Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia

Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia

lunedì 28 ottobre 2013

L'ex colorificio è stato sgomberato. Manifestazione il 16 novembre.

Da Il Manifesto di Roberto Ciccarelli.

L'ex colorificio di Pisa, occupato il 20 ottobre 2012, è stato sgomberato ieri dopo 9 ore e 10 minuti di resistenza pacifica. Lo spazio dell'ex fabbrica di vernici, rigenerato dalla partecipazione di migliaia di persone in una moderna agorà, è tornato ad essere il regno di topi e piccioni. Quest'area di 14 mila metri quadri, a due passi dalla Torre pendente, rischia di essere stravolta da una speculazione che la trasformerà in una zona residenziale. Contro questo progetto si sono opposte le trenta associazioni che per un anno hanno dato vita all'esperimento del «municipio dei beni comuni». Lo sgombero è stato ordinato il 20 settembre scorso dal Tribunale di Pisa ed è iniziato alle 8,20 di ieri alla presenza del questore Gianfranco Bernabei. Nella notte si erano barricate all'interno 250 persone. Dopo avere scardinato il portone d'ingresso, la lavagna del corso d'italiano per i migranti è stata portata sulla strada. La polizia è entrata nell'aula delle lezioni, mentre una delle volontarie svolgeva la lezione su come si ottiene un permesso di soggiorno in Italia. Poi è toccato agli artigiani sgomberare i loro attrezzi e macchinari da uno dei vasti capannoni che sono stati trasfigurati nell'aspetto e nell'uso. Subito dopo è venuto il turno degli «equilibri precari», un gruppo di arrampicatori che ha costruito con le proprie mani una gigantesca parete, l'unica in città, per esercitare uno sport sempre più popolare. Quando la polizia si è presentata erano ancora appesi al soffitto. Dopo la ciclofficina, è arrivato il turno dell'«aggeggificio», la stanza più sognante di quella società parallela che è diventato l'Ex colorificio. Il momento più simbolico della giornata è stata una lezione sulla «scienza della pace». La Digos ha aspettato che terminasse prima di accompagnare tutti fuori. 

Lo sgombero è scattato dopo il rifiuto del sindaco Marco Filippeschi (Pd, sostenuto da Sel di Nichi Vendola) di intavolare un'ultima trattativa, sollecitata dallo stesso Questore. In una nota, il Comune si è detto disponibile a «creare un confronto fra le associazioni e la proprietà privata interessata, in condizioni che garantiscano il rispetto della legalità». L'ente locale respinge «il tentativo di addossare al sindaco e alla sua giunta l'iniziativa dello sgombero in atto per iniziativa della questura». Questa uscita è stata attaccata dagli attivisti sui social network e su radio Roarr, la web-radio sgomberata in diretta proprio come Radio Alice a Bologna nel 1977. Per loro il comune non ha mai valutato l'offerta di collaborazione giunta da giudici costituzionali, giuristi e intellettuali come Paolo Maddalena, Stefano Rodotà, Salvatore Settis, Ugo Mattei o Maria Rosaria Marella. In un appello pubblicato da Il Manifesto avevano invitato l'amministrazione a riconoscere l'ex colorificio come «bene comune» e a sperimentare nuovi modelli di proprietà collettiva. Anche l'allenatore del Pisa Calcio Pino Pagliari ha dato la sua solidarietà a dimostrazione del consenso trasversale di questa esperienza. 

Dopo un corteo che ha attraversato la città, gli attivisti del «municipio dei beni comuni» hanno montato un'«acampada» in piazza XX settembre di fronte alla sede del comune. Il 16 novembre è stata annunciata una manifestazione nazionale a Pisa.

giovedì 24 ottobre 2013

LA FONDAZIONE MONTEPASCHI NOMINA SEGRETARIO UN IMPUTATO


Ampugnano, il Pd s’arrocca: no parte civile.

Dal Fatto Quotidiano,
di Daniele Martini.

Se continua così prima o poi a Siena eleveranno agli altari gli imputati per lo scandalo del minuscolo aeroporto di Ampugnano, compresol'ex presidentedelMonte deiPaschi, Giuseppe Mussari.
Laprima udienza del processo era fissata per oggi,anche sesono sorti problemi per unerrore nella notifica di unatto. Quelche sorprendeè ilclima cheaccompagna il dibattimento. Un clima surreale. La banca, la Camera di Commercio, la Provincia e il comune di Siena, il piccolo comune di Sovicille dove lo scalo materialmente si trova,cioè i soci della società Aeroporto di Siena (Ampugnano), danneggiati dalla brutta storia della privatizzazione e del mancato ampliamento della struttura, con ilprocesso avrebbero avuto l'opportunità e forse l'obbligo morale di costituirsi parte civile per essere risarciti dei danni subiti. Ma tra la sorpresa generale non l'hanno fatto e non hannointenzione di farlo. Ufficialmente perché dicono di voler aspettare l'esito del dibattimento. Ma tutti sanno che questa è solo la foglia di fico.
LA VERITÀ è che dal sindaco diSiena, Bruno Valentini, a quello di Sovicille, Alessandro Masi, dal presidente della Provincia, Simone Bezzini, al presidente della Camera di commercio, Massimo Guasconi, tutti rigorosamente Pd, non vogliono mettersi né contro Mussari né controil partito che con il solito contorno di giri massonici ha gestito la faccenda. Tra gli imputati e i rappresentanti delle istituzioni danneggiate è scattata, insomma, una specie di solidarietà di casta.
Dal Monte dei Paschi, dove il potere piddino è in fase calante, ma non scomparso, lanciano addirittura un segnale che sa tanto di voglia di impunità. La Fondazione affidata da poco più diun mese alla vicepresidente diConfindustria, Antonella Mansi, tra i cento candidati disponibili per la carica di segretario della Deputazione amministratrice ha scelto, guarda caso, uno degli imputati dello scandalo.
E non un imputatodi secondo piano, ma Lorenzo Biscardi, nominato dal Monte dei Paschi proprio responsabiledella procedura per la valutazionedell'offerta di privatizzazione dell'aeroporto. Mentre il sindaco di Siena che dovrà difendere in tribunale la sua elezione dal sospetto di nullità,dovendo scegliersi unavvocato ha voluto Fabio Pisillo, lo stesso preso da Mussari per Ampugnano.
Tra gliimputati c'è anche l'ex presidente dell'aeroporto, Enzo Viani, massone locale tra i più in vista, della cordata di Stefano Bisi, capo del Collegio dei maestri venerabili della Toscana, candidato alla carica di Gran Maestro della massoneria italiana,caporedattore del Corriere senese.C'è poi la professoressa Luisa Torchia, giàsegretario generale di Astrid, la fondazione di Franco Bassanini, presidente dellaCassa depositi e prestiti, fino a qualche tempo fa assai coinvolto nelle vicende senesi.
La Torchia ai tempi dell'affare dell'aeroporto era consulente del Monte e consigliere della Cassa che insieme alle Casse depositi francese e tedesca controllava il fondo Galaxy, favorito secondo l'accusa nella selezione per Ampugnano.
Selezione seguita proprio dallaTorchia.

martedì 22 ottobre 2013

Per le TV sono tutti antagonisti!!

 Da Il Manifesto | Autore: Roberto Ciccarelli

Un fiume di ragazzi, migliaia di senza casa, i movimenti contro le grandi opere, le associazioni dei beni comuni sfilano pacificamente per le strade di una città blindata e si accampano nella piazza di Porta Pia. Pochi incidenti isolati contro il ministero dell'Economia. E per le tv sono tutti «antagonisti» 
È stato un risultato inaspettato e incontestabile. I movimenti per il diritto all'abitare, i No Tav e i No Muos, quello dei migranti e dei rifugiati che chiedono l'abolizione della legge Bossi-Fini, i sindacati di base (Usb e Cobas), le reti antagoniste dei movimenti sociali, e anche quelle degli altri centri sociali, entrambe presenti in forze ieri a Roma al corteo della «sollevazione generale», hanno superato una prova complicata, gestendo in maniera dura ma in fondo limitato un «assedio» alla Cassa Depositi e Prestiti e ai ministeri dell'Economia e delle Infrastrutture che poteva trasformarsi in un'ecatombe politica e in una mattanza di giovani, famiglie occupanti e migranti. Questo può essere un primo passo verso una politica contro l'austerità, che ha chiare basi sociali e mette al centro la richiesta del blocco degli sfratti per morosità, la riforma del Welfare e la richiesta di un reddito minimo. Potrebbe essere questo un primo, serio, tentativo per superare lo choc provocato dalla sconfitta politica del 15 ottobre 2011 che hanno fatto implodere il movimento, mentre negli Stati Uniti nasceva Occupy Wall Street, in Spagna si affermavano gli indignados e in Italia ci si è rinfacciati il risentimento e le responsabilità. 

Settantamila persone, forse anche di più, hanno partecipato al corteo della «sollevazione generale», parola che ha acquisito un nuovo significato. Erano in molti fino a ieri mattina, alla partenza di un corteo possente, allegro, cosmopolita a temere scontri all'ultimo sangue con le forze dell'ordine. In serata, all'arrivo a Porta Pia, la «sollevazione» è stata intesa come «sollievo», ma anche come una presa di parola estranea al desiderio mimetico che tiene in ostaggio i movimenti italiani rispetto a quanto si muove all'estero. Da oggi, forse, si potrà cambiare registro, e non dire che bisogna fare come negli Stati Uniti o come in Spagna «perché in Italia non può succedere niente». 

I segnali di un nuovo, tremendo fallimento, c'erano tutti, a cominciare da una campagna mediatica criminalizzante, ricavata da veline di questura o da «rapporti dell'intelligence» che sin dal mattino, dal sito dell'Huffington Post ad esempio, preannunciava l'incredibile, surreale, uso da parte dei manifestanti inevitabilmente «violenti» di «macchine idropulitrici» contro gli agenti in servizio. La scena che invece si è presentata a piazza San Giovanni è stata quella di una marea umana di almeno 15 mila persone in testa al corteo, quelle che vivono nelle sessanta occupazioni di palazzi pubblici abbandonati, residence e hotel al centro come nelle periferie della Capitale. Uno spettacolo di umanità commovente, orgogliosa, che accusa l'ipocrisia delle larghe intese con il cartello di alcuni migranti ripreso sui social network: «Scusate se non siamo affogati» a Lampedusa. Rivendica con gli eritrei, i somali, i maghrebini, i peruviani, gli africani, i rom la riscrittura di tutti i trattati europei sull'immigrazione, il cosiddetto «Dublino 2», dell'efferata Bossi-Fini e della sua genealogia securitaria che risale alla precedente legge Turco-Napolitano. Chiede il blocco degli sfratti, un piano casa per affrontare in maniera sistematica una tragedia della crisi: gli sfratti e i pignoramenti. E, infine, di cancellare le «grandi opere», a partire dall'odiata Tav Torino-Lione, di rinunciare ai «grandi eventi» sui quali viene costruita l'economia nazionale (dalla più visibile Expo 2015 a Milano alle mega-manifestazioni sportive o culturali), redistribuendo risorse in base a criteri di giustizia sociale. 
Strappato il velo della disinformazione, il corteo della «sollevazione» ha assunto il profilo più netto di una società, tendenzialmente maggioritaria nel sentire comune, che inizia a riconoscersi a partire dalla vita negata, da un mutuo che non può essere pagato a causa della perdita di un lavoro o di una precarietà che non lascia tregua con poche centinaia di euro al mese, quando va bene. Una «sollevazione» che non ha alcuna rappresentanza in parlamento, sia essa «grillina», «legalitaria», «anti-berlusconiana» e nemmeno di «sinistra». Questa è la nuova questione sociale che, a cinque anni dall'inizio della crisi, sta provando a darsi una rappresentanza autonoma. 

Ci sono state due «sanzioni». La prima, la più dura, all'ingresso del Tesoro in via Quintino Sella dove a più riprese il cordone composto da quattro camionette della Finanza è stato bersagliato da petardi, bottiglie, sassi a cui è stato risposto con una carica di allegerimento da parte dei Carabinieri. La seconda è stata contro il consolato tedesco in via San Martino della Battaglia. I manifestanti le hanno intese come azioni contro le politiche dell'austerità che producono, in Italia come in Germania, la schiavitù dei contratti a termine o dei «mini-job». 

All'«acampada» serale, Paolo Di Vetta dei Blocchi precari metropolitano è stravolto, ma sollevato: «Un movimento senza partiti e con i soli sindacati di base ha costruito un corteo di cui avevamo bisogno. Adesso deve arrivare il blocco degli sfratti, un piano casa sugli alloggi popolari e la promozione del riuso nelle città». «Per una settimana hanno parlato di una manifestazione pericolosa - afferma Guido Lutrario (Usb) - adesso vogliamo soluzioni anche sulle politiche abitative». In serata, il vice-sindaco di Roma Luigi Nieri (Sel) ha invitato il movimento per la casa ad un tavolo con il ministro dei Traporti Maurizio Lupi a cui parteciperà il sindaco Ignazio Marino. È il primo segnale che questo movimento può iniziare a incidere sui territori.