Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia

Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia

giovedì 27 maggio 2010

Manovre per un macello..... sociale!!

C'è un solo nemico, per questo governo: il lavoro. Ed è anche l'unica botte da cui spillare qualche goccia di reddito extra. La «manovra correttiva» da 24 miliardi non lascia alcun dubbio, nonostante l'evidente sforzo di spalmare su una marea di voci differenti l'effetto delle «manganellate».


La riduzione delle «spese della politica» o degli emolumenti ai supermanager pubblici è poco più di una trovata di marketing, mentre l'entità delle sottrazioni - in termini di salario, vita lavorativa, servizi in meno o più costosi - è al momento incalcolabile.


E' chiaro che il taglio di 1.000 euro fatto a chi ne guadagna 100.000 l'anno è inavvertibile, mentre quattro anni di blocco salariale - eroso da un'inflazione che non dorme nemmeno in tempi di crisi - per chi ne guadagna 20.000 (o molto meno) è una bastonata intollerabile. Specie se con quello stipendio dovrai pagare più tasse scolastiche o universitarie per i tuoi figli, bollette gonfiate, pedaggi anche sulle strade fin qui gratuite.


E' il destino riservato ai dipendenti pubblici, che vanno già preparando mobilitazioni. Persino dal «comparto sicurezza» (polizie varie) sale il malumore, al punto da chiedere ora apertamente il «diritto di sciopero».
Ma è anche un governo che ha il terrore della conoscenza scientifica, quella che sgombra il campo dalle opinioni da imbonitore e stabilisce - temporaneamente - una qualche verità. L'elenco degli istituti di ricerca aboliti da questa manovra è impressionante. E accomuna sia carrozzoni che si credevano scomparsi (come il «comitato Sir»), sia presìdi fondamentali della ricerca italiana.


E' comunque una manovra «depressiva», perché comprime i redditi e quindi i consumi in settori sociali di grandi dimensioni.
In ogni caso, stiamo qui a raccontare non un testo nero su bianco, ma quanto hanno riferito ai giornalisti i protagonisti degli incontri avvenuti ieri a palazzo Chigi: rappresentanti degli enti locali, dei sindacati, delle associazioni di categoria. L'unica cifra fatta sono i 24 miliardi in due anni citati dal ministro dell'economia, Giulio Tremonti. Persino Romano Colozzi, assessore regionale (Pdl) in Lombardia, ha dovuto ricalcolare - raddoppiandola - la stima del taglio operato nei confronti delle Regioni.


Tremonti aveva promesso di «ridurre il perimetro dello stato» e lo sta facendo. E del resto occorre uno stato più debole, se si vogliono lasciare campi aperti agli animal spirits del libero mercato. Vedremo meglio nei prossimi giorni in cosa può consistere l'accorpamento degli enti previdenziali, ad esempio; da cui certo si possono ottenere «grandi risparmi» ma, se mal «orientati», sulla pelle di assistiti che non hanno poi più difesa alcuna.


Facciamo l'esempio annoso della sanità. Qui si sceglie la strada delle «limature» a diverse voci di bilancio, alcune persino sensate (acquisti centralizzati, costi certificati, ecc). Nulla si fa contro il vero cancro che fa levitare i costi della sanità pubblica: le convenzioni con cliniche private. Un meccanismo di privatizzazione strisciante, visto che «per convenzione» il pubblico deve garantire alle cliniche una quota di degenti, pagando anche le relative rette. Ma quelle cliniche possono privatamente procurarsi altri degenti (veri o falsi) accollandone egualmente i costi al «pubblico». L'ennesima conferma è venuta dalla Corte dei Conti, che ha disposto il sequestro delle cliniche laziali della famiglia Angelucci, che può vantare un onorevole (Antonio) del Pdl.


E' infine un governo che ama la guerra. I risparmi derivanti dallo scioglimento degli enti pubblici (scientifici e non) saranno destinati al rifinanziamento delle missioni militari all'estero. «Di pace», ovviamente, come impone la «neolingua» in uso in Italia.


22 ARTICOLI TRA "STIME" E TAGLI VERI (PER IL LAVORO)


Condono: sanatoria per gli «immobili fantasma» scoperti dall'Agenzia del territorio, pagando solo un terzo della sanzione prevista. Gettito previsto: 2 miliardi. Ma nella manovra si parla di 6. Probabile quindi un condono edilizio totale (anche per altri immobili irregolari), magari tramite l'emendamento di un singolo deputato per «salvare la faccia» di Tremonti (che lo ha escluso). I comuni potranno incamerare un terzo del ricavato fiscale dagli abusi scoperti.


Pensioni: riduzione delle finestre di uscita a una soltanto (due per chi matura i 40 anni di contributi) e ritardo a sei mesi per il pagamento delle liquidazioni per il pubblico impiego. Elevamento dell'età pensionabile a 65 anni per le donne nel pubblico impiego: andrà a regime dal 1 gennaio 2016 anziché dal 2018..


Statali: congelamento degli stipendi fino a tutto il 2013, proroga del blocco del turnover al 20%, divieto di stipulare contratti precari per le sostituzioni; taglio del 5% delle retribuzioni dei dirigenti, ma solo per la parte eccedente i 90.000 euro annui.


Enti locali: tagli proporzionali ai trasferimenti ricevuti (5 miliardi secondo Tremonti, 11 secondo le Regioni), per un totale di 10 miliardi in due anni. Spese della politica: ministri e sottosegretari perdono il 10% sulla parte eccedente gli 80.000 euro (esempio: uno stipendio da 100.000 euro scende a «soli» 98.000), così come dei compensi per i componenti gli organi di autogoverno (tutte le magistrature); dimezzato il contributo ai partiti (era 1 euro a voto).


Protezione civile: salta la gestione dei «grandi eventi», limiti più stringenti per i casi in cui utilizzare «poteri straordinari», limiti anche alle deroghe contrattuali nel trattamento del personale relativo.


Pedaggi: estesi anche alle strade di connessione con le autostrade (come il Grande raccordo anulare di Roma).


Redditometro: revisione dei criteri (accertamenti nel caso di scarto superiore al 20% tra reddito dichiarato e accertato).


Enti pubblici: soppressi Isae, Isfol, Ispesl, Ipsema, Ice e tanti altri; trasferito ad altri enti il personale a tempo indeterminato, a casa i precari di lungo corso.
Stock option e bonus: aliquota più alta del 10% per le retribuzioni «accessorie» che siano il triplo della paga-base. Tracciabilità assegni: torna a 5.000 euro il livello minimo (una misura volta da Vincenzo Visco, che Berlusconi aveva fatto portare a 12.550). E' l'unica vera, per quanto piccola, ipotesi «anti-evasione». Invalidità: aumento dal 74 all'80% di invalidità per poter avere una pensione; 200.000 accertamenti in più per scoprire gli abusi.


Sanità: più acquisti centralizzati, sistema dei «costi standard», riduzione della spesa farmaceutica ospedaliera (più «generici»). Non si è parlato di reintroduzione dei ticket sulle visite specialistiche, ma non sono esclusi (fa parte di un contenzioso ancora da risolvere tra governo e regioni).


Roma capitale: per finanziare il piano di rientro del Comune è prevista uan tassa di 10 euro per tutti coloro che alloggeranno negli alberghi romani.



Anche il Rapporto annuale dell'istituto nazionale di statistica che è stato presentato in questi giorni parla chiaro: a pagare le spese della crisi sono i giovani, gli stranieri, le donne.

Ora sì che capiamo perché il governo sta cogliendo l’occasione della recessione per mettere a tacere enti pubblici di ricerca come l’Isfol, l’Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori, l’Isae, l’Istituto di studi e analisi economica, lo Ias che si occupa invece di affari sociali: basta vedere l’efficacia con cui il Rapporto annuale dell’Istat, presentato disegna l’Italia al tempo della crisi quella che fino a poco tempo fa per Berlusconi non c’era.

Sono dunque tre, secondo l’Istat a sua volta già colpito dalla scure di Brunetta i «punti di fragilità» che hanno operato «congiuntamente» per aggravare la crisi nel nostro paese: «Squilibri di entità notevole nel settore finanziario (da dove la crisi ha tratto origine), nel settore immobiliare e nella bilancia dei pagamenti».
Motivo per cui, nel 2009, per la prima volta dagli anni novanta il potere d’acquisto per le famiglie «consumatrici» subisce una riduzione del 2,5 per cento, proseguendo la tendenza del 2008 che era molto inferiore, con un meno 0,9 per cento. La famiglia resta l’unico vero «ammortizzatore sociale», ma il 15,3 per cento presenta tre o più «categorie di deprivazione»: rientra nella categoria, ad esempio, pagare un affitto.

Dice poi l’Istat che cala il tasso di occupazione, e aumenta la disoccupazione, e non è una novità. Aggiunge però che «si accentua la profonda distinzione lavorativa fra italiani e stranieri, con questi ultimi collocati maggiormente nei settori produttivi meno qualificati e a bassa specializzazione». Il tasso di occupazione degli italiani (56,9 %), si è ridotto nel 2009 di oltre un punto percentuale rispetto al 2008, ma la flessione per gli stranieri supera i due punti (dal 67,1 al 64,5 %). Allo stesso modo, il tasso di disoccupazione per gli italiani è dell’8,2 per cento, e per gli stranieri raggiunge il 12,6. Il primo però è aumentato nel 2009 di poco più di un punto percentuale, il secondo di quasi quattro punti.

I più colpiti dalla crisi, dice ancora l’Istat, sono i ragazzi e le ragazze. L’Italia, in Europa, «vanta» il più alto numero di giovani che non lavorano e non studiano: nel nostro paese sono oltre 2 milioni. Il loro numero è molto cresciuto nel 2009, e oltre un milione di questi si trova nel Mezzogiorno.

Cresce inoltre, e non stupisce, il numero di quelli che non riescono ad andare via di casa. Rispetto al 1983, la quota di chi vive in famiglia tra i 30-34enni è triplicata. I motivi sono economici (40,2 %) o di studio (34,0 %), che poi in realtà è la stessa cosa: gli studenti sono costretti a restare a casa per terminare gli studi perché costano troppo, e soprattutto perché nelle città universitarie non ci sono case (o stanze) a prezzi abbordabili. D’altro canto il 19,2 per cento dei giovani fra i 18 e i 24 anni abbandonano gli studi senza aver conseguito il diploma della scuola superiore: e qui siamo 4 punti sopra la media Ue, 9 punti sopra il valore fissato dalla strategia di Lisbona.

Dice ancora l’Istat che «nel conseguimento dei titoli superiori continua a pesare una forte diseguaglianza legata alla classe sociale della famiglia di provenienza degli studenti, anche considerando le differenti generazioni». Il 12,2 % del totale degli iscritti al primo anno delle superiori abbandona il percorso d’istruzione non iscrivendosi all’anno successivo, e un ulteriore 3,4 % lascia alla fine del secondo anno.

Accade, di nuovo, particolarmente nel Mezzogiorno, con abbandoni al primo e al secondo anno pari rispettivamente al 14,1 e al 3,8 % e un milione e 200 mila giovani fra 15 e 29 anni non ha letto neanche un libro nel corso del 2009 o non ha mai utilizzato un personal computer.
E infine, le donne. Per quanto riguarda l’occupazione femminile, il tasso di occupazione è sceso nel 2009 al 46,4 per cento: il più basso in Europa, a parte Malta.




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