Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia

Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia

lunedì 30 maggio 2011

Cambiare rotta si può

Evviva! Come non esultare per il vento che è cambiato? Ora soffia decisamente a sinistra con una forza tale da riaprire il cielo. Tale da travolgere anche il governo ed offrire importanti spazi alla domanda di un reale cambiamento.

Che questa sia la sua chiara direzione ce lo dimostrano in primis, come sgargianti “galletti segnavento” i nuovi sindaci di Milano, Napoli e Cagliari, il loro inequivocabile profilo, la riconoscibilità della proposta di governo ed il carattere delle campagne elettorali che li hanno portati alla vittoria.

Essi non nascono certo nei laboratori degli apprendisti stregoni del centro sinistra che da anni sfornano proposte indistinte e candidati sbiaditi, nell’inutile rincorsa di un presunto centro moderato. Democrazia, solidarietà, legalità, giustizia sociale, accoglienza, beni comuni, ecologia: sono queste le parole chiave, i contenuti riconoscibili, chiari, alla base del loro successo e del nostro successo. Potranno dire ciò che vogliono ma sono proprio questi i pezzi del nostro Dna, i contenuti del patrimonio genetico di una sinistra che si voleva “superata dalla storia” e quindi bistrattata, censurata ed esclusa dai luoghi della rappresentanza da un bipolarismo del “pensiero unico”.

Se la direzione di questo vento nuovo appare chiara a tutti, non si può ancora dire altrettanto del contesto politico e sociale e delle prospettive generali. Non è certo cambiata d’incanto questa Italia socialmente disgregata, culturalmente ed eticamente degradata da almeno due terribili decenni di liberismo incontrastato e di Berlusconismo. Così come è innegabile la varietà e la diversità dei molteplici fattori che hanno generato questa spinta. Hanno inciso certamente l’impresentabilità dei “mostri” oggi al comando, la loro disgregazione interna, la crisi dello stesso blocco sociale che li ha espressi.

Ma come non riconoscere che è fondamentale, dentro questo dato, il peso della collera della crescente povertà, di chi subisce l’ingiustizia dilagante, la privazione del lavoro e dei suoi diritti, la negazione di futuro e del presente stesso? C’è dentro l’indignazione per le discriminazioni ed i soprusi di ogni tipo, il saccheggio dei beni comuni, lo spreco e la distruzione delle risorse naturali e dell’ambiente. C’è la consapevolezza, anche di chi non è morso così forte dalla crisi, che questo modello di economia e di società debba necessariamente imboccare una vera alternativa.

E allora, se questo è il vento, non si tratta semplicemente di cambiare il timoniere, come già avvenuto infruttuosamente nel passato, ma di lavorare per invertire decisamente rotta! Altro che le ricette, riproposte proprio in questi giorni, da Emma Marcegaglia ad una platea plaudente, larga e trasversale! Proprio le medesime ricette velenose che ci hanno condotto in questa “macelleria sociale” e che sappiamo essere care da sempre a larga parte dello stesso fronte del centrosinistra che ha sostenuto in queste elezioni i nostri stessi candidati vittoriosi. Tagli alle tasse per le imprese ed alla spesa sociale, privatizzazioni e grandi infrastrutture.

No. Oggi è necessario più che mai il coraggio di un netto cambiamento, di dare avvio ad una vera “alternativa di società” che, in vista dell’imminente e inesorabile cacciata del sultano da palazzo Chigi, questi nuovi sindaci possono iniziare a far vivere nei loro rispettivi territori. Stoppando, per fare qualche esempio, grandi infrastrutture speculative, privatizzazioni, poli logistici, centri commerciali, inceneritori di rifiuti, inutili consumi di territorio. Puntando invece su una nuova economia basata sulla conoscenza, la sostenibilità, la qualità e soprattutto sulla giustizia e l’equità sociale. Un cambiamento che, per essere tale, faccia leva sul conflitto sociale e sulla partecipazione. Perché non basta e non funziona l’affidarsi a nuovi timonieri, magari esperti e illuminati. Bisogna farlo ricorrendo a un modo nuovo di “navigare”. Un modo basato appunto sulla socializzazione delle conoscenze e sulla più larga partecipazione.

Anche questo ci dicono i risultati di ieri, scaturiti non a caso da coinvolgenti percorsi partecipativi in cui, tanto Pisapia quanto De Magistris e Zedda, non sono apparsi come leader carismatici o nuovi messia ma quali garanti dell’unica vera pratica del cambiamento: quella democrazia che chiama in causa la società e la spinta innovatrice dei suoi conflitti.
Ma siccome, avrebbe detto Seneca, «non c’è buon vento per marinaio che non conosce la rotta», c’è una bussola pronta ad indicarla.

Sono i referendum sull’acqua e il nucleare. La loro vittoria, che non possiamo mancare, può affermare l’indisponibilità dei beni comuni e la necessità di ricostruire attorno ad essi una comunità partecipante che se ne prende cura collettivamente con scienza e con coscienza, per garantirne i benefici per tutti e per ognuno. Che poi tradotto in due parole vuol dire: bene comune. Senza dimenticare il quesito sul legittimo impedimento per dare voce a quell’indignazione nei confronti dell’arroganza del potere che è componente essenziale dell’ondata di Milano e Napoli. C’è da ricostruire la res pubblica. L’esatto contrario del neoliberismo in salsa italiana, con i suoi insopportabili privilegi, le sue cricche corrotte, la sua prepotenza nel cancellare diritti, la sua volontà famelica di accaparrarsi i beni comuni.

Per chi come noi della Federazione della Sinistra, da posizioni minoritarie e scomode, da tempo indica e lavora in quella direzione si riaprono pertanto spazi politici ed ambizioni nuove. Nuove responsabilità di lavorare ad un’ampia ed unitaria sinistra d’alternativa, capace di progettare e praticare quella diversa rotta economica e sociale, opposta al berlusconismo ma anche alle sirene della Marcegaglia ed ai ricatti di Marchionne. Si offrono inedite opportunità di praticare questa rotta con una diversa idea partecipata di “navigazione” che il vento nuovo ci consente.

di Massimo Rossi Portavoce nazionale della Federazione della Sinistra

sabato 7 maggio 2011

Punti di vista radicali

La crisi del berlusconismo (che non è tracollo, ma lenta agonia del Paese) sta riaprendo finalmente il dibattito politico. Anche se, per ora, da destra. E' bene, comunque, che riparta il confronto vero ed aspro, che si esca dal gradualismo del sistema delle alleanze, dal vacuo tatticismo della "riduzione del danno"; è tempo, infatti, di punti di vista forti e radicali.

Altrimenti, gramscianamente, «il vecchio muore e il nuovo non può nascere», anche perché il tornante storico è complesso: bombardiamo, noi paese colonialista, la nostra vecchia colonia libica; è in atto il tentativo governativo e confindustriale insieme (a proposito, perché la Camusso attacca il governo in nome di una interlocuzione con la Confindustria?) di sistematico abbattimento della forza organizzata del movimento operaio; le precarietà diventano una vera e propria condizione soggettiva, antropologica.

I referendum sui beni comuni, contro il nucleare e la giustizia dei potenti richiedono un impegno straordinario perché sono un segmento importante di una strategia politica alternativa che ritrovi i paradigmi fondativi. L'altra scadenza immediata, le elezioni amministrative, può ridisegnare il tema della ricostruzione dello spazio pubblico, dell'idea stessa di autogestione, di vita che si contrappone alla mercificazione dei non-luoghi metropolitani. Vi è l'esempio importante e positivo delle sinistre a Milano, a Bologna, diverso, ma ugualmente importante a Torino.

Se guardo al Sud, a Napoli si vive già ora una parziale fuoriuscita dalla passivizzazione, un risveglio di cittadinanza; è un laboratorio meridionalista che si sta formando anche intorno alla candidatura di De Magistris (a cui si è sottratto Vendola, come a Salerno, a Cosenza, in tante altre città meridionali: anche questo nei prossimi mesi sarà un tema di discussione dentro la costruzione, che ritengo obbligata, del polo della sinistra alternativa).

Si riapre, dicevo, la discussione politica: è anomalo, ma non irrilevante, certo, che nel centrosinistra l'abbia riaperta il presidente Napolitano, quando ha affermato che la sinistra non vincerà se non sarà credibile, affidabile e portatrice di una proposta praticabile. Bene, fin qui. I problemi si manifestano quando diamo forme, contenuti, propensioni quotidiane agli aggettivi «credibile ed affidabile». Nessuno, infatti, potrà negare che l'interpretazione data alle parole del Presidente da gran parte del centrosinistra e dei commentatori sia quella della necessità di una decisa torsione a destra del centrosinistra. Interpretando correttamente, temo, lo stesso pensiero del Presidente.

Bastano alcuni esempi: Casini invita Bersani «a prendere atto che l'intesa con l'Idv è impossibile». L'Idv ha, infatti, votato perfino contro i bombardamenti sulla Libia ed è forza, quindi, estremista e non credibile; le alleanze si fanno solo emarginando a sinistra e diventando stampella del Terzo Polo. Le parole di Napolitano sono diventate un pesante maglio nelle mani di tutti i centristi democratici (moltissimi interni al Pd, ai fini di una lacerante battaglia congressuale).

E' sempre bene, in questi casi, lasciar parlare Matteo Renzi, che è semplice e chiaro e che arruola Napolitano fra i rottamatori. Spiega cosa sia, per lui, il dopo Berlusconi: «La sinistra deve essere credibile ed affidabile, essere cioè una sinistra che non si limita ad andare contro gli altri, ma dimostra di saper fare le cose»; cioè di essere al servizio di Marchionne e soci. Ma davvero il centrosinistra è poco credibile perché troppo oppositivo e troppo di sinistra? E non perché, come credo, manca assolutamente di un punto di vista, di una concezione autonoma, di un sistema di valori alternativi, della coerenza di un progetto materiale e sociale basato sul conflitto di classe, sui beni comuni, sulla pace, sull'antirazzismo? Disegnando se stessi, contro l'abattimento della Costituzione, come i nuovi partigiani della democrazia costituzionale? Basta leggere gli articoli sul Corriere della Sera di ieri del professor Inchino e di Battista.

E' impressionante soprattutto l'articolato ragionamento di Ichino che sostiene, sostanzialmente, che dagli anni Cinquanta ad oggi, in tutti i grandi snodi della complessa vicenda sindacale, la Cisl ha sempre avuto ragione nei confronti della Cgil, concludendo, ovviamente, che «avevano ragione Cisl e Uil quando hanno firmato gli accordi alla Fiat di Pomigliano e di Mirafiori, se è vero che ora alla Bertone di Grugliasco anche i rappresentanti della Fiom hanno dato l'indicazione di votare sì sullo stesso piano industriale per evitare la chiusura dello stabilimento». Mi pare abbia ragione Ferrero quando scrive che, in definitiva, ciò assolutizza il «libero di spiegarsi dell'iniziativa manageriale che diviene, così, la condizione del successo dell'impresa che, a sua volta, è la premessa per il mantenimento dei posti di lavoro».

La costruzione del nuovo movimento operaio contemporaneo, nella concezione liberaldemocratica, finirebbe con il portare alla rottura della dignità costituzionale del lavoro dentro lo stesso rapporto di lavoro. Su un solo punto concordo con Inchino e Battista, ovviamente da sinistra: non è più tempo di piccolo cabotaggio. Per avere, infatti, la credibilità di un'alternativa occorre mutare radicalmente rotta. Dopo anni di devastazione culturale, di revisionismo storico ed istituzionale, il Paese vive oggi la crisi drammatica del costituzionalismo democratico. Annega nell'immoralità populista il governo. Ma giunge anche oggettivamente al capolinea la Seconda Repubblica.

Occorrono, allora, "pensieri lunghi"; e il ripensamento autocritico di tanta parte della sinistra che ha generato la Seconda Repubblica. Il problema non è il ritorno alla Prima Repubblica, ma l'impegno primario per il superamento del bipolarismo maggioritario, corazza istituzionale che ingabbia il conflitto, lo separa dalla politica (rendendola mera amministrazione del potere), inibisce la possibilità stessa di una progettualità alternativa. Nel bipolarismo maggioritario, infatti, la credibilità finisce con il consistere nell'occupazione del "centro", nell'appiattimento programmatico sulle esigenze confindustriali, patriarcali, razziste di Stato. Esso, tra l'altro, impedisce la necessità della ricostruzione di uno schieramento alternativo e plurale e rende più difficile l'ineludibile fondazione di un polo delle sinistre autonomo, indipendente dal Pd. E' questo anche il fondamento della Federazione della Sinistra.

Chi, anche a sinistra, continua, con una irragionevole coazione a ripetere, a ritenere che l'alternativa si fonda sul sistema bipolare maggioritario, sulla "democrazia governante", sul presidenzialismo, pensa, nei fatti, ad un futuro sistema politico che esclude la rappresentanza dell'anticapitalismo sociale e politico. Pezzi di sinistra alternativa possono essere cooptate solo se passano attraverso l'omologazione centrista. Omologazione da un lato, desertificazione dall'altro. Sarebbe un disastroso continuismo. Le sinistre non possono che ripartire da temi chiari, netti, discriminanti. Altrimenti il tramonto del berlusconismo vedrà l'espansione del gattopardismo trasformista o il rafforzamento dell'antipolitica intesa non come critica del potere, ma come alienazione di massa di un popolo sempre più muto, passivo, rancoroso.

di Giovanni Russo Spena