Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia

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domenica 3 febbraio 2013

C'è un'Europa che non vuole il fiscal compact. Sta a sinistra



«Rinegoziare il trattato». La proposta di Ingroia, Ferrero e Melenchon in visita a Roma

A crisi europea, risposta europea. E' Rifondazione comunista il passpartù di Rivoluzione civile per l'Europa e Ingroia sembra trovarsi a suo agio con la Sinistra europea: «Rc vuole essere la casa aperta alla sinistra europea, per intraprendere battaglie comuni da portare avanti insieme».
L'ex pm di Palermo torna nella stessa sala da cui comunicò la sua disponibilità a candidarsi e, un mese dopo, la ritrova piena un'altra volta. Quasi tutti sono attivisti ed elettori di Rifondazione comunista. Sul palco Paolo Ferrero, il segretario nazionale del Prc, e Jean Luc Melenchon, leader del Front de Gauche francese che, poco dopo la conferenza stampa corale, infiammerà il Capranica confessando di aver lasciato il Ps francese «per colpa vostra». Vostra degli italiani. «E' stato quando ho visto che nasceva il Pd. Mi sono chiesto: “diventerò come gli italiani"?». Così Melenchon ha virato a sinistra alla ricerca dell'originalità dell'esperienza dei socialiti francesi «quando eravamo alleati con i comunisti, con i verdi, per inseguire un riformismo radicale». Invece il Ps ha rinunciato a tutto questo fino a incastrarsi in ingranaggi che «impediscono ogni tipo di riformismo».
E' proprio per questo che Melenchon è venuto a Roma: per lavorare alla costruzione di un «fronte comune per rinegoziare il fiscal compact in Europa», è questo il nome dell'ingranaggio che stritola il riformismo, anche quello non radicale: 47 miliardi di tagli alla spesa pubblica ogni anno per vent'anni al netto del pareggio di bilancio. «Per farsi un'idea della cifra si pensi che l'intero servizio sanitario nazionale (mazzette comprese) costa 130 miliardi l'anno. Tagliare una cifra del genere significherà svendere il patrimonio, privatizzare i servizi, tagliare lo stato sociale e il lavoro», dirà il segretario di Rifondazione. Quello che, a pochi passi da lì, Mario Monti, ospite dell'Annunziata, chiamerà pochi minuti dopo «uno stato che pesi di meno sulle aziende».
Ingroia, Melenchon e Paolo Ferrero, introdotti da Fabio Amato, responsabile esteri Prc e del segretariato della Sinistra europea, quella roba la considerano un massacro sociale, un atto di guerra e lanciano l'idea in una conferenza stampa e poi nell'assemblea del Capranica: rinegoziaere il fiscal cmpact. «Non è un sogno, né un'utopia ma una strada percorribile per imporre all'Europa, politicamente, di abbandonare la strada del disastro imboccata e che finisce inevitabilmente per gravare sulle fasce sociali più deboli. La rivoluzione civile nasce dal basso ma ha bisogno di alleanze e solidarietà internazionali», assicura il capolista di Rc aprendo varchi per un'evoluzione delle relazioni dopo le scadenze elettorali.
«Berlusconi e Monti producono provvedimenti in un contesto di politiche europee che aggravano la crisi anziché risolverla - ricorda Ferrero - ecco perché serve una relazione politica con chi si batte contro l'austerità». «Il Partito della sinistra europea è uno degli strumenti di quella relazione - aggiunge Fabio Amato - quando lo fondammo, nel 2006, scommettemmo sulla rottura di un modello insostenibile».
Vista dalla Francia, la lista Ingroia, dunque, è tutt'altro che l'accozzaglia che vorrebbe far credere Vendola. A Melenchon non sfuggono le connessioni con la révolution citoyenne del Front de Gauche, con l'indignazione spagnola e Izquierda unida (che vola nei sondaggi al 15%) e con Syriza che pensa realisticamente a vincere le prossime elezioni in Grecia. Anche da «Monsier Ingroia», arriveranno «brutte sorprese per gli altri partiti», assicura Melenchon pensando ai 4 milioni di voti che il suo Fdg ha ottenuto alle scorse presidenziali. Quella che ritiene di avere incontrato è per lui una «nuova forza popolare», erede «dell'Italia della Repubblica, delle bandiere rosse, dell'uguaglianza». Ferrero si mostra consapevole delle possibilità: «Rivoluzione civile - spiega - non è un'operazione di tenuta ma lo spazio per la riapertura di una speranza, l'indignazione che si fa programma, la condizione perché si avverino il cambiamento e la rivolta». Uno spazio per la sinistra che, giusto poche ore prima ha visto l'ingresso di un settore di militanti, dirigenti e amministratori di Sel, «caso unico di una scissione che avviene dopo e non prima della formazione delle liste», dice Ingroia.
Immancabile la domanda a Melenchon se Hollande assomigli più a Monti (che il francese ricorda come pessimo commissario europeo) o più a Bersani. «C'è differenza adesso tra liberismo e socialdemocrazia?», si chiede anche il leader francese secondo il quale la socialdemocrazia non esiste più: «Sono social-liberali. Ogni giorno c'è qualcuno che lascia quei partiti come me, come Oskar Lafontaine in Germania. Tutta l'Internazionale socialista ha capitolato».
Quando parla del Ps francese sembra che parli dei suoi omologhi nostrani della loro «demagogia disonorevole» (parole di Ferrero), «prima votano tutto poi lanciano pietre in campagna elettorale» su quello che hanno fatto loro stessi magari stipulando accordi sottobanco. Anche Hollande ha preso voti promettendo di rinegoziare il fiscal compact poi non solo ha firmato il Trattato ma ora insiste per una diminuzione del costo del lavoro quando il problema è «il costo del Capitale». Insomma, per Melenchon, i social-liberali parlano come un disco rotto, incantato sulle teorie di Adam Smith mentre la finanza distrugge il lavoro e i diritti
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