Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia

Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia

giovedì 16 giugno 2011

Per una Costituente dei beni comuni


Il risultato dei referendum di domenica e lunedì scorso è la conferma di un profondo cambiamento che sta avvenendo nel paese e che già si era annunciato nelle elezioni amministrative. In questi giorni è stato sottolineato come i referendum segnalino la crisi organica delle destre, il declino di Berlusconi e l’attenzione sul nucleare suscitata dal disastro di Fukuscima. Il dato di fondo del referendum è però che il voto sull’acqua pubblica ci parla di una decisa inversione di tendenza dell’opinione pubblica del paese sulla questione delle privatizzazioni. Il tema dei beni comuni – a partire dall’acqua – è diventato la forma innovativa in cui si può parlare di pubblico.
Un pubblico qualificato dalla dimensione democratica e comunitaria e per questo non riconducibile in alcun modo alla stagione politica del clientelismo democristiano. Da questi referendum emerge inoltre una soggettività dei comitati e delle associazioni che ha costituito – insieme a pochissimi partiti, tra cui in primo luogo Rifondazione Comunista - il tessuto connettivo della raccolta delle firme prima e della campagna referendaria poi. All’interno di questo tessuto di partecipazione occorre poi sottolineare una straordinaria soggettività giovanile che riecheggia le forme di aggregazione e di partecipazione che abbiamo visto all’opera nel movimento altermondialista. Indubbiamente il risultato del referendum – come la straordinaria partecipazione giovanile verificatasi nella tornata amministrativa in alcune città - è il figlio legittimo della stagione di Genova e, proprio nel decennale, ne testimonia la natura tutt’altro che minoritaria.

Per tutti questi motivi ieri abbiamo giustamente festeggiato un risultato straordinario che è destinato a incidere nel profondo sul paese. Non solo sul terreno governativo e del rapporto tra le forze politiche, ma sul complesso delle culture politiche e delle forme della partecipazione politica.
Occorre però, parimenti, avere la consapevolezza politica che il risultato dei referendum sull’acqua è tutt’altro che acquisito.
Mentre per quanto riguarda nucleare e legittimo impedimento il referendum è – per così dire – immediatamente esecutivo, non è così per l’acqua. Non a caso da parte del governo stanno già emergendo spinte ad aggirare il risultato della consultazione attraverso le realizzazione di Autority, proposte di regionalizzazione, discorsi stravaganti sulla necessità comunque di remunerare il capitale. Sull’acqua esistono enormi interessi materiali in gioco e i loro interpreti stanno già mettendo le mani avanti per cercare di salvare il salvabile. Peraltro questa spinta non arriva solo da destra visto che il Pd ha avuto la faccia tosta di riproporre, pari pari, la propria legge sull’acqua che è ispirata ad un indirizzo politico del tutto contrastante con i referendum.

Il primo problema che abbiamo è quindi quello di bloccare le manovre che cercano di aggirare gli effetti del referendum sull’acqua e di imporre l’unica soluzione coerente con la volontà espressa dagli elettori e cioè quella di approvare rapidamente in Parlamento la legge di Iniziativa popolare promossa dai Comitati per l’acqua pubblica.
Per fronteggiare questa offensiva tesa a riproporre in modo strisciante la privatizzazione occorre sviluppare subito una battaglia politica e culturale nel paese, così come si tratta di lanciare, a partire dai referendum, una campagna generale sui beni comuni che allarghi il dibattito e l’iniziativa dall’acqua al complesso dei “commons” che vogliamo demercificare e sottrarre alla logica della privazzazione e del profitto. E’ infatti evidente che i beni comuni ci parlano di una trasformazione sociale radicale, in cui il soddisfacimento dei bisogni primari del genere umano sia sottratto alla logica del mercato. In cui i valori d’uso non debbano trasformarsi in merci, per dirla con Marx. I beni comuni ci parlano della possibile uscita dalla crisi attraverso la costruzione di una sfera pubblica partecipata e democraticamente gestita, sottratta tanto alla rendita quanto al profitto.
Per queste ragioni, di battaglia politica immediata e di prospettiva, avanziamo la proposta di dar vita ad una Costituente dei beni comuni. Proponiamo di consolidare le relazioni costruite in questi anni e di costruirne di nuove per dar vita ad una rete tra tutti i soggetti – comitati, associazioni, partiti – che sono interessati a condurre questa battaglia politica e culturale. Lucarelli ha parlato di Manifesto dei beni comuni, noi parliamo di Costituente dei beni comuni. Il problema non sta nella parola ma nella volontà politica di dare un seguito a questa straordinaria mobilitazione sociale, a questo senso civico diffuso, a questo senso comune anticapitalista, vivificando attraverso la partecipazione dal basso la possibilità di costruire un’alternativa degna di questo nome. Per noi infatti, la lotta allo sfruttamento e l’allargamento dei beni comuni sono le due facce della stessa medaglia che vogliamo mettere al centro dell’azione politica. Lo faremo come parte di un movimento più ampio, quello che in questi mesi ha saputo coagulare intorno a sé energie, individuali e collettive, che parevano consegnate all’oblio, suscitando passione e mobilitazione. Dal dialogo aperto e disinteressato fra queste forze vitali che hanno saputo riformulare l’agenda della politica italiana, può venire la spinta decisiva ad un cambiamento profondo e la ripresa del cammino della democrazia.


di Paolo Ferrero

lunedì 13 giugno 2011

Si! Si! Si! Si! Una vittoria di tutti!!


Affluenza al 57%. I SI oltre il 95%. Solo poche settimane fa, nessuno avrebbe immaginato un trionfo simile. E invece l’allarme globale dell’apocalisse di Fukushima, il radicamento capillare dei comitati per l’acqua e il vento di cambiamento che ha spazzato via l’egemonia berlusconian-leghista alle ultime amministrative, hanno spinto i quattro quesiti referendari oltre la ghigliottina del quorum.

Adesso è tempo di respirare a pieni polmoni e festeggiare, in compagnia dei tanti e tante che hanno lavorato per questo risultato. Da domani possiamo cominciare a ragionare e agire in un paese diverso da quello degli ultimi anni, un paese che ha scelto – su temi concreti e con strumenti inusuali di comunicazione e relazione – un’altra strada rispetto a tutte quelle percorse dai governi della cosiddetta Seconda Repubblica.

Uno che conosce bene le vicende del premier, Giuliano Ferrara, ha scritto parlato indirettamente della fine di un regime. E ha tirato fuori la fine del fascismo e rievocato l’amnistia di Togliatti ai fascisti all’indomani del crollo del regime per chiedere clemenza. Bisogna stare attenti ai colpi di coda, non abbassare la guardia e andare al cuore delle questioni. Forse la decadenza fisica e politica di Berlusconi seguirà un decorso lento e insopportabile. Forse proveranno a immolare il Capo per illuderci che qualcosa stia cambiando. Avevamo scritto che questi referendum, paradossalmente, servivano per costruire un altro paese e anche scacciare via la sindrome da populismo che rischia di assillare anche l’opposizione al berlusconismo.

Non c’è dubbio che questo risultato indichi alle opposizioni una strada chiara e inequivocabile che passa per la costruzione di un’alternativa e non per la riproposizione delle ricette lacrime e sangue di Tremonti e Bonanni magari solo in veste più civile. Ma bisogna anche dire che il dato referendario conferma quello delle amministrative: i partiti del centrosinistra, comunque immaginiate debba essere strutturata quella coalizione, da soli non riuscirebbero mai a fare la differenza.

Come questo surplus debba essere messo in moto è tutto da inventare. Servono meccanismi di partecipazione aperti e flessibili, nuove macchine politiche devono essere predisposte per aprire le stanze dei comitati centrali e delle direzioni ai milioni che in questa primavera hanno impresso una volta alla storia del paese. Che nessuno si illuda di ricondurre questi voti e il lavoro e le passioni di tanta gente alla contemplazione passiva delle manovre di palazzo.

In questi anni, la televisione ha sovente fatto la differenza. Ha plasmato forme di vita, ha occupato il campo della liberazione e del piacere per instaurarvi l’edonismo e l’individualismo. Ancora una volta, il governo aveva provato a muovere le sue truppe mediatiche. Non si erano limitati a ignorare la consultazione popolare. Avevano addirittura sabotato la notizia, diffondendo date sbagliate e arrivando a manipolare le previsioni del tempo per mandare la gente al mare.

Questa volta non è servito. Forse è la prima volta che ciò avviene. Ancora una volta dobbiamo fare riferimento alla fine della Prima Reòubblica, all’inizio di questa era. La Lega era nata dal nulla, senza l’appoggio di tv e giornali. Ma in quel periodo il rancore e la frustrazione aspettavano che qualcuno proponesse soluzioni facili e Bossi, il bugiardo di provincia che poi diventò il migliore alleato di Silvio, fece il pieno. Adesso è diverso. Grazie al cielo, non si vede all’orizzonte un capo carismatico e non esiste nessuna forza politica che possa rivendicare il monopolio dell’energia sociale che si è scatenata.

La bocciatura delle leggi ingiuste, del nucleare e delle privatizzazioni dei beni comuni, nascono dalla diffusione molecolare di un movimento che ha saputo trovare nuovi strumenti di comunicazione, diversi linguaggi, punti di vista plurali. Siamo contenti di avere, insieme a tanti altri e nel nostro piccolo, fatto il nostro dovere di agenti di connessione, riflessione e comunicazione. Continuiamo insieme verso la prossima sfida. Dal tenace ma precario punto di osservazione della nostra testata precaria brindiamo coi calici pieni. Non di acqua, questa volta…

mercoledì 8 giugno 2011


Magari sembrerà il problema minore, ma sarebbe bene tenere a mente che ci troviamo a dover votare il 12 e 13 Giugno perché il governo, tramite l’inutile Maroni, stabilì l’impossibilità di celebrare “l’election day”, cioè di accorpare il voto referendario a quello amministrativo del mese scorso. Si sarebbero risparmiati oltre 300 milioni di Euro, certo, ma pur di evitare che la consultazione elettorale amministrativa determinasse di per sé l’affluenza al voto referendario e, con essa, il raggiungimento del quorum, non si è badato a spese e nemmeno a espedienti.

Il terrore vero e proprio che pervade il governo Berlusconi-Bossi-Scilipoti è che gli italiani si pronuncino sui referendum, giacché difficilmente la scheda per loro più importante (quella sul “legittimo impedimento”) verrebbe ignorata nel momento in cui si vota per gli altri tre. Ed è fin troppo evidente che la pretesa di erigersi al di sopra della legge e di decidere egli stesso dei procedimenti giudiziari che lo vedono imputato, vedrebbe una bocciatura sonora nelle urne. Questo era quanto Berlusconi voleva evitare e, a questo fine, si é giocato anche gli ultimi brandelli di decenza politica.

Si deve ricordare che il governo ha tentato ogni mossa possibile per evitare il voto referendario: dapprima cercando di far annullare la consultazione con una furberia da retrobottega, firmando cioè un decreto che sospendeva il precedente, dove si annunciava il rilancio del nucleare. Successivamente, di fronte alla sentenza della Suprema Corte che confermava invece la procedibilità del pronunciamento referendario, ha dato mandato all’Avvocatura di Stato per inoltrare un ultimo, disperato ricorso, presso la Consulta affinché dichiarasse nulla la sentenza della Cassazione.

Sono stati gli ultimi tentativi, in ordine di tempo, per tentare di impedire ad ogni costo la celebrazione del referendum. E non solo perché i temi oggetto della consultazione riguardano direttamente gli affari privati del capo del governo e delle lobby finanziarie che l’hanno da sempre sostenuto, ma anche perché nel corso di questi anni sia da parte della Corte Costituzionale, sia da quella dei cittadini nelle urne referendarie, il governo Berlusconi è uscito a pezzi. Tanto la Consulta, infatti, come i cittadini, hanno respinto in ogni occasione, nei rispettivi ambiti e nelle diverse forme, le forzature anticostituzionali che il cesarismo del cavaliere tentava d’imporre al Paese.

Perché la riduzione della Carta a mero feticcio ideologico è stata, da sempre, l’ossessione del premier. Non per ignoranza giuridica, quanto meno non solo; ma perché l’idea proprietaria che Berlusconi ha delle istituzioni non può trovare concreta applicazione senza che il testo fondamentale sul quale le istituzioni esercitano il loro compito perda efficacia. Questa è stata la madre di tutte le battaglie ingaggiate dal cavaliere in 17 anni di vita politica. Nel perdurare del piagnisteo sulle “mani legate” che il governo avrebbe, intendendo con ciò l’insieme delle norme previste dall’ordinamento costituzionale,

Berlusconi ha tentato con volgare pervicacia forzature istituzionali ad ogni occasione possibile, indifferente ai richiami delle autorità istituzionali che tentano di far comprendere a lui e ai suoi guardasigilli la differenza tra una Repubblica e un sultanato. Avendo una maggioranza parlamentare che risponde ai suoi interessi personali, Berlusconi ha ritenuto che, forte del potere esecutivo e legislativo, potesse sopraffare quello giudiziario.

Il tentativo costante è stato infatti quello di porre il governo al di sopra delle altre istituzioni, cercando d’imporre il volere dell’esecutivo a scapito dei poteri del legislativo e del giudiziario e di porre il ruolo del capo del governo in supremazia nei confronti del capo dello Stato. Insomma, un modo per trasformare la Costituzione in carta riciclabile.

Ha cercato di perseguire l’obiettivo con un modo scorretto nella forma (giacché non predisposto secondo quanto previsto dall’art.138 della Carta) e pessimo nella sostanza (in quanto i provvedimenti erano palesemente viziati dall’interesse privato dei proponenti), di dichiarare l’avvenuto superamento del dettato costituzionale a vantaggio di una “Costituzione di fatto”, che altro non è se non l’affermazione di una volontà proprietaria privata della cosa pubblica da parte del premier e delle sue cricche. Insomma la riproposizione di quello che Antonio Gramsci definiva “il sovversivismo delle classi dirigenti”.

Per fortuna, la democrazia italiana, con tutti i limiti politici conosciuti, ha dimostrato di avere una tenuta forte, garantita sia dalle istituzioni sia dai cittadini. In questo senso é difficile vedere nel voto referendario solo un pronunciamento nel merito dei quesiti e non coglierne il senso politico generale di un’occasione per assestare un altro colpo durissimo al governo Berlusconi.

Di Pietro afferma che il voto referendario non dev’essere un giudizio sul governo: l’intento è quello - comprensibile - di portare al voto anche gli elettori del centrodestra che sono comunque contrari al nucleare, alla privatizzazione della rete idrica e, perché no, anche alle leggi “ad personam”, ma che, probabilmente, non vogliono utilizzare l’occasione referendaria per colpire nuovamente il governo.

C’è però un doppio dato, tutto politico, che non può essere taciuto in funzione tattica: i quesiti referendari sono, per contenuto, una battaglia politica contro la manifestazione esantematica di un morbo turboliberista.

Privatizzare i servizi idrici aumentandone il costo, diminuendone la qualità e limitandone la distribuzione è un esempio chiaro di come il governo (e forse anche qualcuno all’opposizione) intende la cosa pubblica: smantellamento dei servizi pubblici locali come occasione d’affari per le lobbies a scapito degli interessi popolari.

Abolire la norma che obbliga i sindaci alla privatizzazione dei servizi pubblici locali si dice chiaramente cosa si chiede all’amministrazione delle comunità. Ricorrere al nucleare, poi, significa piegare l’economia, l’ambiente e la sicurezza del Paese alle lobby dell’atomo, dopo aver scatenato guerre per conto di quella del petrolio.

Il “legittimo impedimento” è la proposizione di un’idea della giustizia basata su un concetto semplice, che prevede un doppio binario di applicazione, uno per le persone comuni ed uno per i potenti. La riforma della giustizia, necessaria e non procrastinabile, diventerebbe così l’ingiustizia che diventa legge.

Il voto, proprio perché di contenuto e quindi politico, servirà anche per il futuro. Il ceto politico, di centrosinistra o di centrodestra che sia, deve ricevere un messaggio forte e chiaro: il berlusconismo è al crepuscolo perché anche l’ideologia di cui è portatore ormai non ha più senso comune, se mai l’ha avuto.

Welfare, diritti, ambiente, giustizia giusta, lavoro e sviluppo sono i punti da cui si ricomincia dopo aver archiviato la notte oscura della democrazia. Ci si può sedere a terra occupando piazze o impugnando schede e invadendo le urne: sono due modi diversi e ugualmente legittimi di far capire cosa si vuole e, soprattutto, cosa non si vuole più. L’ubriacatura liberista è finita. Chi vuole capire capirà.

di Fabrizio Casari


lunedì 6 giugno 2011

Lettera aperta al Sindaco.

Caro Bruno,

in qualità di capogruppo e consigliere comunale sono a scriverti in merito ad uno spiacevole inconveniente che mi è capitato nello svolgimento delle mie funzioni all'interno del consiglio comunale.

Come ben saprai i consiglieri hanno diritto di ottenere dagli uffici del Comune ed enti da esso dipendenti tutte le notizie, informazioni ed atti utili all'espletamento del proprio mandato.

I consiglieri, nell'esercitare l'iniziativa relativamente ad atti e provvedimenti, si possono avvalere, per la redazione tecnica ed al fine di acquisire i necessari pareri, degli uffici comunali competenti.

I consiglieri hanno, altresì, il diritto di ottenere copia degli atti e dei provvedimenti del Comune, delle istituzioni, delle società a cui partecipa il Comune, senza alcun onere, e di consultare i verbali delle riunioni degli organi deliberanti degli enti suddetti; di ottenere copia degli atti, anche istruttori ed interni, intendendosi per tali anche quelli di altri enti, che per ragioni di ufficio siano in possesso del Comune. Io ho sempre cercato di esercitare questo diritto con coscienza, rettitudine e correttezza nei confronti di tutti, anche per rispetto degli elettori che mi hanno affidato questo mandato.

Premesso questo, ti espongo la spiacevole vicenda di cui ti dicevo all’inizio della lettera: da metà aprile ho provato più volte a mettermi in contatto telefonico con l'ufficio urbanistica, anche lasciando dei messaggi agli impiegati degli altri uffici, per avere delucidazioni e approfondimenti su alcuni documenti che erano passati in Consiglio Comunale.

Nonostante i ripetuti tentativi, non sono mai riuscito a trovare in sede il responsabile, e non essendo stato ricontattato da nessuno, ho deciso alla fine di inviare una mail con la richiesta scritta della documentazione che mi occorreva.

Sono passati altri giorni e non avendo ricevuto risposte, ho inoltrato al protocollo la richiesta di accesso agli atti, ribadendo nuovamente la necessità di ottenere tali documenti.

Solamente alla fine del mese di maggio ho ricevuto una mail in cui il responsabile dell'ufficio urbanistica, Arch. Manganelli, mi rispondeva che i documenti richiesti erano consultabili presso l'ufficio, mentre la convenzione urbanistica, redatta dallo stesso ufficio, non era in loro possesso ma reperibile presso l'ufficio del Segretario dott. Gamberucci.

Premesso che ognuno di noi che lavoriamo in Consiglio Comunale ha le proprie esigenze e i propri problemi familiari e nessuno svolge questa attività pubblica per professione, perciò non sempre si ha la disponibilità e il tempo di potersi recare presso gli uffici nel loro orario di apertura, se non usufruendo di permessi o ferie; non mi è quindi comprensibile né accettabile la risposta che mi è stata data, secondo la quale avrei potuto visionare la documentazione solamente andando di persona a consultarla nell’ufficio competente, quando oggi è possibile trasformare qualsiasi documento in formato elettronico senza dispendio di tempo e di costi per l'amministrazione.


Quindi ho risposto alla mail dell'Arch. Manganelli che non mi interessava consultare tali atti in ufficio, ma che ovviamente volevo una copia, cartacea o digitale, dei documenti, e per conoscenza ho inviato la risposta anche al Segretario il quale, secondo quanto scritto dall'Arch. Manganelli, doveva essere in possesso della suddetta convenzione.

Quello che non capisco è come mai solo il responsabile dell'ufficio urbanistica abbia questo particolare atteggiamento nei miei confronti, di non farsi trovare, anche telefonicamente, oppure di prendere più tempo possibile prima di rispondermi, senza alcuna spiegazione plausibile.

Posso capire che sicuramente l'ufficio sarà oberato di lavoro, ma che non trovi il tempo per rispondere al telefono ad un consigliere per delle importanti delucidazioni, oppure per inviare la documentazione richiesta per posta elettronica, mi sembra veramente esagerato, visto che dall'ufficio ragioneria a quello dei servizi anagrafici, all'ufficio affari generali, alla polizia municipale, fino ai lavori pubblici, mi è capita di richiedere spiegazioni e documenti di ogni tipo, sia tramite mail, sia telefonicamente, e non ho mai riscontrato problematiche di questo tipo, anzi, c'è sempre stata la più ampia collaborazione nei miei confronti, ed io ho ricambiato con rispetto e comprensione, per il lavoro che fanno e per il ruolo che ricoprono.

Ritengo che in questa vicenda da parte dell'ufficio urbanistica ci sia stata una mancanza di disponibilità ma sopratutto una mancanza di rispetto tra amministratori e responsabili degli uffici, che eppure dovrebbero collaborare, lavorando tutti insieme nella stessa amministrazione comunale.

In tal senso chiedo a breve giro di posta un incontro chiarificatore, congiuntamente agli altri capigruppo, per capire quali motivi inducono uno degli uffici più importanti della nostra amministrazione a comportarsi in tal modo, e se il fatto che mi siano state date risposte incomplete e inesatte è dovuto a negligenza, oppure solo a superficialità. Vorrei inoltre sapere se ci sono stati altri episodi del genere che hanno coinvolto altri consiglieri, come dobbiamo comportarci in questi casi, puntualizzando una volta per tutte le modalità d'accesso agli atti da parte dei consiglieri, e come gli uffici competenti devono attenersi nei nostri confronti.

In attesa di una sollecita risposta, porgo i miei più cordiali saluti.