostante le recenti riduzioni.
Limitare al minimo indispensabile tutti gli incarichi esterni che siano comunque deliberati dall'organo amministrativo comparando un adeguato numero di offerte di soggetti diversi.
Le spese generali di funzionamento della Fondazione (amministratori, personale, beni e servizi) non possono comunque eccedere una percentuale predefinita del bilancio annuale (es. 20%). Ogni superamento comporta la decadenza automatica degli organi.

Siena, ottobre 2012

Circolo Città Domani – Lista Sinistra per Siena
Circolo Peppino Impastato – Italia dei Valori
Circolo Viro Avanzati – Rifondazione Comunista

Ci vorrebbe una rivoluzione

di Franco Arminio

La scuola per i governi italiani è una faccenda di spese da ridurre, non è nient'altro che questo. Quello che dovrebbe essere il cuore di ogni società viene trattato alla stregua di un'unghia incarnita. A furia di ricevere scarsa considerazione, anche tra chi ci lavora dentro si è fatta strada un'ottica che tende a rimpicciolire le straordinarie esperienze dell'insegnare e dell'imparare.

Forse non serve un giorno di sciopero se poi si ritorna rassegnati nell'angolo. E non si può reagire ai tagli riducendo il proprio impegno. Quello che i governanti non capiscono è che l'Italia ha bisogno di più scuola. Bisognerebbe tenere aperte le aule anche di pomeriggio e di sera. L'errore della politica è di considerarla un comparto particolarmente oneroso del pubblico impiego.

La scuola non è un insieme di uffici, è arte, politica, religione, cultura, è compagnia, è lavoro, è gioia, è futuro. La scuola dovrebbe essere un vulcano in mezzo alla società, così dovrebbe essere concepita e costruita, non come una scodella di avanzi, come un residuo tollerato di un mondo che non c'è più. Gli stregoni che invocano la crescita dovrebbero adoperarsi per far crescere gli apprendimenti, per aumentare l'entusiasmo di insegnanti e alunni. E non è questione solo di stipendi. Le scuole dovrebbero avere intorno tutta una seria di premure. Una nazione non è un'azienda e una società non può stare appesa al valore della sua moneta.
 
Lo sciopero di oggi deve essere l'affermazione del valore immenso che hanno i rapporti umani, quello che ci diciamo, i sorrisi, i rimproveri, il parlarsi dentro un'aula, sentirsi una comunità che costruisce qualcosa, che non è lì per passare un po' di tempo. La scuola dovrebbe essere la metà dell'agenda di ogni Governo, di ogni Regione, di ogni Provincia, di ogni Comune. E invece abbiamo avuto un ministro come la Gelmini.
 
Il governo dei professori sta lavorando su tempi stretti e rimettere in piedi la casa del sapere non è impresa da pochi mesi, ma neppure si può lavorare come se fosse solo una questione di soldi. La politica non è la distribuzione del denaro. La politica deve guardare ai bambini di tre anni e ai ragazzi di venti. Il giorno in cui caddero le torri il presidente americano era in visita in una scuola elementare. In Italia dentro un'aula è difficile portare anche i sindaci. I politici sono imbarazzati davanti ai bambini, ai ragazzi, ai giovani.
 
In questi giorni nelle prime elementari i bambini stanno imparando a leggere e a scrivere. È un travaglio che meriterebbe tante cure e invece avviene come se ogni aula fosse un sottomarino. Da questo punto di vista siamo tornati indietro. Nelle scuole non c'è spazio per sperimentare, non solo mancano le risorse, manca l'attenzione della società. La scuola è la prima forma della politica, è il primo esercizio di cittadinanza e invece è ridotta a un parcheggio dove chi sta avanti non può andare più avanti e chi sta indietro non viene aiutato a farsi avanti. Un meccanismo bloccato, una macchina senza ruote. 

Dopo lo sciopero bisognerebbe inventarsi qualcos'altro per dire che la scuola si ammutina, non partecipa alla triste pagliacciata di una società egoista e senza slanci. La scuola deve ritirarsi da questo mondo senz'anima, deve essere fiera della sua inattualità, deve svolgere una serena obiezione al contingente, perché la posta in palio è immensa: è la forza di stare tra gli uomini e nei luoghi, nella propria casa e nell'universo.
 
Altro che due ore in più o in meno, altro che il ronzio ragionieristico con cui ci assillano: i politicanti ormai sembrano mosche nelle orecchie dei cavalli. C'è un'enorme dismisura tra un bambino che scrive alla lavagna la sua prima parola intera e il fatuo balbettio mediatico. I soldi che hanno tolto alla scuola in questi anni sono ben poca cosa rispetto al disamore con cui è stata guardata.
 
L'Italia ha rottamato la pubblica istruzione e si è affidata alla televisione, fino ad eleggere a capo del governo il padrone dell'etere. Ora è tempo di rottamare la televisione e di rimettere al centro la scuola. Ci vuole una vera e propria rivoluzione ed è più urgente del risanamento del debito.

venerdì 12 ottobre 2012

La barbarie del governo contro le persone con disabilità

di Paolo Ferrero

Nella manovra di stabilità vi sono provvedimenti di cui nessuno parla.
In primo luogo non appare l’ennesimo giro di vite sulle persone con disabilità e sulle loro famiglie. Il provvedimento sottopone le pensioni di invalidità all’IRPEF e per questa via le riduce. In secondo luogo vengono dimezzati i permessi lavorativi ai figli che devono assistere i genitori con disabilità grave.  Non so esattamente quanto denaro porterà nelle casse dello stato questo provvedimento ma so che è un provvedimento barbarico, indegno di un paese civile. Infatti questi provvedimenti si sommano ad altri che hanno sostanzialmente azzerato i fondi per le persone con disabilità. I governi Berlusconi prima e Monti poi hanno sostanzialmente azzerato i fondi per la spesa sociale.
Quando ero ministro del governo Prodi ero riuscito a portare i fondi per il sociale a 2 miliardi e mezzo, adesso questi fondi assommano a 270 milioni di euro. Un taglio di oltre 2 miliardi che si aggiunge ai tagli dei trasferimenti agli enti locali e alle regioni – i titolari della spesa sociale - con effetti disastrosi per la pubblica assistenza.
Io non credo che nel paese vi sia una esatta consapevolezza di cosa significa tutto questo. Le persone con disabilità non fanno notizia e sono vissute come un fatto privato delle famiglie e delle associazioni di autotutela. Ci troviamo però di fronte a milioni di persone che sono abbandonate a loro stesse. Pensate a cosa vuol dire per una famiglia a reddito medio avere un genitore non autosufficiente in assenza di un sostegno pubblico: da mille euro al mese di spesa in su con un completo stravolgimento della propria vita attorno al genitore non autosufficiente. Se la famiglia deve essere il luogo degli affetti , in troppi casi la famiglia diventa il luogo della disperazione. La Bibbia dice “non caricate sulle spalle degli altri pesi che non possono portare”. Io penso che il governo stia facendo esattamente questo: sta caricando sulle spalle dei più deboli e dei loro famigliari pesi che non possono portare.
Questa situazione è tanto più vergognosa perché mentre le persone con disabilità ed in particolare gli anziani vengono abbandonati a se stessi, il governo trova le risorse per le banche private: nella spending review sono previsti 2 miliardi per il Monte dei Paschi di Siena e dei circa 60 miliardi che l’Unione Europea darà alle banche private spagnole, 10 verranno versati dal governo italiano. Vado dicendo queste cose da tempo ma non riesco a farmi ascoltare, i giornali e i telegiornali non ne parlano. Dall’informazione magicamente scompaiono sia i finanziamenti alle banche che i tagli verso i più deboli. I più forti e i più deboli sono cancellati dalla discussione: gli uni perché preferiscono agire nell’ombra, gli altri perché vengono nascosti sotto il tappeto, come la polvere.  Il mio è quindi un grido di allarme. Uno stato che trova i soldi per le banche e li toglie alle persone con disabilità non è più un paese civile, è diventata un’altra cosa e i partiti politici che fanno finta di non vedere gli effetti delle loro decisioni fanno parte del problema, non della soluzione.

mercoledì 10 ottobre 2012

IL PRC SUL MONTE DEI PASCHI DI SIENA:

 
No ai licenziamenti, no alla privatizzazione, si alla ripubblicizzazione!

 Le ragioni della crisi che sta attraversando il MPS sono complesse e certamente non recenti. Come è possibile che una delle banche più solide del mondo, con una tradizione plurisecolare si trovi oggi, parole del suo presidente Profumo, a dover ricapitalizzare per rientrare degli oltre 3,4 miliardi che la banca deve allo stato in virtù dei titoli acquisiti?
Naturalmente la ricetta proposta dai soliti manager super pagati è sempre la stessa in ogni occasione e latitudine: esternalizzazione (leggi privatizzazione) di tutta una serie di funzioni e taglio di 2360 lavoratori (secondo i giornali 1600 “trattabili”). Ricetta non nuova e per altro più volte auspicata sia dal piano di rinascita nazionale della P2 che dalle oligarchie europee.
In questo quadro così drammatico, per una banca che altrimenti sarebbe solida e forte, le responsabilità politiche, in particolare del Partito Democratico che governa Siena, sono evidenti. L’adesione acritica a modelli “privatistici” e liberisti che in questi anni hanno fatto egemonia anche a sinistra (producendo danni tra i quali il ridimensionamento del ruolo della fondazione all’interno della banca), e l’incapacità, da parte di una classe politica troppo “assorbita” da scontri interni più che a dare una risposta alla crisi del MPS (lasciando questo compito al “tecnico” di turno), stanno portando al disastro.
Questa situazione non è più tollerabile e per uscirne non è sufficiente l’ordinaria amministrazione ma è necessario un deciso cambio di strategia.
  1. Nell’immediato chiediamo che siano ritirati i licenziamenti programmati e che in questo senso si attivino tutti quei soggetti istituzionali, dalla Regione Toscana al Comune di Siena, che a vario titolo e con diversi gradi di responsabilità hanno ancora voce in capitolo sulle strategie della banca.
  2. Intraprendere una decisa azione politica affinché, come accaduto non in Corea del Nord, bensì negli USA, a fronte di un intervento economico dello Stato, non si proceda con ulteriori esternalizzazioni, tagli del personale e apertura della banca, attraverso la ricapitalizzazione, di nuovi capitali privati, ma il Governo entri, per la quota parte coincidente con il credito acquisito col MPS, direttamente nel CdA della banca permettendo così un duplice risultato: A) Dare ossigeno al MPS e permettere ad un istituto che, ripetiamo, è sano e forte sul mercato, di riprendere la propria attività senza essere costretto a rientrare da un debito che, così, si trasformerebbe in una sorta di ricapitalizzazione ma avente come partner il Governo Italiano e non i capitali privati. B) Permettere al governo di poter avere voce in capitolo relativamente alle strategie di una banca importantissima in un momento in cui il volano del credito alle imprese e ai cittadini è decisivo per chiunque voglia rispondere alla crisi non solo attraverso tagli insostenibili, ma soprattutto grazie al rilancio di una politica industriale.

Stefano Cristiano
Segretario Regionale PRC-FdS Toscana

lunedì 8 ottobre 2012

20 ottobre a Roma per il lavoro

                                    di Loris Campetti, dal Manifesto.
 
Hanno svalorizzato il lavoro, grazie all'impegno sistematico di più governi che si sono passati il testimone. Hanno svalutato i salari e le pensioni, mentre era in atto una riduzione drastica del welfare. Il futuro di ormai ben più di una generazione di giovani è stato sequestrato.
Così la crisi e chi la pilota, oggi, «ha la meglio» persino sui bisogni primari delle persone. Automaticamente le conseguenze del disastro vengono scaricate sui poveracci che non hanno né stock option né suv pagati dalla collettività per sopportare le valanghe di neve della Città Eterna.
E sembra a troppi persino normale che in queste condizioni si pretenda da chi ancora un lavoro ce l'ha, magari cassintegrato o precario, di rinunciare ai suoi diritti perché oggi come oggi non ce li possiamo permettere.

Il risultato è davanti agli occhi di tutti, persino di De Benedetti che scopre che le promesse di Marchionne erano favole.
Anzi, lui l'ha sempre saputo, ci ha fatto sapere quando l'amministratore delegato Fiat ha tolto la maschera che aveva solo per chi non voleva guardarlo in faccia: peccato che il suo impero editoriale non abbia brillato nello smascheramento della favole e nel sostegno degli operai di Pomigliano e Mirafiori.
 
Senza investimenti, senza un progetto di politica economica e sociale all'altezza della crisi, il lavoro scompare e l'incertezza domina la vita di decine di milioni di persone. Fiat, Alcoa, Ilva sono solo i titoli del disastro sociale, ambientale e democratico. Dall'isola dei cassintegrati al campanile di San Marco c'è chi tenta di resistere pretendendo un cambiamento delle politiche del governo, non possiamo lasciare soli questi lavoratori.
 
La manifestazione indetta dalla Cgil e dalla Fiom per il 20 ottobre a Roma dei dipendenti di tutte le aziende in crisi, con la partecipazione di chi non riesce più a vivere con una pensione sterilizzata, è un passo positivo e importante per non lasciare soli i target del montismo, che siano in tuta o in camice, e possiamo aggiungere per non lasciare sola la Fiom che troppo a lungo sola si è trovata, in una lotta durissima contro la filosofia di Marchionne e il marchionnismo dilagante persino tra i candidati alle primarie del Pd e tra troppi sindaci democratici. 
Piazza San Giovanni è una buona piazza, una piazza che può dare fiducia e rappresentare il primo di una serie di appuntamenti per restituire voce e protagonismo ai lavoratori, ai pensionati, ai precari, ai disoccupati.
 
L'appuntamento successivo dovrebbe essere lo sciopero generale nazionale, inopportunamente cancellato dall'agenda della Cgil: non si tratta di fare ginnastica, di autoconfermarsi, di agitare bandiere sbiadite ma di togliere il tappo a un paese tramortito e troppo a lungo zittito, ma non ancora piegato alle leggi del dio mercato. Una grande manifestazione in piazza San Giovanni e poi uno sciopero generale per dire che c'è un'altra Italia oltre a quella liberista che ci comanda per interposto governo e oltre a quella dei suv, delle vacanze ai Caraibi, insomma un'altra Italia da quella dei ladroni e dei padroni.
 
È importante che la Cgil, e non solo la Fiom, abbia deciso di dare un segnale nell'unico paese europeo in cui gli altri sindacati non aderiscono agli scioperi contro il modello economico che uccide lavoro, salari, pensioni e diritti. La Fiom, accerchiata dall'esterno e che qualcuno anche dall'interno vorrebbe far traballare, ha superato due prove importanti nell'arco di sole 48 ore: mercoledì ha eletto una nuova segreteria confermando la fiducia del gruppo dirigente nazionale a Maurizio Landini e alle scelte difficili e radicali di questa stagione e ieri ha raccolto l'ascolto e il consenso degli operai che più di tutti sono sotto l'occhio del ciclone: gli operai dell'Ilva di Taranto, dove pure la Fiom non aveva la maggioranza dei consensi, oggi ascoltano e applaudono Landini che ha «il coraggio» di non scioperare e manifestare insieme al padrone contro la magistratura e ricorda a tutti, in tuta o in veste ministeriale, che chi minaccia il lavoro e attacca la salute è il padrone. 

Bisogna sapere chi è l'avversario principale e dove si annida. E bisogna riconoscere anche gli altri avversari: il governo Monti e la sua politica economica classista, lo stesso governo assente e ostile chiamato in causa dai lavoratori dell'Alcoa, della Fiat, della Vinyls e di tutte le aziende in crisi. In crisi di lavoro, ma anche di democrazia.
San Giovanni è una prima risposta importante. Aspettando la prossima.

martedì 2 ottobre 2012

Ora di religione: l'insostenibile leggerezza di Profumo

di Vito Meloni

Ora che il fuoco delle polemiche sembra essersi spento, c'è modo di provare a ragionare sulle dichiarazioni di Profumo sull'insegnamento della religione cattolica nelle scuole italiane.
Comincio con una citazione: “In Italia tira più un pelo di vescovo che milioni di studenti...”. Questa frase, postata da un anonimo su un blog, mi sembra che commenti efficacemente le reazioni a quelle dichiarazioni di una parte del mondo cattolico, corroborate da quelle dei tanti politici sempre pronti a genuflettersi davanti agli interessi delle gerarchie ecclesiastiche.
C'è da dire che Profumo non smette di stupirci per l'approssimazione, spesso condita con una buona dose di demagogia, con cui affronta i complessi problemi in carico al dicastero a lui inopinatamente affidato.

Basti ricordare, solo per citare alcune delle sue perle, dichiarazioni come “36 alunni in una classe possono essere pochi se si usano le nuove tecnologie” (a proposito delle classi pollaio), oppure “il concorso è una opportunità per i giovani laureati” e “i posti del concorso saranno in numero maggiore al sud”  (sul concorso-truffa, affermazioni clamorosamente smentite dal bando che egli stesso ha firmato!).
 
In questa occasione, tuttavia, si deve riconoscere che l'ineffabile ministro è partito da un dato di realtà: la presenza nelle nostre classi di una moltitudine di ragazze e ragazzi appartenenti a culture e fedi diverse da quella cattolica (e già, perché non va dimenticato che l'insegnamento di cui si parla non è di religione tout court, ma di religione cattolica). Da qui l'idea di trasformarlo in insegnamento di Storia delle religioni o di Etica.
 
Tutto bene? Solo se ci si ferma alla superficie del problema; se si va più a fondo si può vedere, invece, quanto la proposta di Profumo sia inadeguata. Il primo dato di fatto con cui fare i conti è che, in virtù del Concordato e delle Intese che ne sono seguite, i programmi di religione sono stabiliti dalla Conferenza Episcopale Italiana. In teoria di concerto con il ministero della pubblica istruzione, di fatto unilateralmente. Ad esempio, quando la Gelmini nel 2010 ha adottato i programmi attualmente in vigore, si è limitata a trasmetterli alle scuole così come le erano pervenuti dalla CEI. Sicuramente sarà stata ben felice di farlo, ma se per caso avesse voluto dire la sua si sarebbe scontrata con la competenza esclusiva della CEI, stabilita da una legge dello stato, a “definirne la conformità alla dottrina della Chiesa”! Come se non bastasse, i docenti cui è affidato l'insegnamento della religione cattolica sono sì pagati dallo stato, ma scelti ad insindacabile giudizio dell'Ordinario diocesano competente per territorio. Per inciso, sono circa trentamila, la gran parte a tempo indeterminato, assunti senza alcuna selezione e con la garanzia che, dopo alcuni anni di servizio, saranno immessi in ruolo automaticamente (per loro le chiacchiere sulla asserita selezione per merito attraverso il concorso evidentemente non valgono!).
 
A meno di non pensare che Profumo avesse in mente la revisione del Concordato, ipotesi da egli stesso smentita dalle colonne del Corriere della sera, ne consegue che il nuovo insegnamento sarebbe affidato agli stessi docenti di religione e che i relativi programmi sarebbero sempre definiti dalla CEI in “conformità alla dottrina della chiesa”. Lascio a voi immaginare con quale obiettività e con quanto rigore scientifico.
 
Peggio ancora nel caso l'insegnamento diventasse di Etica! Ci sarebbe già da preoccuparsi per l'introduzione di un'etica di Stato, figuriamoci poi se lo Stato è quello Vaticano!
Ecco dunque il punto: può un Ministro della Repubblica affrontare un tema così delicato con tanta leggerezza? Piuttosto che aprir bocca e dargli fiato su argomenti che evidentemente conosce poco, Profumo farebbe meglio ad occuparsi di quello che il suo ministero può concretamente fare. Perché, malgrado l'insegnamento della religione cattolica sia facoltativo, come autorevolmente ribadito dalla Corte Costituzionale, la strada di chi non intende avvalersene è irta di ostacoli tali da rendere quanto meno problematico l'effettivo il diritto di scelta da parte degli studenti. 

Chi conosce la realtà delle nostre scuole sa che in troppi casi, nell'indifferenza degli organi di controllo, a partire dal Ministero e dai suoi uffici periferici, le opzioni previste dalla legge non sono rese praticabili. In particolare, non vengono tempestivamente programmati e a volte nemmeno attivati gli insegnamenti alternativi. Nella maggior parte dei casi l'unica alternativa possibile è quella dello “studio individuale”, che nella pratica si traduce nel mettere insieme in una classe gli studenti che non si avvalgono, a volte senza nemmeno la vigilanza di un insegnante, che pure sarebbe dovuta.
 
Lo stesso non accade per chi si avvale dell'IRC. Se, per esempio, in una classe un solo studente la scegliesse, a lui sarebbe garantito l'insegnante di religione. Un insegnante per un solo studente, in questo caso non c'è spending review che tenga. Lo sanno bene quei presidi che hanno tentato di gestire queste situazioni accorpando gli studenti di classi diverse e che per questo hanno dovuto affrontare le ire delle gerarchie ecclesiastiche spalleggiate, neanche a dirlo, dai provveditorati scolastici. Su di loro l'ira di Dio, come titolava con la solita efficacia il manifesto qualche giorno fa.
Certo, affrontare queste piccole questioni non sarebbe risolutivo del problema della laicità dello Stato e delle sue istituzioni, la strada maestra resta quella dell'abrogazione delle norme concordatarie.
Ad ordinamento vigente sarebbe tuttavia un piccolo passo avanti.
Si impegni in questa direzione signor Ministro. Per poco che valga avrebbe il mio plauso.