Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia

Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia

mercoledì 30 gennaio 2013

Diamo all’Italia un governo di pace


di Flavio Lotti -





Uno dei segni più evidenti del disastro in cui siamo finiti è nella scomparsa dell’Italia dal mondo e la sua perdita di credibilità e rilevanza internazionale. La responsabilità primaria è di Berlusconi. Ma anche i tecnici del governo Monti portano pesanti responsabilità.
Oggi l’Italia è fuori dal mondo.
Una visione miope, un’agenda dettata dai grandi gruppi economici finanziari (soprattutto Eni e Finmeccanica) e una strumentazione profondamente inadeguata hanno contribuito al declino dell’Italia, l’hanno messa fuori gioco, ci hanno esposto a grandi rischi e ci hanno fatto perdere grandi opportunità.
Al punto in cui siamo non abbiamo nemmeno bisogno di richiamare i nostri valori. Per cambiare ci basta di invocare i principi del realismo politico.
Per uscire dalla crisi dobbiamo riaprire gli occhi sul mondo che sta cambiando rapidamente, riconoscere le nostre responsabilità e dotarci della strumentazione necessaria per agire responsabilmente.
Non ha più senso parlare di politica interna e di politica estera. Abbiamo bisogno di una politica radicalmente nuova.
Una politica nonviolenta fondata sui diritti umani.
Una politica che deve essere espressione di un nuovo modo di pensare le relazioni internazionali, tra gli stati e tra i popoli, di gestire i grandi problemi comuni aperti, di contribuire alla loro soluzione, di prevenire nuovi conflitti.
Lottare contro la povertà nel mondo, farla finita con le tante guerre, fermare il cambiamento climatico e proteggere l’ambiente, promuovere tutti i diritti umani per tutti, ridurre le disuguaglianze, garantire pari opportunità, costruire un’economia sociale di giustizia, costruire l’Europa dei cittadini, rafforzare e democratizzare l’Onu ci conviene! Più di quanto riusciamo ad immaginare.
Ci attende un grande lavoro.
Prima di tutto noi vogliamo introdurre un metodo nuovo. Dobbiamo imparare ad “agire come sistema paese” ovvero dobbiamo valorizzare e potenziare il contributo di tutti gli attori presenti nel nostro paese. Non è solo un problema tecnico di coordinamento. E’ l’approccio complessivo che deve cambiare. Questa è la principale innovazione che vogliamo introdurre in Italia. L’Italia dispone di un vasto tessuto di attori protagonisti di percorsi e processi di cooperazione internazionale, di pace, di solidarietà che, se realmente valorizzati, possono consentire all’Italia di re-inserirsi pienamente nella comunità internazionale che coopera.
Noi vogliamo aprire le porte del Parlamento e del governo alla società civile responsabile e agli enti locali impegnati per la pace e i diritti umani. Ci impegniamo a creare una sede permanente in cui ci sia ascolto (segnalazioni, denunce, proposte), dialogo e collaborazione sulle quattro grandi questioni del nostro tempo: lotta alla povertà, prevenzione e risoluzione dei conflitti, diritti umani e democrazia internazionale.
L’impegno di Rivoluzione Civile contro l’illegalità non conosce confini. La guerra e la povertà sono illegali. Sono vietati dal diritto internazionale dei diritti umani e noi ci batteremo in ogni sede per ripristinare il rispetto della legalità.
Vogliamo far rispettare e attuare l’Articolo 11 della Costituzione. La guerra non è uno strumento a disposizione della politica e del governo.
Vogliamo passare dalla sicurezza militare alla sicurezza umana, dalla sicurezza nazionale alla sicurezza comune.
Vogliamo fare pace con il mondo e per questo ci impegniamo a:
1. Lottare contro la miseria e la morte per fame.
2. Mettere immediatamente fine alla missione militare in Afghanistan e risarcire le vittime della guerra sostenendo le forze sane della società civile.
3. Cancellare i piani di acquisto dei cacciabombardieri F35 e rivedere tutti i programmi di acquisto degli armamenti. Tagliare la spesa militare e riorganizzare le forze armate in senso riduttivo.
4. Costruire la Comunità del Mediterraneo che trasformi quest’area di grandi crisi e tensioni in un mare di pace e benessere per tutti.
5. Costruire una nuova Europa, un’Europa dei cittadini, solidale e nonviolenta.
6. Fare pace in Medio Oriente riconoscendo a israeliani e palestinesi il diritto di vivere in pace su quella terra con gli stessi diritti, la stessa dignità e la stessa sicurezza.
7. Fare pace con l’Africa.
8. Disarmare la finanza.
9. Rafforzare l’infrastruttura internazionale dei diritti umani.
10. Salvare, democratizzare e rilanciare l’Onu.
Con lo stesso scopo ci impegniamo a:
1. Aumentare i fondi per la cooperazione internazionale.
2. Progettare e organizzare il Sistema-Italia della cooperazione internazionale approvando una nuova legge e promuovendo la cooperazione comunitaria, partecipata e diffusa.
3. Rilanciare e sviluppare il servizio civile nazionale ed europeo rendendolo accessibile a tutte le ragazze e i ragazzi che chiedono di parteciparvi.
4. Promuovere l’inserimento permanente dell’educazione alla pace, ai diritti umani e alla cittadinanza democratica glocale nei programmi scolastici di tutte le scuole di ogni ordine e grado.
5. Impegnare la Rai a fornire un’informazione che dia conto dei fatti del mondo, attenta alla vita delle persone e dei popoli anche mediante la creazione di una struttura permanente “la Rai per i diritti umani”, la creazione di una rete di uffici di corrispondenza nel mondo e l’inserimento di spazi adeguati nei palinsesti.
6. Creare le istituzioni nazionali per i diritti umani a cominciare dalla Commissione diritti umani e dal Difensore civico nazionale secondo i principi raccomandati dalle Nazioni Unite, dal Consiglio d’Europa e dall’Unione Europea.
7. Rafforzare la trasparenza e i controlli sul commercio internazionale di armi.
8. Intensificare la lotta internazionale contro le mafie e la criminalità organizzata.
9. Fare pace con il mondo che abbiamo in casa. Approvare le due proposte di legge di iniziativa popolare che riconoscono i diritti di cittadinanza delle persone di origine straniera promosse dalla campagna L’Italia sono anch’io.
10. Abrogare la legge Bossi-Fini e chiudere i CPT. Fare una nuova legge sull’immigrazione
11. Promuovere una legge nazionale per l’applicazione del diritto all’Asilo.
L’elenco delle cose che vogliamo fare continua negli appelli delle organizzazioni della società civile responsabile che ho sottoscritto. Il programma lo completiamo e lo realizziamo insieme a tutte le donne e gli uomini che vogliono assumersi una responsabilità maggiore e fare la propria parte.

martedì 29 gennaio 2013

di Piergiovanni Alleva 


Ecco le 5 aree tematiche per costruire il contesto di una normativa che deve accogliere la vera e propria riforma, collettiva e individuale, dei nostri istituti lavoristici
Sono stato sempre impegnato – ed ho scritto su questo giornale – sul fronte della progettazione legislativa e contrattuale dei diritti sociali e sulla promozione e difesa, anche per via giudiziaria, dei diritti dei lavoratori e del sindacato.


Adesso, accettando la candidatura nelle liste di Rivoluzione civile nelle prossime elezioni politiche, ancor più mi sento coinvolto a sviluppare, con questo nuovo soggetto , una politica del diritto sociale che, in coerenza con la mia passata esperienza, valorizzi e implementi una linea di radicale rinnovamento nel merito, alternativa alle disastrose politiche praticate da troppo tempo e sostenute da più parti che in teoria dovrebbero essere antitetiche.


Gli ultimi anni hanno portato un netto peggioramento della normativa e delle situazioni concrete riguardanti i diritti dei lavoratori, sul piano collettivo – rappresentanza e democrazia sindacale – e sul piano individuale – progressiva precarizzazione, caduta del potere d’acquisto delle retribuzioni, perdita di diritti e di dignità del lavoro. È necessario dunque un intervento riformatore complessivo che non si limiti alla ricostituzione dei precedenti livelli di tutela, ma li completi e li reinterpreti alla luce dei tanti mutamenti sopravvenuti.
Tuttavia, anche un’opera di riforma in senso progressivo delle regole in tema di lavoro sarebbe insufficiente se avulsa da interventi urgenti su fondamentali problemi socio-economici che caratterizzano in senso negativo l’attuale situazione.


A ben poco servirebbero anche ottime regole in tema di rapporto di lavoro in favore di chi il lavoro ce l’ha, prescindendo dalla situazione drammatica e spesso disperata di chi il lavoro l’ha perso, oppure non l’ha mai avuto, oppure, come milioni di giovani, non riesce ad inserirsi nel mondo del lavoro, ovvero ha dovuto lasciarlo per operazioni governative di pensionamento rilevatesi poi disastrose (esodati). Un programma riformatore dovrebbe riguardare anzitutto, o contemporaneamente, le problematiche ulteriori rispetto a quelle vissute da chi attualmente lavora.


Un approfondimento risulta tanto più necessario quanto più si considerino gli ambigui e a volte ipocriti slogan, orecchiabili e suggestivi, ripetuti sui temi lavoristici.
La prima rilevante parte di un programma di riforma, che definisco di contesto di una normativa del lavoro, è sintetizzata in 5 aree tematiche. In un prossimo articolo si affronterà la riforma relativa agli istituti propriamente lavoristici, con l’articolazione tra dimensione collettiva e dimensione individuale.


1) La prima riforma è l’introduzione di un reddito di cittadinanza – ovvero reddito minimo garantito che prescinde da precedenti contribuzioni previdenziali o da precedenti rapporti di lavoro. Questa prospettiva segna un vero e proprio cambio di paradigma nell’organizzazione sociale. L’istituto non ha nulla di utopistico. Esiste nella legislazione dei principali paesi europei, con caratteristiche similari che potrebbero essere utilmente messe a confronto.
Alla sua introduzione dovrebbe essere destinato in primo luogo il recupero dell’evasione fiscale, per il quale dovrebbero essere introdotte misure semplici ed efficaci, quali la pubblicazione on-line dei redditi imponibili di tutti i contribuenti, operazione già tentata nel 2008 dal ministro Visco ma bloccata dalle varie lobby di soggetti economici a rischio di evasione.


2) L’implementazione dell’occupazione giovanile è un problema prioritario. Non può essere affrontato con le misure indicate da Monti o Berlusconi: una generica decontribuzione e defiscalizzazione retributiva da cui dovrebbe meccanicisticamente discendere – ma non discende – un incremento delle assunzioni di giovani.
È necessario un intervento più complesso che veda il protagonismo delle parti sociali, incrociando ad esempio gli istituti del contratto di apprendistato riformato e del contratto collettivo aziendale di solidarietà espansivo, anch’esso rivisto e re-disciplinato. Una riduzione dell’orario lavorativo del 10% di 4 ore settimanali, opportunamente indennizzata, consentirebbe l’assunzione di centinaia di migliaia di giovani.


3) Il sistema degli ammortizzatori sociali introdotto nel nostro ordinamento fra gli anni ’80 e ’90, si è rivelato importante ed efficiente anche se ormai invecchiato: penalizza l’economia dei servizi. Il governo Monti ha semplicemente cercato di distruggere il sistema degli ammortizzatori proprio nel momento in cui la situazione si faceva più grave, con l’eliminazione dell’indennità di mobilità conseguente a crisi aziendali, nonché degli importanti meccanismi messi a punto dalla Legge Fallimentare per i casi di insolvenza e con la sua sostituzione con un istituto punitivo quale è l’Aspi.


La revisione degli ammortizzatori sociali andrebbe fatta nell’ambito della riforma dei sistemi di sicurezza sociale e in particolare all’insegna del principio di una dote di ammortizzatori concessa ad ogni lavoratore ed utilizzabile in modo flessibile a seconda dei casi, o come ammortizzatore conservativo (sospensione integrata economicamente del rapporto di lavoro) o invece come ammortizzatore risarcitorio (indennità per perdita dell’occupazione).


4) Il tema dei pensionamenti e del lavoro nella terza età va affrontato in termini nuovi ed umanistici, puntando sul principio del pensionamento parziale e progressivo, in conformità alle condizioni di salute del lavoratore e della sua visione esistenziale. In ogni caso, è assolutamente necessario rimediare al guasto enorme della riforma pensionistica di Monti, che non si è limitata a far restare di più al lavoro chi lavorava, ma ha investito chi era ormai disoccupato condannandolo ad una vita di stenti (esodati).


5) La tematica degli incentivi all’attività di impressa da un lato e della connessa responsabilità di impresa dall’altro, va affrontata con la revisione e il potenziamento di tutti gli strumenti creditizi e di altro genere, necessari ad un rilancio imprenditoriale, ma per converso con la regolazione in termini coerenti di problematiche quali appalti, attività di gruppo, esternalizzazioni, delocalizzazioni, nonché istituti di partecipazione e cogestione.

lunedì 28 gennaio 2013

Eccomi: l’impresentabile!


di Marino Andolina
Prima di tutto desidero scusarmi per l’imbarazzo che ho creato con la mia candidatura. Come altri candidati con la coscienza a posto anche se indagati (penso ai nostri indagati per disordini di piazza) non pensavo che la sola iscrizione ad un registro indagati mi escludesse dalla candidatura. 
Ho sbagliato e mi scuso. Io propongo due ipotesi: il mio ritiro dalla corsa nel modo che sarà legalmente possibile (lo farò cercando di non nuocere alla coalizione), oppure il pieno sostegno dei tre magistrati della coalizione al mio progetto di difesa della legalità. Non credo che una terza ipotesi (il silenzio) sia politicamente opportuna. Io cerco da quattro anni di trasferire una metodica salvavita negli ospedali pubblici italiani. 
Esiste una legge (DM 5/12/2006, Turco reiterata nel 2008 da Fazio) che permette di curare con cellule staminali pazienti in pericolo di vita o di aggravamento. Ho ottenuto un parere proveritate di un famoso giurista di Piacenza (Eusebi) e il parere favorevole del prof. Rasi già direttore dell’AIFA. A Trieste ho probabilmente fatto degli errori formali, non riuscendo ad avere suggerimenti legali dai cosidetti esperti del Ministero, ma tutto sommato quando ho fatto i primi trapianti italiani di midollo in età pediatrica nel 1984 ho sicuramente fatto di peggio. 
Centinaia di giovani adulti oggi camminano per le nostre strade per le scorrettezze formali che ho fatto allora facendo trapianti a Trieste, Pavia, Genova ecc. Anche a Baghdad nel 2004 abbiamo rubato le chiavi della sala operatoria per fare il primo trapianto della storia irachena, ma non me ne pento. La metodica che oggi applico su imposizione di 10 giudici  è nata a Torino e San Marino probabilmente con alcuni errori che hanno suscitato l’attenzione della Procura.
Può essere imbarazzante che il prof. Vannoni della Fondazione Stamina allora, finiti i propri soldi, abbia chiesto ad alcuni pazienti facoltosi (non ai poveri) un contributo per la produzione cellulare (non per il suo tornaconto). Si parla sempre di un sottoscala in cui avrebbe preparato le cellule; credo ci si riferisca ad un laboratorio eccezionale (costo più di un milione di euro) che aveva in un seminterrato a San Marino (San Marino è in salita e i piani terra sono seminterrati in parte). Anche se nata in maniera avventurosa la metodica funziona. Io sono testimone e ora artefice di miglioramenti sostanziali in malattie gravissime. Nella SLA per esempio che ha un grande impatto mediatico, ma ce ne sono state altre altrettanto importanti come quella della piccola Celeste apparsa su tutte le reti TV. 
Finita male la mia attività a Trieste e conseguente pensionamento ho trasferito l’attività al secondo più grande ospedale pubblico italiano, a Brescia. Prima di cominciare sono andato al Ministero (che ci ha poi indirizzato un paziente) ed all’AIFA il cui direttore f.f. ha autorizzato l’attività conoscendo perfettamente le caratteristiche del laboratorio di Brescia. Gli ispettori dei NAS e dell’AIFA  hanno invece dichiarato inadeguato il laboratorio, sconfessando la stessa AIFA, considerando quali obbligatorie delle linee guida dell’Istituto Superiore di Sanità che suggerivano un tipo diverso di laboratorio, ma premettevano in prima pagina in grassetto che tali linee guida erano facoltative. 
Su questa considerazione è stata montata tutta la vicenda che è seguita, con un Ministro succube o complice di coloro che vogliono bloccare una terapia efficace. Il Ministro Balduzzi ha rifiutato un incontro richiesto da cento associazioni di malati che potrebbero giovarsi di una cura con staminali Da allora una decina di giudici del lavoro hanno imposto questa mia terapia per altrettanti pazienti.  Il problema è che noi siamo gratis (anzi Stamina paga le cure in ospedale) ma le spese legali ammontano a 4-5000 euro. Solo chi può pagare sopravvive.
Io sono stato indagato per questa attività assieme a due direttori generali e una ventina di medici, l’indagine che mi ha visto coinvolto si è conclusa alla fine del 2011 e non ho ricevuto notizia di rinvio a giudizio; poi l’indagine si è estesa nel 2012 all’attività di Brescia ma in questo filone d’indagine curiosamente il mio nome non compare. Con tutto il rispetto per l’attività legittima degli inquirenti, mi permetto di dubitare che l’accusa di somministrare farmaci pericolosi possa reggere dopo i successi registrati senza effetti collaterali. 
Posso aggiungere che negli ultimi 30 anni non c’è paziente che possa dire di avermi pagato per una prestazione. Io credo sinceramente che la coalizione di “Rivoluzione Civile”  abbia il dovere civico di sostenere questa battaglia per la legalità. Migliaia di pazienti rischiano di morire senza una cura che è risultata efficace; alcuni sono già morti e chiedono giustizia
Marino Andolina
Trieste

sabato 26 gennaio 2013

Cari amici della Cgil, ecco cosa vi dico


“Care amiche e amici della Cgil, vi scrivo per riassumere ciò che avrei detto se  fossi stato invitato ad intervenire alla vostra conferenza sul programma, al pari degli altri candidati per la Presidenza del Consiglio”. È quanto afferma, in una lettera aperta agli iscritti della Cgil, il leader di Rivoluzione Civile, Antonio Ingroia. “Rivoluzione Civile – Lista Ingroia – aggiunge – ha ben chiaro chi sono gli avversari da battere con il voto: Berlusconi, cioè la destra caciarona e impresentabile, e Mario Monti, rappresentante numero uno di quei professori in loden che hanno deciso la drammatica controriforma delle pensioni. 
Quella ‘destra perbene’ ha colpito in maniera pesantissima tutti i lavoratori e i pensionati, ma soprattutto le donne, ha creato la tragedia sociale degli esodati, ha cancellato l’art.18 ha confermato e aggravato tutte le forme di precariato. In compenso, non ha saputo mettere in campo alcun intervento che incidesse sulle fasce privilegiate, sulla Casta politica, sugli immensi sprechi ben esemplificati dalle auto blu o dalla pletora di consigli d’amministrazione clientelari. Soprattutto, non ha fatto nulla, zero assoluto, quanto a  politiche industriali di ampio respiro. Invece mai come in questo momento, nel cuore della crisi, è urgente che ci sia un governo capace di offrire al Paese un indirizzo lungimirante sui settori strategici.
Sui capitoli da cui dipende la qualità della vita e il futuro del Paese – sanità, scuola, università, ricerca – la continuità tra i governi Berlusconi e Monti è totale. Continuano i tagli lineari, le privatizzazioni striscianti, la totale precarietà. In questa plumbea cornice si sono moltiplicati attacchi sempre più profondi contro i diritti e le libertà dei lavoratori. Siamo di fronte a un assedio che sta progressivamente riportando la condizione dei lavoratori e lo stato delle relazioni industriali indietro di un secolo e oltre. Il punto fondamentale, per me e per il mio programma politico, è invece – continua Ingroia – la piena e totale applicazione della Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza, prima di tutto in materia di libertà civili e sindacali. Ritengo fondamentale e imprescindibile la libertà per i lavoratori di votare sempre gli accordi che li riguardano, di votare sempre i propri rappresentanti e di potersi iscrivere liberamente al sindacato che vogliono.
La storia della Cgil è stata attraversata da discriminazioni e persecuzioni, ma alla fine ha saputo sempre sconfiggerle. Ha combattuto il regime fascista, ha ricostruito l’Italia con la spinta di Giuseppe Di Vittorio, ha emancipato la dignità di chi lavora con Bruno Trentin, ha battuto Berlusconi quando Sergio Cofferati vinse la battaglia per impedire la cancellazione dell’art. 18. Quelli che allora erano in piazza con voi e con noi, hanno votato oggi, senza batter ciglio, quell’eliminazione dell’art. 18 che non era riuscita 10 anni fa.
È dunque per me un impegno di grande valore democratico quello di assumere nel nostro programmal’approvazione di una legge per la democrazia e la rappresentanza nei luoghi di lavoro e la cancellazione delle leggi Fornero sui licenziamenti e sulle pensioni. Ci impegniamo – prosegue la lettera – a combattere la precarietà cancellando le oltre 40 forme di contratto precario per i giovani considerando l’apprendistato come il vero contratto di inizio lavoro. Riteniamo utile, in questa fase di transizione, garantire un reddito minimo almeno per i periodi di vuoto retributivo e previdenziale. Oggi, come anche i dati della Cgil dimostrano, è possibile una scelta alternativa a quella di Berlusconi e Monti. Noi lavoriamo per questo: per un governo di centrosinistra che rompa con le logiche monetariste del fiscal compact, con quelle devastanti della guerra e degli armamenti, con un modello di sviluppo che distrugge l’ambiente e la salute dei cittadini mentre ignora i diritti umani fondamentali. Tutto questo, però, non può essere fatto a braccetto con chi quei modelli sciagurati li ha teorizzati, perseguiti e praticati, come Berlusconi e Monti.
Proprio perché noi siamo disponibili alla costruzione di questa alternativa di governo, ma siamo altrettanto fermamente indisponibili a ogni accordo con chi persegue politiche opposte alle nostre, Rivoluzione Civile rappresenta oggi il vero voto utile per impedire che si realizzi il progetto sciagurato, già annunciato e temo per molti versi già deciso, di un governo Pd-Monti.
Non è questione di pregiudiziali ideologiche ma di scelte pragmatiche e concrete. Noi lavoriamo per l’unità del mondo del lavoro: la destra di Berlusconi e Monti si è adoperata e promette di adoperarsi ancor più in futuro per dividere e per isolare le forze sindacali che non accettano le loro condizioni. La destra italiana ha usato la crisi per distruggere il Contratto Nazionale, abolire l’art. 18, cancellare i diritti minimi per i giovani, abbattere le libertà dentro e fuori i luoghi di lavoro. Noi vogliamo marciare in direzione opposta. E l’autonomia dei sindacati dai partiti e dai governi è un valore da conquistare e da rispettare.Di tutto questo – conclude Ingroia – mi sarebbe piaciuto discutere con voi, ma sono sicuro che non mancheranno altre occasioni di incontro con i pensionati e poi nelle scuole, negli ospedali, nelle fabbriche, dove ogni giorno lavorate garantendo il funzionamento dell’Italia. L’obiettivo comune è quello di restituire al lavoro tutto il valore, tutta la dignità e  tutta la libertà necessaria per portare il Paese fuori dalle secche della recessione e della depressione”.
Antonio Ingroia

venerdì 18 gennaio 2013

“UNA RIVOLUZIONE CIVILE PER RICOSTRUIRE IL PAESE"




 UN PROGRAMMA PER GOVERNARE L’ITALIA


Vogliamo realizzare una rivoluzione civile per attuare i principi di uguaglianza, libertà e democrazia della Costituzione repubblicana.
Vogliamo realizzare un “nuovo corso” delle politiche economiche e sociali, a partire dal mezzogiorno, alternativo tanto  all’iniquità e alla corruzione del ventennio berlusconiano, quanto alla distruzione dei diritti sociali, del lavoro e dell’ambiente che ha caratterizzato il governo Monti.



VOGLIAMO UNA RIVOLUZIONE CIVILE:

·           per l’Europa dei diritti, contro l’Europa delle oligarchie economiche e finanziarie. Vogliamo un’Europa autonoma dai poteri finanziari e una riforma democratica delle sue istituzioni. Siamo contrari al Fiscal Compact che taglia di 47 miliardi l’anno per i prossimi venti anni la spesa, pesando sui lavoratori e sulle fasce deboli, distruggendo ogni diritto sociale, con la conseguenza di accentuare la crisi economica. Il debito pubblico italiano deve essere affrontato con scelte economiche eque e radicali, finalizzate allo sviluppo, partendo dall’abbattimento dell’alto tasso degli interessi pagati. Accanto al Pil deve nascere un indicatore che misuri il benessere sociale e ambientale;

·           per la legalità e una nuova politica antimafia che abbia come obiettivo ultimo non solo il contenimento ma l’eliminazione della mafia, che va colpita nella sua struttura finanziaria e nelle sue relazioni con gli altri poteri, a partire da quello politico. Il totale contrasto alla criminalità organizzata, alla corruzione, il ripristino del falso in bilancio e l’inserimento dei reati contro l’ambiente nel codice penale sono azioni necessarie per liberare lo sviluppo economico;

·           per la laicità e le libertà. Affermiamo la laicità dello Stato e il diritto all’autodeterminazione della persona umana. Siamo per una cultura che riconosca le differenze. Aborriamo il femminicidio, contrastiamo ogni forma di sessismo e siamo per la democrazia di genere. Contrastiamo l’omofobia e vogliamo il riconoscimento dei diritti civili, degli individui e delle coppie, a prescindere dal genere. Contrastiamo ogni forma di razzismo e siamo per la cittadinanza di tutti i nati in Italia e per politiche migratorie accoglienti;

·           per il lavoro. Non vogliamo più donne e uomini precari. Siamo per il contratto collettivo nazionale, per il ripristino dell’art. 18 e per una legge sulla rappresentanza e la democrazia nei luoghi di lavoro. Vogliamo creare occupazione attraverso investimenti in ricerca e sviluppo, politiche industriali che innovino l’apparato produttivo e la riconversione ecologica dell’economia. Vogliamo introdurre un reddito minimo per le disoccupate e i disoccupati. Vogliamo che le retribuzioni italiane aumentino a partire dal recupero del fiscal drag e dalla detassazione delle tredicesime. Vogliamo difendere la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro;

·           per le piccole e medie imprese, le attività artigianali e agricole. Deve partire un grande processo di rinascita del Paese, liberando le imprese dal vincolo malavitoso, dalla burocrazia soffocante. Vanno premiate fiscalmente le imprese che investono in ricerca, innovazione e creano occupazione a tempo indeterminato. Vanno valorizzate le eccellenze italiane dall’agricoltura, alla moda, al turismo, alla cultura, alla green economy;

·           per l’ambiente. Va cambiato l'attuale modello di sviluppo, responsabile dei cambiamenti climatici, del consumo senza limiti delle risorse, di povertà, squilibri e guerre. Va fermato il consumo del territorio, tutelando il paesaggio, archiviando progetti come la TAV in Val di Susa e il Ponte sullo Stretto di Messina. Va impedita la privatizzazione dei beni comuni, a partire dall’acqua. Va valorizzata l'agricoltura di qualità, libera da ogm, va tutelata la biodiversità e difesi i diritti degli animali. Vanno creati posti di lavoro attraverso un piano per il risparmio energetico, lo sviluppo delle rinnovabili, la messa in sicurezza del territorio, per una mobilità sostenibile che liberi l’aria delle città dallo smog;

·           per l’uguaglianza e i diritti sociali.  Vogliamo eliminare l’IMU sulla prima casa, estenderla agli immobili commerciali della chiesa e delle fondazioni bancarie, istituire una patrimoniale sulle grandi ricchezze. Vogliamo colpire l’evasione e alleggerire la pressione fiscale nei confronti dei redditi medio-bassi. Vogliamo rafforzare il sistema sanitario pubblico e universale ed un piano per la non-autosufficienza. Vogliamo il diritto alla casa e il recupero del patrimonio edilizio esistente. Vogliamo un tetto massimo per le pensioni d’oro e il cumulo pensionistico. Vogliamo abrogare la controriforma pensionistica della Fornero, eliminando  le gravi ingiustizie generate, a partire dalla questione degli “esodati”;

·           per la conoscenza, la cultura, l’informazione libera. Affermiamo il valore universale della scuola, dell’università e della ricerca pubbliche. Vogliamo garantire a tutte e tutti l’accesso ai saperi, perché solo così è possibile essere cittadine e cittadini liberi e consapevoli, recuperando il valore dell’art. 9 della Costituzione, rendendo centrali formazione e ricerca. Vogliamo valorizzare il patrimonio culturale, storico e artistico. Vogliamo una riforma democratica dell’informazione e del sistema radiotelevisivo che ne spezzi la subordinazione al potere economico-finanziario. Vogliamo una legge sul conflitto di interessi e che i partiti escano dal consiglio di amministrazione della Rai. Vogliamo il libero accesso a Internet, gratuito per le giovani generazioni e la banda larga diffusa in tutto il Paese;

·           per la pace e il disarmo. Va ricondotta la funzione dell’esercito alla lettera e allo spirito dell’articolo 11 della Costituzione a partire dal ritiro delle truppe italiane impegnate nei teatri di guerra. Va promossa la cooperazione internazionale e l’Europa deve svolgere un’azione di pace e disarmo in particolare nell’area mediterranea. Vanno tagliate le spese militari a partire dall’acquisto dei cacciabombardieri F35;

·           per una nuova questione morale ed un’altra politica. Vogliamo l'incandidabilità dei condannati e di chi è rinviato a giudizio per reati gravi, finanziari e contro la pubblica amministrazione. Vogliamo eliminare i privilegi della politica, la diaria per i parlamentari, porre un tetto rigido ai compensi dei consiglieri regionali e introdurre per legge il limite di due mandati per parlamentari e consiglieri regionali. Vogliamo una nuova stagione di democrazia e partecipazione.


Roma, 10 gennaio 2013         

giovedì 17 gennaio 2013

Le buone ragioni di Rivoluzione Civile

di Alberto Burgio

Se c'è un elemento caratteristico dell'attuale fase politica, questo è la potenza determinante del sistema mediatico. L'Italia, l'Europa, tutto il mondo capitalistico sono nella morsa di una crisi che sta scomponendo le società. Da una parte, la povertà vera. Strutturale, dilagante, senza prospettive di riscatto. Dall'altra, la concentrazione in poche mani di ricchezze immense, intraducibili in misure concrete. In mezzo, aree sociali precarizzate, che vedono messi a rischio i fondamenti stessi della propria condizione di vita: il reddito, l'occupazione, i diritti essenziali.

Ma se il quadro è di per sé limpido nella sua violenza, l'opinione pubblica non riesce a farsene un'immagine chiara, e non sa intravedere vie d'uscita. Oscilla tra angosce apocalittiche e attese fideistiche di uomini provvidenziali (si pensi alla santificazione di Monti al momento della sua incoronazione), appesa alla girandola di numeri che le viene quotidianamente propinata.
Lo spread, gli indici di Borsa, i tassi di cambio, numeri magici della cabala postmoderna. Quando diciamo che il 99% è contro uno stato di cose voluto dall'1%, ci raccontiamo una favola. Bella, ma, come ogni favola, ingannevole. Di certo la stragrande maggioranza è scontenta e spaventata, ma è anche confusa e disorientata e non sa a che santo votarsi.

La cifra del nostro tempo è questa: la cattura cognitiva dei corpi sociali, imprigionati in una gabbia - davvero un pensiero unico - che ne deforma la visuale, impedendo loro di vedere la situazione in cui si trovano. Non c'è discorso più pertinente di quello che fa Gramsci, nei primi anni Trenta, a proposito dell'«egemonia» come potente strumento di direzione politica. Nella consapevolezza - tratta appunto dalla gestione totalitaria dei mezzi d'informazione - che la produzione di un'immagine univoca della realtà e il convergente occultamento di aspetti rilevanti sono strumenti-chiave dell'organizzazione del consenso «spontaneo» e del controllo autoritario della società.

Ora chiediamoci: tale stato di cose incide nella situazione politica italiana di questi giorni? Influisce sulla campagna elettorale in vista del voto politico del 24 febbraio? Incide eccome. A tal punto che soltanto muovendo da questa premessa sembra possibile capire la posta in gioco nelle elezioni.
Proviamo a dirla così, con una semplificazione che aiuta a cogliere il punto: sotto gli occhi degli italiani viene quotidianamente squadernato un ricco catalogo di banalità utili ad accreditare l'idea che le maggiori coalizioni politiche (i tre poli, di centrosinistra, centro e centrodestra) divergano tra loro in modo significativo.

L'attenzione pubblica è deviata con cura verso questioni di dettaglio (dalle regole delle primarie all'interscambio trasformistico tra l'uno e l'altro polo), mentre si nasconde che in queste elezioni è in gioco la vita stessa - l'occupazione, il reddito, la salute, l'istruzione - di decine di milioni di cittadini. Agli italiani è così impedito di vedere l'essenziale: il fatto che tutte le maggiori forze politiche concordano sulla lettura della crisi e sulle ricette per affrontarla. E che per questa ragione esse hanno convintamente sostenuto Monti per oltre un anno, rivendicando come necessarie misure che hanno esasperato le ingiustizie (tagliando pensioni, salari e servizi), colpito diritti (l'articolo 18), depresso l'economia e aggravato la situazione debitoria del paese, senza scalfire di un millimetro rendite e grandi patrimoni (anzi, procurando loro ulteriori benefici).

Non è forse così? Del centrodestra e del Terzo polo lo sappiamo sin troppo bene. Con una mano demagogicamente deprecano le conseguenze della crisi (è necessario lisciare il pelo all'elettorato), con l'altra arraffano i dividendi delle politiche di «austerità»: l'anarchia del mercato, lo strapotere dell'impresa, la libertà di evadere o eludere il fisco, la privatizzazione delle risorse e delle istituzioni - non ultime le scuole, tanto care al Vaticano, che in queste elezioni gioca un ruolo determinante a sostegno di Monti e del fido Casini. E il centrosinistra? Diciamo le cose come stanno: non è lo stesso Bersani a ripetere, un giorno sì e l'altro pure, che austerità e rigore non si toccano, salvo farfugliare che cercherà di ridurre il tasso di iniquità delle decisioni di Monti? Il Pd non considera forse irrinunciabili le norme - dal pareggio di bilancio al fiscal compact - che daranno al prossimo governo, chiunque lo dirigerà, un alibi di ferro per perseverare nella macelleria sociale? Il segretario democratico non vede nel «libero mercato» la panacea per la fantomatica crescita? Non proclama che l'articolo 18 va bene così come l'ha conciato la professoressa Fornero?

E non definisce con orgoglio il proprio partito come il più europeista, il che non significa soltanto Maastricht e Lisbona, ma anche Merkel, Barroso e la dittatura del debito? Quanto a Sel, la firma in calce alla carta d'intenti ha messo in mora ogni buon proposito e riduce le parole del suo leader a un fiato di voce. Sel si è impegnata a seguire le decisioni del Pd e i suoi dirigenti sanno che al dunque dovranno attenervisi. Per disciplina e «senso di responsabilità».

Insomma, il «rigore» piace a tutti, o quasi. Non piace a Grillo, ma il suo movimento vede la degenerazione finanziaria solo per massimi sistemi, senza coglierne le drammatiche ricadute sul terreno dei diritti del lavoro. Non piace soprattutto a Rivoluzione civile, che dell'anti-montismo fa la sua bandiera. E qui il discorso chiama in causa noi, la sinistra coerentemente antiliberista e per ciò stesso esterna ai tre poli della «strana maggioranza» del cosiddetto governo tecnico: partiti, sindacati, associazioni e movimenti ancora vivi ma stremati dopo cinque anni di trionfante bipolarismo coatto e di lotte combattute alla macchia, con risorse minimali e nel silenzio della «grande» informazione.

Rivoluzione civile è ad oggi la sola forza di qualche rilievo che ponga un discrimine netto: rifiuto del neoliberismo (cioè primato del lavoro e dei suoi diritti, secondo quanto prescrive la Costituzione), fine della sovranità del capitale finanziario (spesso colluso con le mafie), restituzione dello scettro alla cittadinanza. Certo, nemmeno questo progetto è immune da pecche, ma di sicuro la critica di essere subalterno alla teologia del libero mercato non può essergli rivolta. Il programma di Rivoluzione civile parla di diritti del lavoro e solidarietà; di scuola e sanità pubbliche; di lotta alle mafie e di questione morale; di laicità e parità di genere; di disarmo, di libera informazione e di difesa dell'ambiente. C'è in questo decalogo qualcosa che non va, o manca qualcosa di essenziale?

Senonché la proposta di Ingroia incontra anche a sinistra riserve e freddezza. La cosa è sorprendente, e forse per capirne le ragioni non basterebbero gli strumenti tradizionali dell'analisi politica. Limitiamoci alle obiezioni fondamentali. Basta coi magistrati in politica, si dice. E poi: Ingroia non si è sbarazzato dei partiti, è fissato con la mafia, è (o aspira a essere) anche lui un leader, nel segno della personalizzazione della politica. Tutto ciò è, francamente, paradossale. È paradossale che si accusi la magistratura di protagonismo, invece di prendersela con quei settori della «società civile» che latitano, in tutt'altre faccende affaccendati. E lo è altrettanto - degna del peggior grillismo - l'accusa di non respingere i partiti della sinistra, come se in tutti questi anni essi non avessero fatto il possibile per sostenere movimenti e lotte.

Chi poi lamenta una monomania antimafia, dove crede di vivere? Forse presta fede alla rassicurante favola della «criminalità organizzata», e ignora che mezza Italia è governata da un doppio Stato che decide, ricicla, fa politica a tutti gli effetti, sequestrando la democrazia di questo paese. Soltanto l'ultima delle critiche sembra avere qualche fondamento. Ma poiché la personalizzazione della politica è un sintomo grave della transizione post-democratica in corso da un trentennio, proprio per questo non è giusto farne carico all'ultimo arrivato, né pretendere che una proposta politica appena nata vi si sottragga, rinunciando all'unico strumento in grado di darle in tempi brevi un minimo di visibilità.

Allora, cerchiamo di non guardare fissi il dito che invano indica la luna. Sono cinque anni che la sinistra italiana attende di uscire dalle catacombe. E se è certamente vero che il voto di febbraio non risolverà tutti i problemi - ché anzi il duro lavoro comincerà dopo - è altrettanto indubbio che senza un successo di Rivoluzione civile la sostanziale morte della sinistra politica in Italia sarebbe, per lungo tempo, una certezza. È singolare che tanti sembrino non capire che oggi un'esigenza prevale su tutte le altre: unire le opposizioni di sinistra contro Monti e i suoi eredi, più o meno progressisti.
Far sì che tornino a pesare le ragioni del lavoro, dei giovani, delle donne e del Mezzogiorno, antitetiche a quelle di tutti coloro che hanno governato in questi decenni, nel segno della sovranità del mercato. Ora, sul filo di lana, ci si presenta una possibilità per riuscirvi. Una possibilità - l'ultima - che sarebbe davvero imperdonabile sprecare.