Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia

Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia

giovedì 18 agosto 2011

Io sto con "Sbilanciamoci" La contromanovra!



La manovra varata dal governo Berlusconi è disperata, iniqua e senza futuro. Questo provvedimento, come i precedenti, non affronta in modo strutturale il problema del debito e non mette in campo misure significative per il rilancio dell’economia. Il problema principale è proprio questo: si affronta la crisi solo sul fronte dei tagli della spesa pubblica (prevalentemente la spesa sociale), mentre non vi è una misura credibile capace di rilanciare l’economia. Anzi, questa manovra, come la precedente, ha un impatto depressivo e recessivo: comprime la domanda interna, i consumi, i salari e con essi la produzione.

A questi due elementi negativi – l’estemporaneità dei tagli e l’assenza di misure per il rilancio dell’economia- si aggiunge il forte carattere iniquo della manovra a danno dei lavoratori (in particolare i dipendenti pubblici) i pensionati ed in generale i cittadini: il taglio, pesantissimo, ai trasferimenti agli enti locali e alle regioni si tradurrà in minori servizi ed in maggiori tributi. Ancora una volta non vi sono significative misure contro l’evasione fiscale e i grandi patrimoni. Il “contributo di solidarietà” sui redditi Irpef più alti è solo una misura estemporanea e parziale eche evita da una parte una vera riforma in senso progressivo dell’Irpef (anche a favore delle aliquote più basse) e dall’altra fornisce l’alibi per non introdurre la tassazione dei grandi patrimoni. Lo stesso innalzamento dal 12,5% al 20% dell’imposizione fiscale sulle rendite è ancora insufficiente (sarebbe stato più equa un’imposizione al 23%) e non comprende i possessori (tra cui in gran parte le banche) dei titoli di stato.

Fino ad oggi il governo ha sbagliato praticamente tutto, diffondendo inutile ottimismo, negando la crisi, limitandosi ad interventi di facciata, aspettando inerzialmente la ripresa internazionale, non colpendo i grandi patrimoni e la finanza, salvando gli evasori fiscali, non mettendo in campo interventi strutturali per rilanciare l’economia, colpendo la dignità del lavoro ed il ruolo del sindacato, tagliando le spese sociali.

Contro il provvedimento del governo Sbilanciamoci propone una manovra di 60miliardi, di cui 30 da destinare alla riduzione del debito e 30 da destinare al rilancio dell’economia al lavoro, alla difesa del welfare .

Da una parte -sul fronte delle entrate: è necessario colpire i grandi patrimoni con una imposta ad hoc, tassare ulteriormente i capitali rientrati dall’estero grazie allo scudo fiscale, ridurre le spese militari, cancellare le grandi opere. Una tassazione dei patrimoni del 5%1000 -con una limitata franchigia per i patrimoni più bassi- porterebbe un’entrata in due anni di 21miliardi euro; una tassazione aggiuntiva del 15% sui capitali rientrati grazie allo scudo, ben 15 miliardi; ed il combinato di riduzione del 20% delle spese militari, della cancellazione del programma dei caccia F35, della fine della missione in Afganistan e della cancellazione delle grandi opere, darebbe oltre 10 miliardi di euro.

Dall’altra -sul fronte degli interventi: almeno 30 miliardi- è necessario investire nella green economy (energie pulite, mobilità sostenibile, ecc), nelle piccole opere pubbliche (messa in sicurezza delle scuole, ferrovie locali, ecc), nella ricerca e nell’innovazione. Nello stesso tempo è necessario difendere i redditi più bassi (con detrazioni ed altri interventi fiscali, aumentando le pensioni minime), allargare lo spettro degli ammortizzatori sociali ai lavoratori parasubordinati (intriducendo per i monocomittenti, misure analoghe a quelle previste per i lavoratori a tempo indeterminato), rafforzare la rete dei servizi sociali (asili nido, introduzione dei livelli essenziali di assistenza, fondo non autosufficienza, ecc).

E’ questo il cambio di rotta di cui il paese avrebbe bisogno: una politica economica diversa, un modello di sviluppo alternativo a quello delle scelte neoliberiste di questi anni capace di ridare speranza e futuro ad un paese piegato in questi anni dalla logica dei privilegi e degli interessi dei più forti. Le proposte ci sono ed è ora che anche il sindacato e le forze di centro sinistra si incontrino in tempi brevi con i movimenti sociali e l’associazionismo per rendere credibile un’alternativa comune alle scelte di questo governo.

Giulio Marcon

Portavoce Campagna Sbilanciamoci!



Proponiamo, ora, contro il provvedimento del governo una manovra di 60miliardi, di cui 30 da destinare alla riduzione del debito e 30 da destinare al rilancio dell'economia, al lavoro e alla difesa del welfare.


Da una parte -sul fronte delle entrate- è necessario colpire i grandi patrimoni con una tassa ad hoc, tassare i capitali rientrati dall'estero, ridurre del 20% le spese militari, cancellare le grandi opere.


Dall'altra-sul fronte degli interventi-è necessario investire nella green economy, nelle piccole opere pubbliche, nella ricerca e nell'innovazione. Nello stesso tempo è necessario difendere i diritti dei lavoratori, dei pensionati, dei cittadini: difendere i redditi più bassi, allargare lo spettro degli ammortizzatori sociali, rafforzare la rete dei servizi sociali e della tutela dei più deboli.


Fino ad oggi il governo ha sbagliato praticamente tutto: diffondere inutile ottimismo, negare la crisi, limitarsi ad interventi di facciata, aspettare inerzialmente la ripresa internazionale, non colpire i grandi patrimoni e la finanza, salvare gli evasori fiscali, non mettere in campo interventi strutturali per rilanciare l'economia, voler colpire la dignità del lavoro ed il ruolo del sindacato.


E' ora di cambiare strada.


Solo costruendo una politica ispirata, da una parte, al rigore e dall'altra all'equità sociale e dall’altra, al rilancio di un'economia diversa -sostenibile e di qualità- si può dare al paese il senso di un impegno rivolto alla ricostruzione di un'idea di futuro e di speranza, di un modello di sviluppo diverso da quello che abbiamo fino ad oggi conosciuto e che ci ha portato alla drammatica crisi che stiamo vivendo.



Le proposte di Sbilanciamoci per il biennio 2012-2013


La nostra contromanovra a quella di ferragosto del governo



ENTRATE

2012-2013


USCITE

2012-2013





Politiche fiscali


Rilancio dell'economia


Rendite finanziarie al 23%

4000

Sostegno alla green economy

4000

Tassa patrimoniale - 5%1000

21000

Programma piccole opere

1500

15% sui capitali rientrati (scudo)

15000

Innovazione e ricerca

1400

Tassa pubblicità e diritti televisivi

980

Mobilità sostenibile

900

Tassazione veicoli per CO2

1000

Agricolt. biologica e altreconomia

300





Riduzione spesa pubblica


Lavoro e redditi


Riduzione spesa militare

4000

Ammortizz. sociali per co.pro

3400

Open Source nella PA

4000

Pensioni, reddito minimo

8000

Fine missione Afghanistan e F35

2750



Abolizione fondi scuole private

1400

Welfare


Riduzione costi politica

3000

Livelli essenziali di assistenza

3150

Chiusura CIE

230

Piano nazionale asili nido

1500

Cancellazione grandi opere

2750

Servizio civile

400



Interventi per i migranti

300



Casa e canoni agevolati

800



Fondo per la non autosufficienza

800







Scuola e università




Fondo di funzion. università

1400



Borse di studio

800



Edilizia scolastica

700



Offerta formativa

750







Riduzione del debito

30010

















Totale

60110

Totale

60110


mercoledì 17 agosto 2011

PRIVATIZZAZIONI : IL POPOLO HA RITIRATO LE DELEGHE

Con l’alibi della crisi finanziaria e sotto l’egidadella Banca Centrale Europea, il Governo Berlusconi ha deciso una manovra da macelleria sociale basata sulle stesse politiche liberiste che hanno prodotto la crisi.

In particolare, ha deciso di considerare la vittoria referendaria dello scorso giugno come un banale incidente di percorso che, se impedisce (per il momento) ai poteri forti di allungare le mani sull’acqua, senz’altro permette la riproposizione dell’obbligo di privatizzazione per tutti i servizi pubblici locali “a rilevanza economica”.

Fa da contraltare la cosiddetta opposizione del PD, che si scaglia contro l’obbligo di privatizzazione, ma solo perché ne preferisce la libera scelta, fatta per piacere e senza imposizioni.

C’è qualcosa che continua a non essere chiaro al mondo politico e ai grandi capitali finanziari.

Con il voto referendario del 12 e 13 giugno scorsi, la maggioranza assoluta del popolo italiano ha deciso di ritirare due deleghe fino ad allora assegnate.

La prima delega ritirata è stata quella al mercato, dopo oltre due decenni di ideologia liberista basata sul “privato è bello” e sulla drastica riduzione del ruolo del pubblico : con il suo voto, il popolo italiano ha rivendicato la ripubblicizzazione del servizio idrico integrato, la sua gestione partecipativa e la difesa dei beni comuni.

Una necessità di riappropriazione sociale contro un mercato pervasivo che ha assoggettato l’intera vita delle persone alla valorizzazione finanziaria, relegandola nell’universo della frammentazione sociale e della solitudine competitiva.

La seconda delega ritirata è stata quella alla politica istituzionale, dopo oltre due decenni di ipnosi sociale, basata sull’informazione verticale e unidirezionale dello strumento televisivo : con il suo voto, il popolo italiano ha preso atto della crisi, profonda e irreversibile, della democrazia rappresentativa, e ha rivendicato il diritto di poter decidere sui beni comuni che a tutti appartengono.

Riproporre con diktat autoritario le politiche di privatizzazione, come ha fatto il Governo Berlusconi, con la copertura politica di un’opposizione in stato comatoso, l’assenso delle cosiddette “parti sociali” e la benedizione del Presidente della Repubblica, significa voler far finta di non capire ciò la straordinaria esperienza del movimento per l’acqua ha rappresentato : la fine di un ciclo politico e culturale e l’avvio di una inversione di rotta, dentro la quale il nuovo linguaggio dei beni comuni diventa, da mera costruzione teorica, pratica sociale e di conflitto.

A questo proposito, tanto il mondo politico istituzionale –di governo e di opposizione- quanto il mondo dei poteri forti economico-finanziari è bene sappiano che i movimenti per l’acqua e per i beni comuni non staranno seduti a guardare.

La manovra che prevede la fotocopia del decreto Ronchi (seppur esentando il servizio idrico integrato) impatta direttamente con quanto la maggioranza assoluta degli italiani ha deliberato con il voto referendario : per questo verrà impugnata, nelle forme e nei modi più opportuni, davanti alla Corte Costituzionale.

E, per quanto riguarda l’acqua, nessuno si illuda che basti un decreto che –bontà sua- la esenta dal nuovo tentativo di consegna forzata all’appropriazione privata : la doppia vittoria dei SI ai quesiti referendari ha detto chiaramente che l’acqua va sottratta al mercato e che la gestione del servizio idrico non dovrà prevedere profitti.

Ciò significa che le tariffe vanno obbligatoriamente ridotte della quota relativa alla remunerazione del capitale investito e che, territorio per territorio, la gestione dell’acqua deve uscire dalla forma societaria della SpA ed essere affidata alla gestione partecipativa dei cittadini, dei lavoratori e delle comunità locali.

Se questo non è ancora chiaro, sarà la mobilitazione dei movimenti per l’acqua, a livello nazionale e territoriale, ad esplicitarlo nei prossimi mesi.

Senza sconti per nessuno e con la consapevolezza di essere i custodi del voto referendario e della diffusa domanda di democrazia.

Sarà un autunno caldo quello che sta arrivando : servirà molta acqua per rinfrescare le lotte.

Marco Bersani (Attac Italia)

martedì 16 agosto 2011


Quella varata dal governo Berlusconi, sotto dettatura dalla Bce e dalla Germania, non è solo una manovra economica. E' una grande rivoluzione conservatrice che usa il potere dello stato per stravolgere i rapporti tra le classi sociali e uscire dal compromesso democratico che ha caratterizzato il secondo dopoguerra.
Nella manovra si privatizza tutto il possibile e si demolisce il welfare. Nessuno capirà più perché bisogna pagare le tasse ad uno stato che non ti da nulla in cambio o che ti obbliga a pagare una altra volta i servizi attraverso le tariffe.
Nella manovra si accoglie in pieno la richiesta della Fiat di demolire il contratto nazionale di lavoro aprendo la strada ad una pesantissima ulteriore riduzione salariale e frantumazione della classe.
Nella manovra si attaccano in modo pesante i lavoratori pubblici, si aumenta l'età per andare in pensione, soprattutto per le donne ma non solo.
Nella manovra si demolisce il sistema delle autonomie locali e delle regioni e si usa la polemica contro la casta per tagliare la democrazia nel paese.
Nella manovra si modificherà la Costituzione per rendere eterne le politiche neoliberiste che sono già state costituzionalizzate a livello europeo.
Parallelamente non si toccano i ricchi, quel decimo che possiede la metà della ricchezza italiana, non si tocca l'evasione fiscale e non si prende nessuna misura contro la speculazione finanziaria, nemmeno col divieto di vendita allo scoperto che altri paesi europei applicano normalmente.
Una manovra ingiusta, recessiva, che non colpisce la speculazione e che scardina la democrazia del paese.
Contro questa manovra occorre costruire il massimo di opposizione possibile.
Per essere efficaci non basterà però pronunciarsi contro i tagli. Infatti la manovra è stata costruita e giustificata in nome dell'emergenza e della necessità di battere la crisi e la speculazione. In assenza di una spiegazione generale diversa, è molto probabile che le singole persone siano contrarie alla manovra ma che poi pensino non ci sia null'altro da fare perché "i mercati hanno deciso così", "l'Europa ha deciso così", ecc. Vi è cioè una ideologia dominante - condivisa da quasi tutto l'arco politico e dai mezzi di comunicazione di massa - che deve essere messa in discussione pena l'inefficacia della nostra azione politica.
Il primo punto per essere efficaci contro la manovra è quindi spiegare che questa manovra non serve a nulla contro la speculazione e che per battere questa occorre rimettere regole ai mercati finanziari. Nei giorni scorsi abbiamo avanzato varie proposte che qui non riprendo.
Il secondo punto è di spiegare che la manovra è recessiva e quindi aggraverà la crisi, portandoci in una situazione di tipo Greco. La manovra aggrava la crisi e porta i conti pubblici allo sfascio in quanto riduce il Pil e tendenzialmente le entrate fiscali.
In terzo luogo occorre prospettare una alternativa a questa manovra. La nostra proposta di una tassa sui grandi patrimoni al di sopra del milione di euro può portare 20 miliardi di entrate, così come altri miliardi possono arrivare dalla nostra proposta di dimezzare le spese militari e gli stipendi delle caste. La nostra battaglia contro la manovra deve quindi essere fatta in nome di altre misure da proporre, comprensibili a livello di massa.
In quarto luogo occorre spiegare a cosa serve la manovra dal punto di vista delle classi dirigenti italiane. Questa manovra serve a tagliare ulteriormente il costo del lavoro e a trasformare i lavoratori in servi senza diritti. Nella crisi della globalizzazione neoliberista le nostre classi dirigenti ritengono che l'Italia deve essere più povera, deve ridurre drasticamente il livello di vita medio, salvaguardando i privilegi di quel dieci per cento che deve continuare a farsi i fatti propri. Deve diventare una specie di "enclave cinese" che produce in subfornitura per la Germania, così come pensa la Lega Nord da tempo.
Dobbiamo quindi costruire l'opposizione a questa manovra nella consapevolezza che si tratta di una manovra costituente e che per sconfiggerla occorre rompere la cappa ideologica che la giustifica. Occorre cominciare da subito e nel giornale di oggi troverete un primo manifesto da utilizzare "artigianalmente". Occorre cominciare dai territori, organizzando assemblee di spiegazione, volantinaggi, informazione. Occorre avere chiaro che non basta gridare allo scandalo ma occorre spiegare bene e prospettare l'alternativa. Per questo la costruzione di una campagna sulla patrimoniale che indichi una possibile soluzione diversa è un punto centrale della nostra azione nelle prossime settimane. Ovviamente chiediamo lo sciopero generale, appoggeremo ogni iniziativa di mobilitazione a partire da quelle già decise dal sindacato di base e operiamo per costruire mobilitazioni politiche nazionali. Questa volta però occorre lavorare prima nei territori, con la gente, per spiegare che l'alternativa esiste e fornire un punto di vista chiaro sulla crisi e su come uscirne.

di Paolo Ferrero


giovedì 11 agosto 2011

Appello all'unità dei comunisti, uniti vinceremo!!

Diciamo no alle alleanze con il centrosinistra, e sì all'Unità dei Comunisti.

Siamo un gruppo di compagne/i appartenenti alla moltitudine dei partiti comunisti e alla diaspora.

La situazione sempre più reazionaria della destra e il comportamento sempre più complice dei partiti borghesi (PD e SEL), la mancata risposta dei partiti comunisti, la poca credibilità e la subalternità
al PD e alla nuova sinistra moderata nonchè i comportamenti settari e autoreferenziali, ci impongono di scendere in piazza, subito prima dei due congressi del Pdci e del PRC, rivolgendoci però a tutti i partiti comunisti.. Questa volta la manifestazione la faremo in casa – tra comunisti- e siamo convinti che le dirigenze di tutti i nostri partiti, sensibili alle rivendicazioni, alle richieste ed alle volontà dei loro compagni, non si esimeranno dal darne seguito e risposta.
Dopo quindici anni di tattiche erronee e sempre simili a se stesse, dopo decenni di disfatte e revisionismi, è ora di dire basta con la subalternità al governismo e alle alleanze a tutti i costi col PD.
Eliminare la destra del paese è un compito per noi prioritario ed ineludibile ed è per questo che ci battiamo da sempre nelle piazze per raggiungere questo obiettivo che però non può più essere
strumentalizzato per sostenere un futuro governo di centrosinistra che flirta con Confindustria, sostiene le missioni militari all'estero ed è in linea con i poteri forti come Vaticano e BCE. Abbiamo ormai un'esperienza e un bilancio chiaro sulle esperienze fallimentari dei governi di centrosinistra che portano tutti a dover riconoscere che questa prospettiva è a sua volta nemica dei lavoratori e del popolo
italiano.

Consci che la eventuale presenza di quattro parlamentari in un parlamento che, al di là dei giochi di ruolo e dei copioni, è compatto a favore dei padroni, non modificherà di una virgola le
decisioni filo-capitalistiche e le controriforme dei partiti del cosiddetto "centrosinistra". Crediamo sia venuto il momento definitivo per ricominciare a costruire un partito alternativo, autonomo ed in opposizione anche al PD e ai suoi accoliti.

Un partito che sia avanguardia, che sia riconoscibile nelle lotte e nelle scelte politiche come strumento per la lotta di classe, un partito che non tentenni tra lo stare dalla parte dei lavoratori o degli accordi scandalo sottoscritti in campo sindacale, un partito presente e unitario,che lotti senza compromessi per l’eliminazione del precariato e della legge 30.

Un partito dunque che si riconosca nei principi comunisti tutti i giorni e a tutti i livelli. Un partito che non abbia paura a fare opposizione e che lo faccia mettendo sempre al centro gli
interessi e i programmi delle classi subalterne che deve rappresentare, che non sia morbido verso le scelte politiche o sindacali solo in prossimità di appuntamenti elettorali,che tralasci
gli opportunismi a chi dell'opportunismo è maestro e per questo inviso da noi compagni e compagne.

Un partito che sia credibile e non sia oggi contro la TAV senza se e senza ma e che poi invece frena e concede in vista di possibili accordi elettorali futuri con il PD, che non sia a parole per l'acqua pubblica e la sanità pubblica, ma contemporaneamente preghi per l’unità con sinistra e libertà che calpesta queste parole d’ordine a partire dalla Puglia, che non sia per la pace e contro le guerre imperialiste ma contemporaneamente supino alle alleanze con i guerrafondai del centrosinistra e lo supporti nel finanziare le missioni militari.

Tutto questo è film già visto e ci ha portato all'ulteriore declino e frammentazione, se non al vero allontanamento, abbandono e disaffezione di validi compagni all'impegno politico. Chiediamo un atto di coraggio e di discontinuità.

La dimostrazione che i comunisti sono diversi e alternativi al modello di società dominante, nella questione morale, nelle lotte, negli obiettivi da perseguire e nella prospettiva di
costruire una società diversa. La dimostrazione che il vertice ascolti e incarni i sentimenti politici della base che dovrebbe rappresentare e che si vuole lottare, uniti, per la classe lavoratrice, i precari,
le donne, gli immigrati ed i pensionati a basso reddito, e non che si lavora per avere una poltrona con scorciatoie che non modificano nulla degli assetti presenti e che al contrario compromettono la nostra
credibilità.

Non ci interessano le lotte interne, non ci interessano le complicità sottobanco con altri, ci interessa tornare ad essere orgogliosi di definirci tesserati di un "Partito Comunista". Non accetteremo di nuovo di piegarci ai ricatti della "Grande alleanza democratica" (2004) o di nuove alleanze subalterne variamente dipinte in questi quindici anni. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, nessuna utilità, nessuna crescita, al contrario,solo disillusione da parte dei compagni che si sentono ogni volta sempre più traditi.
Pertanto, la priorità su cui ricostruire questo Partito non può essere solo quella di tornare in Parlamento, soprattutto se non vincoliamo questo ritorno a un preciso programma tutto a vantaggio della classe e
non a sostegno dei poteri forti.

Parallelamente chiediamo l'inizio di un percorso condiviso verso una costituente aperta e partecipata, che porti alla realizzazione dell'unità dei comunisti, a un programma
minimo anticapitalista e antimperialista e che non sia un progetto calato dall'alto stabilito a tavolino e per quote, ancora una volta lontano dai compagni e da tutte/i le/i comuniste ma frutto di un
lavoro e di una discussione seria e costruttiva.

Un percorso condiviso che coinvolga tutte le diverse realtà comuniste disponibili e non solo un'unità tra i vertici di due partiti, ma l'apertura di una reale Costituente Comunista che dia vita ad una concreta opposizione di classe, contro lo squalo capitalista, contro il patto sociale, contro gli accordi truffa, supportati dal centrodestra e dal centrosinistra.
Noi chiediamo con coraggio e convinzione che ci sia una svolta realmente a “sinistra” e dal “basso”.


Per sostenere con forza questi obiettivi diamo appuntamento a tutti i compagni e tutte le compagne, a
Roma, sabato 22 ottobre 2011, alle ore 15.00 sotto la sede della Federazione della Sinistra, per far sventolare di nuovo, con orgoglio, tutti insieme la nostra bandiera rossa.

lunedì 8 agosto 2011

Un ricordo di Massimo Bontempelli

Domenica sera 31 luglio si è spento a Pisa Massimo Bontempelli. Docente di Storia e Filosofia, era nato nel 1946. In gioventù, negli anni ’70 -’80, è stato militante in alcune formazioni della nuova sinistra: nel gruppo del Manifesto, nel PDUP di Lucio Magri e, infine, in Democrazia Proletaria.

A partire dagli anni ’80 Bontempelli ha concentrato le proprie attenzioni sulla scuola ed in particolare sull’ attività didattica e scientifica, ritenendola una modalità di impegno civile e politico per lui più efficace della militanza tradizionale. In questa sua ricerca ha elaborato e pubblicato diversi testi scolastici tra cui i manuali di storia per i licei in collaborazione con il Prof. E. Bruni (in particolare Storia e coscienza storica, Trevisini, Brescia 1998) e quelli di filosofia in collaborazione con il Prof. F. Bentivoglio ( Il senso dell’Essere nelle culture occidentali, Trevisini, Brescia 1992).

All’attività scolastica ha affiancato un impegno sindacale, militando nei Cobas Scuola fin dalla loro origine, partecipando a diverse iniziative culturali dei Cobas e del CESP e ricoprendo anche il ruolo di RSU presso il Liceo G. Galilei di Pisa.

Sul piano scientifico ha pubblicato numerosi lavori di storia e di storiografia filosofica tra i quali si ricordano: una biografia di Gesù reinterpretato in ottica laica (Gesù uomo nella storia Dio nel pensiero, CRT, Pistoia, 2000), una lettura della Filosofia di Hegel ( Filosofia e realtà, CRT, Pistoia 2000), un pamphlet di critica delle riforme scolastiche degli anni ’90 ( L’agonia della scuola italiana, CRT, Pistoia 2000).

La radicalità e l’onestà intellettuale che lo hanno sempre contraddistinto lo hanno portato, negli ultimi anni, ad un atteggiamento sempre più critico verso le derive della sinistra, che riteneva ormai incapace di distinguersi ideologicamente e politicamente dalla destra: per questo aveva intrapreso percorsi di ricerca e di studio non ortodossi rispetto alla tradizione marxista e di sinistra, suscitando riflessioni e discussioni accese, ma mai banali, sulle prospettive del cambiamento sociale e culturale nel nostro Paese. Ne sono testimonianza i due libri prodotti in collaborazione con Roberto Massari : La sinistra rivelata. Il Buon Elettore di Sinistra nell'epoca del capitalismo assoluto (con M. Badiale), «Quaderno di Utopia rossa» n. 2, 2007, e il saggio I cattivi maestri in I Forchettoni rossi. La sottocasta della "sinistra radicale", Quaderni di Utopia rossa, 2007.

Negli ultimi anni il suo pensiero si è orientato verso i temi della critica ambientalista al modello di sviluppo economico contemporaneo con la pubblicazione di alcuni lavori sui temi della decrescita e della crisi economica come occasione di cambiamento positivo ( Marx e la decrescita, Abiblio, 2010).

Massimo era un compagno ed un intellettuale intransigente sul piano culturale, morale e politico che, nella sua vita, ha sempre rifiutato scelte opportunistiche e di compromesso e per questo è stato emarginato dalla cultura ufficiale, anche e soprattutto da quella di sinistra.

Lo spessore culturale e politico del suo pensiero resta nei suoi scritti e nella sua coerenza morale, culturale e politica . Ci mancherà molto ma faremo tesoro della grande eredità che ci ha lasciato.

Cobas Scuola

"Un impegno costante a difesa della giustizia e della verità"

Il ricordo dell'amico e collega Fabio Bentivoglio dopo la scomparsa di Massimo Scrivere, oggi, una nota in ricordo di Massimo Bontempelli mi è possibile soltanto perché sono ancora in quella sorta di limbo emotivo che da un lato consente di registrare mentalmente l'incredibile notizia della sua scomparsa, dall'altro non consente ancora, per quanto mi riguarda, di cogliere per intero la smisurata voragine che mi si è aperta dentro. Parlare con distacco della sua vita mi è impossibile, perché la sua vita è stata anche la mia. Trent'anni fa, quando in questo Paese si facevano ancora i concorsi pubblici per accedere alla professione insegnante, era necessario studiare e approfondire i contenuti di esame. Conobbi Massimo in occasione di una serie di lezioni da lui tenute a questo scopo. Mi riconosco un merito: dopo poche lezioni compresi subito di trovarmi di fronte a un personaggio eccezionale di cui intuivo una profondità di pensiero che corrispondeva a quello che con passione cercavo nella filosofia. Da quel momento nacque un sodalizio culturale che avrebbe costituito uno degli assi portanti della mia esistenza, non solo professionale. Le sue analisi storiche, filosofiche, sociali, anche nelle loro punte di massima astrazione, finiscono sempre per dare fondamento teorico a un impegno politico teso ad affermare il valore irrinunciabile della giustizia. Massimo ha scritto pagine e opere memorabili su questo e su tanti altri temi, e fatico a contenere la mia indignazione nel vedere come i suoi scritti siano stati colpevolmente ignorati dai circuiti ufficiali della cultura. Ma quegli scritti sono lì e devono essere raccolti, ordinati, letti e discussi per rendersi conto del posto che Massimo deve occupare nel panorama della cultura italiana, e per rendersi conto di come in un mondo di intellettuali di cartapesta esistano ancora potenti testimonianze di rigore culturale, di onestà e amore della verità.E forse è proprio questo che rendeva Massimo un intellettuale scomodo, ma scomodo davvero, temuto dagli apparati: perché ci si trovava di fronte ad un'intelligenza straordinaria non disponibile ad essere piegata ad alcun interesse particolare, perché Massimo quell'intelligenza l'ha messa al servizio dell'essenza della filosofia, cioè dell'amore per la verità e quindi dell'amore per la giustizia, al di fuori di qualsiasi convenienza, al di fuori di qualsiasi appartenenza politico-identitaria. In trent'anni mai una volta che abbia ceduto di un millimetro quando in gioco c'era il valore della coerenza intellettuale. In trent'anni mai una volta che lo abbia visto cedere anche lontanamente alla malattia del narcisismo; mai una volta che abbia privilegiato la convenienza, spesso anche strameritata, all'amicizia e al valore dei rapporti umani. E poi, soprattutto, ha commesso un reato oggi insopportabile: nessuno scarto tra le sue idee scritte e la sua vita pratica. Un intellettuale con le sue doti avrebbe potuto anche senza grandi compromessi occupare posti di privilegio e cattedre importanti. Massimo Bontempelli ha dato tanto, tantissimo, a chiunque gli si avvicinasse con desiderio di conoscenza, in una misura che è difficile poter anche immaginare. Ci ha insegnato con la semplicità della sua vita, con la sua incredibile disponibilità, con la sua umanità che davvero un altro mondo è possibile. Ciascuno di noi, in coscienza, se vuole ricordare Massimo, rifletta sul valore di questo suo insegnamento.

Fabio Bentivoglio

venerdì 5 agosto 2011

La rivolta dei richiedenti asilo


Molti cittadini arabbiati si riversano su una strada statale. La polizia li attende in massa. Partono i lacrimogeni. Partono anche i sassi e qualunque altra cosa possa essere tirata. Questa scena sta diventando sempre più consueta. È accaduto a Mineo il 27 luglio scorso, è accaduto a Bari il primo agosto è accaduto a Crotone il 2 e accadrà ancora. Questi cittadini in tasca non hanno un documento italiano bensì ghanese, burkinabé, del Mali o della Costa D’Avorio. A scatenare la rabbia dei manifestanti, richiedenti asilo, originari dall’Africa subsahariana ma provenienti dalla Libia in guerra, è la lentezza o peggio il diniego delle loro pratiche per ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato. E nei mesi di attesa sono cotretti nei Centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara).

A Bari in ventotto sono finiti agli arresti e portati nel carcere del capoluogo pugliese e in quello di massima sicurezza di Trani. Devono rispondere di accuse pesantissime: resistenza a pubblico ufficiale aggravata dall’uso di armi improprie, violenza privata nei confronti degli automobilisti bloccati, lesioni personali aggravate nei confronti di agenti e militari, blocco ferroviario. Don Angelo Cassano, parroco della chiesa di San Sabino a Bari, da sempre in prima fila nella difesa dei migranti e tra gli ideatori della rete antirazzista, in questi giorni è attivissimo. “Molti vivevano e lavoravano in Libia con un regolare permesso di soggiorno e con le loro famiglie – spiega il parroco – sono scappati a causa della guerra. Le commissioni di esame stanno funzionando a rilento, la maggior parte delle richieste esaminate sono state respinte perché hanno considerato che potevano tornare nei loro paesi di provenienza una volta lasciata la Libia. Solo ai libici è stato concesso l’asilo”.
Il 3 agosto a Bari si è svolto un incontro tra la Regione e il sottosegretario Mantovano, previsto da tempo. All’ordine del giorno la rivolta dei migranti del Cara si è aggiunta alla criminalità e all’ordine pubblico. Mantovano ha annunciato che le commissioni verranno cambiate, ma del permesso umanitario, rivendicazione principale delle proteste, non se ne parla. Una mossa retorica secondo don Angelo, che sottolinea come serva “una volontà politica di considerare queste persone come profughi in fuga da una guerra alla quale l’Italia partecipa”. Migranti e antirazzisti hanno tenuto un presidio per tutta la giornata davanti alla Regione.

La situazione nei Cara è infatti peggiorata molto da gennaio a oggi. “Dopo la questione tunisina, le difficoltà sono sempre più numerose. Il governo ha creato un clima di continua emergenza”, spiega don Angelo. La stessa analisi è condivisa da chi lavora sul campo in Calabria, dove il 2 agosto un gruppo di nigeriani diniegati ha dato vita a un blocco stradale nei pressi del Cara di Isola Capo Rizzuto. “Il Piano nazionale di accoglienza messo a punto dalla Protezione civile prevede l’accoglienza dei richiedenti asilo nelle strutture alberghiere – spiega Enza Papa, dell’associazione La Kasbah di Cosenza – e ciò nonostante diversi sindaci, a cominciare da quello di Riace Domenico Lucano, si siano resi disponibili ad accoglierli. I comuni sono stati completamente scavalcati e il Sistema di protezione dei richiedenti asilo [Sprar] di fatto è in corso di smantellamento. Eppure in Calabria esiste una legge regionale, disegnata sul modello di accoglienza di Riace, ma viene completamente ignorata perché ormai tutto è in mano alla Protezione civile”.

I blocchi stradali di Mineo, Bari e Crotone sono l’ultimo sfogo di una protesta che va avanti da mesi. A Mineo, in Sicilia, la Rete antirazzista catanese ha appena lanciato una campagna nazionale per chiedere la chiusura del “Villaggio della solidarietà. Tra i circa duemila richiedenti asilo del Cara aperto a marzo l’esasperazione è arrivata al limite. I mediatori culturali sono pochissimi, non si hanno notizie sullo stato delle richieste e i tempi della commissione esaminatrice sono, anche qui, troppo lunghi.
Eppure, sottolinea in un comunicato la Rete antirazzista catanese, “è possibile attivare percorsi virtuosi di accoglienza e di reale inserimento sociale persino risparmiando: 20-23 euro al giorno per rifugiato a fronte del contributo oscillante dai 40 a 52 euro che il governo versa agli enti che gestiscono i Cara (a Mineo, fino al 30 luglio, la Croce rossa italiana, ente individuato dal governo senza l’indizione di un bando pubblico, nulla fa pensare che andrà meglio con la subentrante Protezione civile)”. Come si spiega, quindi, l’esistenza del Cara di Mineo? Per la Rete antirazzista catanese si tratta di un “modello di esclusione e di emarginazione che non ha motivo di esistere, se non per dipingere i richiedenti asilo, costretti a fuggire dai loro paesi, come un’emergenza nazionale tale da giustificare la militarizzazione del territorio e la gestione clientelare delle risorse”.

A Bari le proteste vanno avanti dal 20 giugno: i richiedenti asilo del Cara hanno dato vita a un’agenda fitta di manifestazioni e presidi per ottenere il permesso umanitario. “In questi mesi, in quanto reti antirazziste abbiamo chiesto una presa di posizione forte alla Regione Puglia e al presidente Nichi Vendola – spiega don Angelo Cassano – non bisognava aspettare l’altro ieri per farlo. Anche il governo regionale e il comune di Bari sono responsabili della situazione. Ci troviamo di fronte a delle insolvenze. Si sta giocando una partita politica sulla pelle dei migranti”. E di questa partita, la Puglia, terra di confine dove si sovrappongono Cara, Cie, la tendopoli di Manduria e lo sciopero dei braccianti di Nardò, non poteva che essere l’epicentro.

“Nulla a che vedere però con una ‘cabina di regia’ – insorge don Angelo – C’è da indignarsi dopo l’articolo di Repubblica pubblicato il 3 agosto”. Secondo Repubblica, “il sospetto degli investigatori è che dietro i migranti ci sia una cabina di regia. La stessa che ha dato vita ai disordini anche a Mineo e Crotone. Gli inquirenti infatti indagano su possibili infiltrati nella protesta che avrebbero organizzato la rivolta a livello nazionale”. “È incredibile – prosegue don Angelo – non si vuole leggere la rabbia, l’esasperazione, proprio come a Rosarno. È miope insinuare questi sospetti e non vedere cosa sta succedendo”.

Noncuranti delle insinuazioni che si diffondono sulla stampa, migranti e reti antirazziste si stanno dando da fare. Nel pomeriggio di sabato 6 agosto ci sarà un’assemblea a Nardò. “Stiamo cercando di mettere insieme i diversi pezzi, per lanciare dalla Puglia un collegamento delle reti antirazziste in tutta Italia”. Anche in Calabria si è svolto un incontro dei sindaci ad Amantea per organizzare l’accoglienza. Un’emergenza di indignazione e solidarietà, che risponde alle emergenze inventate dal governo.

giovedì 4 agosto 2011


Sulla Convenzione Regione - Province – Comuni capoluogo, per la gestione associata del Trasporto Pubblico Locale (TPL) Rifondazione Comunista ha rilevato consistenti criticità.


Innanzitutto non è stato rispettato la volontà degli elettori che con il referendum è stato abrogato il 23 bis della Legge 138 del 2008 che obbligava la messa in gara dei servizi pubblici a rilevanza economica e quindi anche del TPL.


Ci sono punti che a parere nostro andrebbero rivisti.

Il primo riguarda la decisione di assumere l’ambito regionale come ambito territoriale ottimale. Infatti se esso ha una logica per il trasporto su ferro, non lo ha per niente per il trasporto pubblico su gomma. I territori della Toscana sono molto diversi tra di loro , variano da aree fortemente urbanizzate – si pensi alla piana Firenze/Prato/Pistoia - ad altre caratterizzate da una maggiore rapporto territorio/abitanti, per non parlare delle aree montuose o con frazioni disperse o isolate. La via della centralizzazione in questo caso contrasta con la necessità di dare una risposta a tutti/e i cittadini e le cittadine e al loro diritto costituzionale ad una mobilità pubblica.

Il nostro secondo punto di dissenso è che le aree meno popolate – e dunque proprio quelle che hanno bisogno di una presenza del trasporto pubblico – saranno penalizzate dalla nuova riorganizzazione del servizio pubblico. Cosa che è confermata dal fatto che la convenzione attiva una procedura di bando che stralcia le aree a domanda debole da quelle più appetibili da un punto di vista economico (quelle a domanda forte). Mentre i "servizi minimi" sono dentro al lotto unico di gara (nessun accenno, però, di cosa s'intende per servizi minimi...)

Il terzo punto riguarda il destino dei lavoratori del settore che, in caso di un drastico ridimensionamento del servizio, rischiano il posto o il peggioramento delle condizioni di lavoro e salariali. La convenzione si accontenta di richiamare le clausole sui bandi e la cessione dei rami di azienda che obbliga i vincitori della gara a mettersi in carico personale e mezzi dell’aziende che prima svolgevano il servizio.

Ma proprio la conformazione della Convenzione stessa con lo stralcio delle corse a domanda debole, ci dice già che il vincitore della gara risponderà a quei vincoli esclusivamente per le corse vinte (le più remunerative) mentre lascerà agli enti locali e alle loro già scarse risorse la possibilità o meno di soddisfare le esigenze di quelle corse che non rientreranno nel minimo dei servizi definiti essenziali. Questo significherà il licenziamento di una percentuale di autisti e di personale che varierà dal 10 al 20% degli attuali organici (diverse centinaia di posti di lavoro). Per questo non abbiamo voluto essere corresponsabili di approvare la convenzione.

Il rilancio del trasporto pubblico è per noi una architrave per rispondere alla crisi economica che è anche crisi dell’attuale modello di sviluppo e per ridisegnare città a misura di persona e libere finalmente da smog e inquinamento acustico.