Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia

Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia

martedì 8 novembre 2016

4 Dicembre, la democrazia ostacolo alla finanza

di Marco Bersani.

Affrontare il tema del referendum costituzionale dal punto di vista tecnico-giuridico o dal punto di vista politicista delle alleanze trasversali che si prefigurano, rischia di non far cogliere la portata reale di una scadenza che è un punto di svolta nella società italiana. Siamo in un periodo - ormai lungo - di profonda trasformazione del modello capitalistico, che, nella sua fase della finanziarizzazione spinta, ha la necessità di rompere il “compromesso sociale” su cui è nata l'Europa, per mettere in campo una strategia di mercificazione dell'intera società, della vita delle persone e della natura.
Il compromesso sociale è quello fra capitale e lavoro, che ha segnato tutto il dopoguerra del continente europeo: per motivi geopolitici (Europa al confine della guerra fredda e dello scontro tra capitalismo statunitense e socialismo reale) e per motivi socio-politici (le lotte dei movimenti operai studenteschi e sociali), l'incedere del capitalismo in Europa ha seguito una strada differente dalle esperienze di altri continenti. Nasce da questi processi l'insieme di diritti riconosciuti che per decenni ha caratterizzato lo stato sociale di tutti i paesi europei.
Oggi, l'enorme massa di capitali accumulata sui mercati finanziari ha la stringente necessità di nuovi mercati sui quali riversarsi per garantire una nuova fase di accumulazione e il proseguimento del modello neoliberista dentro la più grande - per intensità e durata - crisi economica sinora accaduta. Ma quali possono essere questi nuovi terreni di espansione se non esattamente quelli sinora fuori mercato, o comunque rigidamente regolati secondo l'interesse generale? 
E' questo il motivo per cui oggi sono sotto attacco i diritti del lavoro, i beni comuni, il territorio e i servizi pubblici: tutto deve essere infatti sottoposto alla valorizzazione finanziaria e alla profittabilità per pochi, mentre l'orizzonte esistenziale collettivo viene determinato dal concetto di “uno su mille ce la fa” e quello individuale dal concetto di “io speriamo che me la cavo”.
Se questo scenario è vero, e basterebbero i nuovi trattati internazionali di libero scambio in corso di negoziazione - dal TTIP, al CETA, al TISA - a dimostrarlo, dentro questi processi non può che essere rimesso in gioco anche il significato profondo della democrazia.
Un brevissimo excursus storico ci può aiutare a definire il problema: il modello liberista, poi affermatosi in Gran Bretagna con il governo Thatcher e negli Usa con il governo Regan, ha avuto in verità un antecedente poco studiato: il Cile di Pinochet, il cui sanguinoso colpo di Stato è stato salutato da Milton Friedman e dagli economisti della scuola di Chicago come “lo shock che rende politicamente inevitabile ciò che è socialmente inaccettabile”, dando vita al più completo piano di privatizzazioni della storia recente. Se dunque l'atto di nascita del modello neoliberale avviene non attraverso la democrazia, bensì attraverso la feroce distruzione della stessa, questo significa che capitalismo e democrazia (per quanto formale), lungi dall'avere un rapporto di consustanzialità, hanno piuttosto avuto una relazione di contingenza.
In altre parole, se la democrazia è funzionale il modello la assume; pronto tuttavia a farne a meno laddove divenisse un ostacolo.
C'è un significato importante dentro queste riflessioni: se oggi ciò che interessa ai grandi capitali finanziari è l'espansione su tutti i settori sinora preservati alla mercificazione, può tutto questo essere realizzato mantenendo le attuali forme di democrazia? E per stare alla nostra più stretta attualità: può il governo Renzi, dopo aver approvato in sequenza lo Sblocca Italia, il Jobs Act, la Buona Scuola e il decreto Madia, mantenere le garanzie - per quanto imperfette - dell'attuale Costituzione o ha la stretta necessità di imprimere una svolta autoritaria anche su quel terreno? Più che da un'articolata riflessione, la risposta viene resa evidente dalla pluralità dei poteri forti scesi in campo a sostegno del “sì” alla riforma costituzionale: da JP Morgan a Confindustrria, da Marchionne fino al recentissimo pronunciamento del presidente uscente Usa, Barack Obama.
Ecco perché collocare il sacrosanto NO al referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre dentro i parziali alvei della disputa strettamente giuridica o, peggio ancora, della politica di alleanze partitiche, rischia di limitare la necessità di una forte mobilitazione sociale che fermi i disegni autoritari dei poteri forti, di cui il governo Renzi è lampante espressione.
E non solo. Bisogna votare NO e mobilitarsi per la vittoria referendaria anche per poter domani aprire la strada ad un nuovo processo costituente dal basso che, attraverso la partecipazione popolare, metta al primo posto la realizzazione di quanto previsto, e sinora mai attuato, dalla Costituzione, prevedendone anche dei cambiamenti sostanziali in direzione di una democrazia compiuta e partecipativa, oggi più che mai necessaria.
Altroché conservazione: vota NO chi vuole davvero cambiare la società.

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 26 di dicembre 2016.

lunedì 12 settembre 2016

Jobs Act, riforma a licenziamenti crescenti

di Roberto Ciccarelli.

Renzismi. La riforma del mercato del lavoro è uno zombie utile da presentare solo ai vertici europei, per ottenere le lodi della Merkel in cambio di qualche briciolo di «flessibilità» in più per i bonus elettorali di Renzi. La verità è un’altra.
Secondo ai dati del ministero del lavoro, eliminato l’articolo 18 le aziende licenziano (+7,4%); tagliati gli sgravi contributivi, i contratti a tempo indeterminati continuano a calare (-29%).
Tutto secondo la norma. Peccato che il governo abbia raccontato altro negli ultimi due anni Crollano i contratti a tempo indeterminato e aumentano i licenziamenti. La logica del Jobs Act è stata, infine, registrata anche dal sistema delle comunicazione obbligatorie del ministero del lavoro che ieri ha pubblicato l’aggiornamento dei dati sulla riforma renziana per eccellenza, quella lodata da Angela Merkel come «impressionante». Impressionante lo è, in effetti, questa riforma, ma non nel senso del successo celebrato, con poca convinzione e come un disco rotto, a bordo della portaelicotteri Garibaldi e a largo di Ventotene nel dimenticato vertice Italo-Franco-Tedesco di fine agosto.
In primo luogo l’occupazione «stabile» diminuisce, perché sta calando la droga degli incentivi finanziati dal governo per sgravi contributivi dei neo-assunti. Aumentano invece i licenziamenti – sia per la crisi, ma soprattutto perché il Jobs Act li ha liberalizzati. In un tempo relativamente recente questo stupido e insapore inglesismo è stato usato per celebrare la nascita del 47esimo contratto precario: quello a «tutele crescenti».
I primi dati sui licenziamenti dimostrano che l’unica cosa che cresce nel mercato del lavoro italiano è la libertà di licenziare senza l’articolo 18. Ecco i numeri: +7,4% licenziamenti sul secondo trimestre 2016, +17,4% sul primo trimestre 2016. Tra le altre cessazioni sono aumentate quelle promosse dal datore di lavoro (+8,1%) mentre si sono ridotte quelle chieste dal lavoratore (-24,9%).
Nel secondo trimestre del 2016 sono state registrate 2,45 milioni di attivazioni di contratti nel complesso a fronte di 2,19 milioni di cessazioni.
Interessante il dato sull’aumento delle cessazioni richieste dal datore di lavoro rispetto a quelle richieste dal lavoratore: la differenza attesta che si è tornati a licenziare, con le nuove regole, nel 2016.
A riprova che qualcosa nel Jobs Act si è inceppato c’è il dato sulle attivazioni: rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, nel secondo trimestre dell’anno in corso sono diminuite del 29,4%, cioè 163.099 posizioni.
Dato già conosciuto da numerose rilevazioni dell’Inps che trova oggi conferma in quello elaborato dal ministero del lavoro.
Considerata la dispersione della raccolta dei dati sull’occupazione, divisa tra Istat Inps e Ministero, si assiste a una convergenza già in atto da mesi e ieri nemmeno manipolata come di consueto dal governo.
Va ricordato che la differenza tra questi dati e quelli dell’Inps sta nel considerare tutto il lavoro dipendente, compreso quello domestico, agricolo e nella pubblica amministrazione, oltre che dei contratti di collaborazione. Altro dato interessante sull’occupazione esistente: la maggior parte è a termine.
Bisogna inoltre considerare che un’altra parte è il risultato di una stabilizzazione dei contratti in corso: 84.334 sono contratti «trasformati»: 62.705 da tempo determinato e 21.629 da apprendistato a tempo indeterminato.
Dunque chi già lavorava continua a farlo, per fortuna.
Chi non aveva un posto, continua ad essere disoccupato, o a lavorare con i voucher, ad esempio. L’occupazione aumenta tra gli over 50 e non tra gli under 49. Questi numeri risentono della riduzione dell’incentivo all’assunzione a tempo indeterminato nel 2016. E rende comprensibile il motivo per cui i tecnici di Palazzo Chigi in queste settimane si stanno spaccando la testa per reperire le risorse nella prossima legge di bilancio e allungare di un biennio questi incentivi.
Senza questi fondi pubblici elargiti a pioggia alle imprese il bilancio del Jobs Act sarà peggiore.
Com’è evidente sin dall’inizio, infatti, una volta terminati gli incentivi, l’occupazione tornerà a livelli confacenti a un periodo di crescita senza occupazione fissa, deflazione e stagnazione.
Ovvero, alla situazione che Renzi, Padoan e il governo tutto hanno cercato di nascondere mettendo in circolo poco più, poco meno, di 10 miliardi di euro per un triennio di risorse pubbliche ad uso di privati. «Il tonfo del Jobs Act è ormai certificato» sostiene Arturo Scotto, capogruppo alla Camera di Sinistra Italiana». «Ministero reo confesso, il Jobs Act è un fallimento» concludono i parlamentari Cinque Stelle.
Cesare Damiano (Pd) ritiene che sia venuto «il momento di porsi seriamente il problema della manutenzione del Jobs Act. è prematuro decretare la morte». Probabilmente è vero: la renzianissima riforma è uno zombie agitato nei vertici europei per chiedere la grazia della «flessibilità».
Ai danni dei precari e disoccupati. I sindacati sono preoccupati. Per il segretario confederale Giuglielmo Loy «occorre ancora dare ossigeno all’unico strumento di tutela per imprese e lavoratori, la cassa integrazione, rendendola più flessibile nella durata».
Per tutti gli altri non coperti da questa misura occorrerebbe un reddito di base. Ma nel paese delle riforme del lavoro «non-ancora-morte» e della crescita-raso-zero nessuno si pone il problema delle tutele universali.

giovedì 26 marzo 2015

Lettera di Maurizio Landini alle lavoratrici e ai lavoratori metalmeccanici

Care lavoratrici e cari lavoratori metalmeccanici, sabato 28 marzo ci ritroveremo a Roma per la dignità e la libertà del lavoro.
Nei mesi scorsi, insieme, ci siamo battuti contro il Jobs Act del governo che non crea nuovo lavoro né affronta il dramma della precarietà e della disoccupazione giovanile.
Insieme abbiamo proposto delle alternative e presentato le nostre idee frutto di tante assemblee e discussioni con voi. Ma il governo non ha voluto ascoltarci, ha messo in pratica le indicazioni di Confindustria, imboccato la strada della riduzione dei diritti, sposato le ricette di chi pensa che licenziando si crei nuova occupazione. Abusando della democrazia, il governo, a colpi di fiducia, ha ridotto il Parlamento a mero esecutore della sua volontà.
La nostra lotta però non è finita con il varo del Jobs Act. Come promesso durante lo sciopero generale del 12 dicembre di Cgil e Uil, continueremo a spendere le nostre idee e le nostre energie per difendere il lavoro e i suoi diritti, cambiare il paese e renderlo più giusto.
Questo è un momento importante per il futuro di tutti noi, delle lavoratrici e dei lavoratori, del nostro sindacato che esiste e ha un senso solo se riesce a rappresentare democraticamente i vostri interessi e da voi riceve il sostegno, le idee e le energie necessarie. Per migliorare le condizioni del lavoro dipendente. Per rivendicare un sistema pensionistico più giusto con la riduzione dell’età pensionabile. Per dare un’occupazione a chi non ce l’ha con nuovi investimenti e con la riduzione dell’orario di lavoro. Per cancellare il precariato. Per combattere l’evasione fiscale e la corruzione. Per garantire il diritto alla salute e allo studio. Per istituire forme di reddito minimo. Per riconquistare veri contratti nazionali che tutelino il salario e diano uguali diritti a tutte le forme di lavoro.
Per questo, nel ringraziarvi per quanto abbiamo fatto finora, vi invito a partecipare in massa alla manifestazione del 28 marzo.
L’abbiamo chiamata “Unions!”, usando una lingua che non è la nostra ma utilizzando una parola che richiama le origini del movimento operaio e sindacale. Quando, tanti anni fa, lavoratrici e lavoratori senza diritti scoprirono insieme che per migliorare la propria condizione era necessario coalizzarsi e battersi per conquistare libertà e diritti comuni.
Oggi milioni di lavoratrici e lavoratori hanno visto cancellati i diritti frutto di lunghe battaglie; altri milioni di lavoratrici e lavoratori quei diritti non li hanno neppure mai avuti, dispersi nelle tante forme di lavoro saltuario e sottopagato. Per tutte e tutti il lavoro sta diventando più povero e precario.
Oggi abbiamo bisogno di riprendere il filo dell’impegno comune, delle lotte contro le politiche dei governi che in Italia e in Europa hanno voluto far pagare al lavoro il costo di una crisi prodotta dalla finanza e dalle speculazioni. Per dare rappresentanza al lavoro. Per confrontarci con tutte quelle realtà, associazioni, gruppi e movimenti che nella società affrontano e contrastano il degrado civile prodotto dalla crisi economica e dalla sua gestione politica. Per affermare i principi della nostra Costituzione.
Oggi abbiamo bisogno di un’alleanza, di costruire una coalizione sociale che unisca ciò che il governo e Confindustria vogliono separare, aggregando tutte le persone che per vivere hanno bisogno di lavorare con le metalmeccaniche e i metalmeccanici, con le delegate e i delegati, con le iscritte e gli iscritti alla Fiom. Per crescere e cambiare abbiamo bisogno di voi, perché la vostra partecipazione e la vostra intelligenza saranno la nostra comune forza.
Vi aspettiamo a Roma il 28 marzo. E da lì continueremo insieme.
Maurizio Landini

giovedì 2 ottobre 2014

Lavoro, Dignita',Uguaglianza!!

Manifesto CGIL per Roma.

Lasciano senza parole le dichiarazioni del Presidente del Consiglio -Renzi- in merito alla querelle nata con la CGIL sull'abolizione dell'art 18 dello statuto dei Lavoratori:  "

....gli imprenditori devono poter licenziare, poi sarà lo Stato a prendersi in carico il lavoratore licenziato" 

Qualcuno faccia sapere al Sindaco d'Italia  che ogni giorno in questo disastrato Paese si perdono circa1.000  posti di lavoro.  
Quali sarebbero gli impedimenti che incontrano oggi le aziende nel licenziare??
E dove è quello Stato che poi dovrebbe farsi carico di questi lavoratori?? 
Siamo davanti all'attacco più feroce e insensato che negli ultimi anni è stato promosso contro il mondo del lavoro, propugnando vergognosamente un'assioma privo di qualsiasi fondamento:  togliendo tutele ai pochi lavoratori rimasti con contratto a tempo indeterminato è poi possibile ampliare le tutele anche ai lavoratori con contratto precario.

Una colossale contraddizione in termini. Semplicemente tutti sarebbero costantemente in balia degli umori quotidiani del datore di lavoro...
un sistema all'americana, dove senza troppi discorsi uno si ritroverebbe con lo scatolone dei propri effetti in braccio e... fuori dalla porta!! 

Ancora Renzi:  " ...lasceremo le tutele e il reintegro in azienda in caso di licenziamenti discriminatori" 

Perché, oggi giorno si pensa ancora che qualche imprenditore sprovveduto scriva nella lettera di licenziamento che il motivo della risoluzione del contratto è dovuto al fatto che il pensiero politico del dipendente non è di proprio gradimento? o che è di una fede religiosa che a lui non piace? oppure perché è donna o ha preferenze sessuali che all'imprenditore non vanno a genio?

Assurdo, se l'azienda ti vuole far fuori la motivazione se la inventa di sana pianta o la costruisce passo passo.
Oggi, nonostante la riforma Fornero, il giudice che verifichi la non sussistenza di una giusta causa dispone il reintegro; domani, secondo il renzisacconi pensiero, poche  (ma poche davvero) mensilità di risarcimento e ognuno per la propria strada. 
Anche la recente storia lo dimostra: non esiste nessun nesso logico tra la tutela contro i licenziamenti ingiustificati e la creazione di nuovi posti di lavoro. 

domenica 28 settembre 2014

La CGIL decide la mobilitazione

autore Fabio Sebastiani.

Il 25 ottobre a Roma "una grande manifestazione della Cgil, all'insegna del cambiamento del nostro Paese, a partire dalla liberta' e dalla uguaglianza nel lavoro. Una manifestazione che inizia in una stagione per noi di conquista di un cambiamento della politica economica".
La Cgil di Susanna Camusso prova ad incazzarsi un po'. Solo un po'. Per adesso c'è una gerande passeggiata a Roma, senza Cisl e Uil. Ma lo sciopero, chec invece farà la Fiom, non è all'orizzonte.
Insomma, sul Jobsact, decreto Poletti, e Art. 18 il più grande sindacato d'Italia cerca ancora la mediazione della mediazione. La scelta di scendere in piazza il 25 ottobre, "lo diciamo con grande intensita', non e' una scelta di rottura rispetto alle altre organizzazoni sindacali", dice Camusso, incontrando i giornalisti dopo la riunione del direttivo a Bologna. "Siamo rispettosi del processo in corso nelle altre organizzazioni", aggiunge Camusso, confermando che la Cgil manterra' il "massimo impegno" sulle piattaforme comuni avviate su fisco, previdenza e pubblico impiego. Inoltre, "siamo convinti che su un'idea di cambiamento della politica economica e di allargamento della qualita' del lavoro- continua Camusso - reincontreremo rapidamente Cisl e Uil in un percorso unitario, almeno questo e' l'augurio". "Dev'essere chiaro a tutti che non sara' una manifestazione che conclude una fase, ma una manifestazione che inizia una fase di mobilitazione. Nella Cgil c'e' sempre stata una discussione delle posizioni, questa e' la forza della Cgil", fa eco Maurizio Landini, segretario della Fiom-Cgil, che invece ha ricevuto il mandato per uno sciopero generale. "Non abbiamo intenzione di accettare peggioramenti e stravolgimenti dei diritti dei lavoratori", dichiara Landini, arrivando a Bologna per la riunione del direttivo nazionale della Cgil. "La Fiom partecipera' attivamente alla realizzazione della manifestazione.
Avevamo gia' proclamato delle ore di sciopero che si faranno nei territori, necessarie anche per proclamare lo sciopero generale della categoria". La Cgil "non e' mai stata divisa", conclude Landini.

mercoledì 30 aprile 2014

Andrea Manganelli è il candidato a sindaco di Monteriggioni di Rifondazione Comunista


"Il circolo di Rifondazione Comunista di Monteriggioni ha sciolto le riserve per l’elezioni di maggio scegliendo come candidato Sindaco, Andrea Manganelli.
Residente a Castellina Scalo, una vita spesa tra associazionismo e impegno politico, una persona che conosce bene le dinamiche dell’amministrazione comunale, dove ha lavorato per anni, fino al raggiungimento della pensione.
Conoscitore delle peculiarità e delle problematiche legate al territorio. 
Una persona tra le persone, capace di parlare a tutti, con idee chiare e un programma di pochi punti che racchiude nella frase “il comune che vorrei” la voglia di cambiamento". Così una nota del Circolo Rifondazione di Monteriggioni.

"La crisi economica è sempre più pesante - prosegue RC - e il Comune può esonerare parte degli oneri (mensa, trasporto, e tributi che gravano sui servizi di competenza comunale, IRPEF) a chi perde il lavoro, anche se precario, ad anziani in difficoltà, contribuendo al sostegno del reddito.

L’Associazionismo è il motore positivo del Comune, va valorizzato al massimo sostenendolo con progetti, strutture dove mancano, e una forte cooperazione tra le varie realtà locali per ottimizzarne l’efficienza e permettere a tutti i cittadini la fruizione di spazi e/o servizi che altrimenti il Comune non potrebbe gestire in proprio.  

Turismo, non è solo Francigena, diversificare l’offerta culturale con una più ampia integrazione tra le realtà imprenditoriali esistenti, che vanno valorizzate, contro le multinazionali del turismo mordi e fuggi, come ci ricorda il mostro di cemento abbandonato nel pian del casone.

Lavori pubblici in grado di incontrare la domanda delle persone, senza opere faraoniche a discapito del territorio.

Stop al consumo del suolo, recupero dei volumi esistenti, riqualificazione urbana partendo dai giardini, raddoppio delle ore di apertura al pubblico dell’ufficio urbanistica per recuperare il rapporto con i tecnici e cittadini per maggiore efficienza e trasparenza.

Servizi per l’infanzia modulati per fasce di reddito per garantire a chi lavora un supporto fondamentale senza pesare sul bilancio familiare.

Politiche giovanili che promuovano l’aggregazione tramite spazi autogestiti, dove i giovani possono dare sfogo alla libera creazione e possano portare proposte concrete al miglioramento degli ambienti urbani dove vivono.

Acqua, un bene collettivo e non privatizzabile, chiediamo quindi un rinnovamento delle infrastrutture e una lotta agli sprechi.

Politiche vere per gli anziani, che sono in numero sempre maggiore, con potenziamento di centri di aggregazione diurni e per chi è in difficoltà, potenziamento dei servizi domiciliari con il coinvolgimento e la valorizzazione del volontariato-.

No ad un progetto che veda la perdita di sovranità del Comune nei confronti di Siena, come il progetto SMAS (Schema Metropolitano Area Senese), sì ai servizi associati tra Comuni per un risparmio delle risorse e una ottimizzazione del personale".

sabato 1 marzo 2014

Landini: “La Cgil imbroglia i lavoratori”

Fonte: il manifesto | Autore: Antonio Sciotto

Intervista a Maurizio Landini . Parla il segretario Fiom: modalità antidemocratiche di voto, la segreteria così nega il dissenso. I metalmeccanici potrebbero non partecipare alla consultazione.

«I lavo­ra­tori non vanno imbro­gliati ma vanno rispet­tati». Mau­ri­zio Lan­dini è netto nel riba­dire che le moda­lità di voto appro­vate dal Diret­tivo Cgil mer­co­ledì sera sono «anti­de­mo­cra­ti­che» e «inac­cet­ta­bili». «Viene impe­dito di avere i due punti di vista: qua­lun­que cit­ta­dino nor­male, quando va a un refe­ren­dum, ha la pos­si­bi­lità di infor­marsi sul sì e sul no. In tutte le demo­cra­zie avviene così. Men­tre in Cgil, dopo la firma del Testo unico, adesso siamo al Pen­siero unico». Il segre­ta­rio Fiom non vuole anti­ci­pare quanto verrà deciso al Comi­tato cen­trale con­vo­cato per lunedì mat­tina, ma dalle sue dichia­ra­zioni si capi­sce che i metal­mec­ca­nici non sono inten­zio­nati a par­te­ci­pare a una con­sul­ta­zione che riten­gono non demo­cra­tica, e quindi non vincolante.

Eppure accet­tando di indire una con­sul­ta­zione, Susanna Camusso vi è venuta incontro. 
Più che una solu­zione poli­tica a me pare un imbro­glio poli­tico: non si chiede di dire sì o no al Testo unico, ma a un giu­di­zio espresso dal Diret­tivo. Ma qui nes­suno ha mai chie­sto un voto sul gruppo diri­gente della Cgil, o di met­tere a veri­fica il segre­ta­rio: noi ave­vamo chie­sto un con­fronto sui con­te­nuti dell’accordo. Invece ora siamo messi davanti a un ple­bi­scito sul gruppo diri­gente della Cgil: e tra l’altro, parec­chio ano­malo. Mi chiedo io: ma se mai vin­cesse il no, visto che siamo sotto con­gresso, deca­drebbe tutto il gruppo diri­gente della Cgil?

Camusso spiega che solo ai Con­gressi si por­tano due tesi con­trap­po­ste, men­tre sugli accordi, per tute­lare l’unità dell’organizzazione di fronte alle con­tro­parti, è giu­sto venga por­tata solo una posi­zione: quella del Direttivo. 
Vor­rei ricor­dare innan­zi­tutto che que­sto accordo, prima di essere fir­mato, non è mai stato discusso con nes­suno den­tro la Cgil: per come sono abi­tuato io, in genere si chiede un man­dato. Poi si sigla un’intesa, si porta come ipo­tesi al voto dei lavo­ra­tori, e infine si firma. Io mi vanto di non aver mai fir­mato nulla senza prima averlo sot­to­po­sto al voto degli inte­res­sati: e se mi scon­fes­sa­vano, tor­navo al tavolo per miglio­rarlo. Quanto alle regole della con­sul­ta­zione, la replica non mi pare fon­data: il Diret­tivo, in piena auto­no­mia, poteva deci­dere benis­simo di indire assem­blee con l’illustrazione pari­ta­ria di due tesi, pre­sen­tan­dole se voleva come una di mag­gio­ranza e una di mino­ranza; impo­nendo un voto uguale nei tempi e nei modi in tutte le sedi.

Però ver­ranno fatte delle assem­blee infor­ma­tive, unitarie. 
Que­sto è ancora più para­dos­sale: a pre­sen­tare l’accordo ci sarà magari un rap­pre­sen­tante di Cisl o Uil, ma poi potranno votare solo gli iscritti Cgil. E per giunta non sull’intesa, ma sul parere del Diret­tivo. Ma è una presa in giro.

Camusso ha comun­que chia­rito che se vince il no riti­rerà la firma. 
Ma se il refe­ren­dum è già fal­sato, se non c’è pari dignità e spa­zio per il sì e il no, che legit­ti­mità ha quel voto? Ai lavo­ra­tori devi sem­pre dire la verità, bella o brutta che sia, por­tar loro rispetto.

Cosa farete a que­sto punto? È natu­rale pen­sare che non par­te­ci­pe­rete alla con­sul­ta­zione, e che anzi la Fiom ne indirà una propria. 
Non posso anti­ci­pare nulla, discu­te­remo tutto al comi­tato cen­trale. Riba­di­sco che non c’è una dua­lità Fiom-Cgil, non c’è uno scon­tro per­so­nale tra i segre­tari, e che anzi per­so­na­liz­zare ci dan­neg­gia. Per­ché invece noi chie­de­vamo di votare su con­te­nuti pre­cisi che non con­di­vi­diamo: 1) l’accordo intro­duce san­zioni alle orga­niz­za­zioni e ai dele­gati; 2) intro­duce l’arbitrato inter­con­fe­de­rale; 3) non pre­vede il voto dei lavo­ra­tori sugli accordi azien­dali; 4) riduce l’autonomia delle cate­go­rie, per­ché le Rsu pos­sono fare accordi da sole, dero­gando ai con­tratti; 5) non c’è pieno rispetto della sen­tenza della Con­sulta sul caso Fiat; 6) si can­cella il plu­ra­li­smo sin­da­cale, con il prin­ci­pio che la firma del 50%+1 dei sin­da­cati vin­cola anche il 49,9% in dis­senso, pre­ve­dendo per giunta delle sanzioni.

Su que­sti temi, affer­mate, non c’è mai stato confronto. 
Ricordo solo che nel 2009 la Cgil non firmò l’accordo sul modello con­trat­tuale per 5 ragioni: intro­du­ceva arbi­trato, san­zioni, dero­ghe sul con­tratto; per­ché i lavo­ra­tori non vota­vano, e per­ché con l’Ipca si abbas­sa­vano i salari. Tutti punti che mi ritrovo in que­sto accordo che adesso la Cgil ha fir­mato, ma senza che si sia mai discusso un qual­che cam­bio di strategia.

Quanto alle prime mosse del governo Renzi, che idea si è fatta la Fiom sul taglio del cuneo? 
Il tema di un alleg­ge­ri­mento fiscale delle buste paga dei lavo­ra­tori c’è tutto, e anzi io aggiungo che si dovrebbe finan­ziare la legge sui con­tratti di soli­da­rietà: si potrebbe arri­vare a decon­tri­buire le imprese del 30–40% per diversi anni, sal­vando i posti di lavoro gra­zie alla ridu­zione degli orari. Un punto però mi sta a cuore più di tutti: qual­siasi sgra­vio, Irap o altro, dai alle imprese, non si deve dare a piog­gia: ma si deve chie­dere quanti posti di lavoro salva e crea.

Avete avuto già qual­che con­tatto con la mini­stra Guidi? 
Ancora nes­suno, ma pre­sto chie­de­remo un incon­tro: faremo pre­senti le nostre pro­po­ste, tra le quali c’è anche quella di coor­di­nare da Palazzo Chigi le poli­ti­che dei mini­steri del Lavoro e dello Svi­luppo. Per Renzi la prio­rità è il lavoro? Bene, anche per noi marzo sarà il mese del lavoro: indi­remo una grande Assem­blea con tutti gli eletti nei diret­tivi Fiom, per fis­sare le pros­sime ini­zia­tive e mani­fe­sta­zioni, non esclu­dendo degli scioperi.