Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia

Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia

mercoledì 7 aprile 2010

10 punti di riflessione sulle prospettive del PRC e della Federazione della sinistra dopo il voto

Occorre tornare sul risultato elettorale delle regionali perché, come mi pare si sia potuto cogliere anche nel recente Consiglio della Federazione della sinistra, esso può essere interpretato in vari modi. Inoltre, i diversi giudizi conducono inevitabilmente verso prospettive differenti. I dieci punti che seguono sono il tentativo di leggere in modo obiettivo il risultato elettorale, ma soprattutto vogliono trarre prime conclusioni sulla prospettiva che si apre per il PRC e per la Federazione

1 La prima questione, essenziale, è l’interpretazione del successo del centro-destra ( perché di questo si tratta). Non si è trattato di un successo in termini di voti ( perché semmai vi è stata una flessione), quanto della straordinaria capacità di tenuta elettorale, pur in una situazione quanto mai sfavorevole, che ha consentito allo stesso centro-destra di conservare la propria forza e di conquistare il governo in altre quattro regioni. Gli effetti di questa vittoria si possono già misurare ora: rafforzamento dell’asse Berlusconi – Lega (unica vera vincitrice), rilancio dell’offensiva istituzionale (con lo scambio fra federalismo e presidenzialismo e ancor di più la riforma della giustizia, garanzia dell’impunibilità del premier) e prevedibile offensiva sociale (dall’art. 18, al sistema pensionistico, ai diritti). Su questa lettura del risultato non dovrebbero esservi dubbi. Il punto sul quale invece occorre porre l’attenzione è la simmetrica sconfitta dell’opposizione, che è intaccata anch’essa dall’astensionismo crescente ( in ciò evidenziando dinamiche del tutto diverse da quelle francesi) e che perde consensi elettorali ( dalle forze del centro-sinistra alla stessa UDC), con l’unica eccezione dell’affermazione delle liste Grillo in alcune regioni. La sostanza della sconfitta dell’attuale linea del PD sta nell’essersi illusi che fosse possibile battere il centro-destra attraverso essenzialmente una operazione di geometria politica, allargando semplicemente il sistema di alleanze al centro, anche a prezzo di torsioni moderate e rotture a sinistra. La lezione da trarre è semplice ma molto impegnativa: senza una straordinaria capacità di promuovere l’opposizione, connettendola con le non irrilevanti manifestazioni di resistenza sociale che sono in atto, senza un sostegno vero alle battaglie a difesa del lavoro e dei diritti, senza una limpidezza nella collocazione e nelle pratiche, il centro-destra non solo non è scalfito nei rapporti di forza, ma consolida la sua egemonia in pezzi rilevanti della società italiana.

2 Questa constatazione, tuttavia, ha delle implicazioni anche per quanto riguarda la lettura del nostro voto e su questo, invece, a me pare vi sia nel nostro dibattito, ma soprattutto in quello della Federazione, un’impostazione insoddisfacente e che, talvolta, emergano posizioni non condivisibili. Non si tratta tanto del giudizio complessivo. E’ del tutto evidente che dal punto di vista elettorale in senso stretto l’arretramento rispetto alle europee è negativo, anche se sarebbe sbagliato dare un giudizio catastrofico. Il punto è che questa flessione rispetto alle europee era annunciata perché nei mesi scorsi tutti i segnali andavano in questa direzione. Ciò significa che essa non è tanto il risultato della tattica elettorale utilizzata (sulla quale avrò modo di soffermarmi successivamente), quanto – assai di più – del deficit di iniziativa politica e sociale della Federazione e del suo profilo ancora indefinito.

3 La questione fondamentale sta quindi nella nostra credibilità. In questo sta a mio avviso la connessione con il tema generale che emerge dal dato elettorale a cui ho accennato in precedenza. Il deficit di opposizione e di capacità di rappresentare la domanda sociale investe, insomma, anche noi. Nella sostanza, a me pare che non siamo riusciti a ridare senso – nella materialità dell’attuale condizione sociale – ad una scelta anticapitalista e comunista. Io temo, anzi, che in queste elezioni la Federazione sia stata percepita più come l’interprete di una storia, che come il soggetto promotore di un cambiamento, che all’evocazione di un processo di riaggregazione a sinistra non abbia fatto seguito la capacità di dare il senso di una sua effettiva utilità sociale. Nel dibattito in corso nella Federazione, invece, si elude un confronto vero su questi nodi e molto spesso ci si limita al richiamo ai limiti organizzativi che hanno gravato e che gravano sulla sua operatività. A tale proposito, la richiesta di accelerare tout court il processo di costituzione della Federazione se riflette il bisogno di superare una condizione di provvisorietà, nasconde, io penso, la sottovalutazione di questi limiti di fondo e la ricerca della classica scorciatoia organizzativistica.

4 Un secondo ordine di considerazioni riguarda la questione delle scelte elettorali compiute. A me pare che in talune interpretazioni presenti nella Federazione, ma anche nel nostro partito, si tenda ad attribuire il risultato elettorale insufficiente ad un’inadeguata politica delle alleanze. L’enfasi posta sulla sconfitta in Campania e Lombardia e la continua sottolineatura sull’effetto del “voto utile” a cosa mirano? Cerchiamo di capirci: l’effetto “voto utile” c’è stato e chi lo nega non tiene conto di un dato della realtà. Lo sapevamo bene che si sarebbe manifestato e non si può certo sostenere ora che vi sia stato nelle scelte che abbiamo fatto un eccesso di settarismo nei confronti del centro-sinistra. Quando abbiamo posto la priorità dei contenuti e la questione morale abbiamo accettato un confronto con il centro-sinistra rigoroso, senza precludere la possibilità di conseguire (dove ne esistevano le condizioni) un accordo. Non è forse vero che dove le alleanze non sono state fatte ciò lo si deve al rifiuto immotivato del PD o a scelte assolutamente inaccettabili, come nel caso della Campania? Se un rilievo posso fare sulle scelte compiute non è quello che vi sia stata la mancanza di propensione unitaria, semmai che dovevamo essere ancora più rigorosi sui contenuti. Senza aprire polemiche, a me pare che in alcuni casi potevamo fare scelte o adottare comportamenti diversi. Peraltro, pur essendo il risultato nelle regioni dove siamo andati in alleanza con il centro-sinistra migliore di quelle in cui siamo andati da soli, vi sono in ogni caso differenze fra le varie regioni che non dovrebbero essere sottovalutate. Se depuriamo il risultato complessivo da quello ottenuto nelle regioni in cui ci siamo presentati autonomamente, constatiamo come si è avuta comunque una flessione, a dimostrazione che se l’effetto voto utile c’è stato, nondimeno anche le alleanze con il centro-sinistra non hanno impedito l’arretramento rispetto alle elezioni europee, che è stata sì contenuta ma non arrestata.

5 Sull’indicazione operativa da trarre dal risultato non vi possono essere molti dubbi. Di fronte al successo delle destre e alla pericolosità delle stesse, è evidente che la costruzione di un’iniziativa unitaria è essenziale. Che la Federazione debba assumersi la responsabilità di promuovere tale iniziativa mi pare altrettanto logico. L’agenda delle iniziative da assumere è dettata in primo luogo dai temi sui quali l’offensiva della destra è più forte e su quelli a maggiore impatto sociale. Sul fronte sociale queste sono: la difesa dell’articolo 18, la tutela dell’occupazione e la lotta al precariato, la salvaguardia dei beni pubblici, il rifiuto del nucleare. Questi temi s’intrecciano alla battaglia referendaria. Con tutte le forze che sono disponibili a sostenere queste iniziative dobbiamo essere disponibili al dialogo e promuovere mobilitazioni unitarie. Così come dobbiamo lavorare per uno schieramento a difesa della democrazia e in particolare della Costituzione, contro le torsioni presidenzialiste, contro la manomissione del sistema giudiziario e contro l’offensiva sul federalismo fiscale. Né, credo, si possa mettere in dubbio la necessità che in caso di elezioni politiche si realizzi un accordo elettorale per battere Berlusconi. Il punto è un altro e riguarda la relazione che si viene a stabilire fra la Federazione e il centro-sinistra.

6 A me pare che vi siano in campo due linee possibili. La prima è quella che, assumendo il bipolarismo come un dato di fatto e considerando preminente l’esigenza di evitare l’isolamento politico, persegue la via della ricostruzione del centro-sinistra, con il corollario della scelta di alleanze elettorali sistematiche a tutti i livelli, in cui l’esigenza frontista prevalga anche sul confronto di merito sui contenuti e che prevedano lo sbocco di governo. Di qui io credo una serie di polemiche fatte sugli accordi elettorali, il più delle volte formulate da chi auspicava l’intesa di governo purchessia, vuoi per occupare postazioni (gli assessorati) giudicate decisive per la visibilità, vuoi per il convincimento che la questione programmatica non sia – al momento attuale – in sé decisiva. La linea alternativa è quella che lavora per il superamento del bipolarismo, considera decisivo al fine della costruzione di una vera opposizione il terreno concreto dei contenuti e delle pratiche, accetta il confronto unitario col centro- sinistra, ma nella consapevolezza che oggi la difficoltà principale sta in una propensione moderata che impedisce lo sviluppo di un’opposizione di massa degna di questo nome, che le alleanze elettorali vadano misurate sul piano della coerenza fra esigenza di unità ed efficacia dei contenuti, che, conseguentemente, sia essenziale il mantenimento dell’autonomia della Federazione dal PD e che non esistano le condizioni per la ricostruzione del centro-sinistra.

7 Personalmente non ho dubbi. Io mi riconosco in questa seconda linea, che è poi quella che si richiama al fulcro della scelta operata nel congresso di Chianciano. Non si tratta di un rigurgito identitario, né di una propensione settaria o della sottovalutazione dell’esigenza obiettiva dell’ unità per battere le destre. Si tratta invece di una lettura – a mio parere realistica – dello stato delle cose. Se è vero che il risultato elettorale dipende dal deficit di opposizione e se tutti riconosciamo che tale deficit è imputabile in modo principale alle posizioni del PD, è evidente che al di là della nostra disponibilità unitaria, se non c’è una nostra iniziativa autonoma che sappia non solo praticare l’unità ma anche spostare a sinistra l’asse politico, l’esito sarebbe quello di assecondare un continuismo che non consente un passo in avanti. Se sul fronte elettorale, l’unica bussola è quella della generalizzazione degli accordi di governo col centro-sinistra, senza valutarne l’effettiva compatibilità con alcuni contenuti, certamente si elimina l’effetto voto utile, ma non s’inverte la tendenza (prevalente in questo risultato elettorale), ad un nostro progressivo declino per mancanza di un profilo forte, e socialmente credibile. L’alternativa fra le due linee non è, quindi, quella fra propensione unitaria e resistenza settaria, come alcuni vorrebbero dare ad intendere, ma fra due idee diverse di unità: l’unità come convergenza possibile, fra soggetti autonomi e sui contenuti e l’unità come tendenziale omologazione. A me pare che la seconda via sarebbe alla fine mortale per il nostro partito e per la Federazione.

8 Se questo è vero, un nodo va però affrontato ed è quello dei rapporti a sinistra. A me pare che l’attuale Federazione da sola non sia in grado di reggere la sfida che ci sta di fronte e questo non solo per i limiti che ho prima richiamato, ma anche per un’evidente insufficienza in termini di rapporti di forza. Con un 3% circa di consensi si rischia in continuazione di finire o nell’isolamento o nella subordinazione. Inoltre, la forma stessa che si è data la Federazione costituisce un oggettivo impedimento ad un suo allargamento. Lo si voglia o no, nuovi soggetti dovrebbero aderirvi accettando un’impostazione già definita, il che mi pare costituisca un ostacolo in molti casi insuperabile. Se la scelta fosse stata diversa – come personalmente ho sempre sostenuto – e cioè un processo aperto, molto centrato, oltre che sull’accordo elettorale, sulla sperimentazione di pratiche, senza forzature organizzativistiche – sarebbe stato possibile un allargamento. Per come si sono mese le cose mi pare sia difficile. Il problema dei rapporti di forza sta diventando sempre più importante e lo sarà a maggior ragione a partire dal voto alle amministrative del prossimo anno per le quali, data la riduzione del numero di eletti, anche in presenza di alleanze con il centro-sinistra non saremmo più garantiti. E qui veniamo ad un punto fondamentale. Se non si consolida a sinistra un “polo alternativo” di una certa consistenza non si regge la presentazione autonoma dal PD (come dimostrano specularmente i casi della Campania e delle Marche), ma diventa anche difficile, laddove ve ne siano le condizioni, stipulare alleanze con il centro-sinistra qualificate. Dirò di più, solo una sinistra autonoma, conflittuale e non subordinata, con una massa critica adeguata, può influire positivamente sullo stesso dibattito in corso nel PD.

9 Un polo di sinistra ha oggi senso se è in grado di porsi in modo autonomo rispetto al PD. E’ da qui che sorge il problema della relazione con SEL. Fare dell’alleanza con SEL una questione di numeri del tipo…… se sommiamo il nostro 2,8% con il loro 3%, raggiungiamo quasi il 6%…. e’ una pura astrazione e non solo perché in tema di elezioni non valgono mai le somme algebriche, ma perché il problema con SEL è se questa formazione intende essere autonoma dal PD o se si considera parte integrante di un centro-sinistra a guida PD. Oggi la linea prevalente in SEL è quest’ultima e le posizioni di Vendola danno a tale scelta una connotazione ancora più inquietante, puntando a costruire un soggetto unico del centro-sinistra di ispirazione “nuovista”, non molto dissimile dalle suggestioni veltroniane. L’esperienza della Marche (dove abbiamo costruito un polo alternativo con SEL) ci suggerisce che quest’impostazione può essere superata, ma per l’appunto facendo leva su contraddizioni reali, non in ragione di una convergenza scontata. Vorrei anche rilevare che un polo della sinistra di alternativa che oltrepassi i limiti della Federazione può vedere la presenza anche di altre forze politiche, ma che esso ha un senso se raccoglie una domanda di cambiamento e per questo sarebbe curioso che si realizzasse senza coinvolgere almeno parti dei movimenti di lotta, se non riuscisse a recuperare almeno un pezzo di quel popolo di sinistra che si è rifugiato nell’astensionismo o nella protesta populista. So bene che di fronte alle difficoltà obiettive la tendenza più semplice è quella di confluire sotto le grandi ali del PD, ma queste scelta non risolve alla fine i nostri problemi.

10 Un’ultima considerazione va fatta sul PRC. A me pare del tutto evidente che ogni possibilità di ripresa, sia della Federazione sia di una sinistra non omologata e rinunciataria, dipende in ultima analisi dal rafforzamento del PRC. Non si tratta di boria di partito. Il punto è che anche in queste elezioni, senza questa forza tutto sarebbe stato impossibile. Né credo all’ipotesi della Federazione come un processo di fusione. Non ho mai creduto alla semplificazione dei soggetti politici, a prescindere dalla loro base politico-culturale. La federazione è un insieme di soggetti che possono realizzare livelli di unità maggiori, anche considerevoli, ma che non ha allo stato attuale le basi per trasformarsi in partito unico. Il punto è che oggi il progetto di rilancio organizzativo, teorico e culturale del PRC non c’è. Pensare di tenere in campo migliaia di militanti, senza assumerlo, è una pura astrazione. Quando parlo di progetto intendo qualcosa di significativo, non un richiamo generico al consolidamento. Esso richiede che questo obiettivo sia posto come una priorità nell’agenda politica, che s’investano forze, che soprattutto si lavori a partire dalle organizzazioni di base, i circoli. Che se ne ridefiniscano i compiti, che li si attrezzino a reggere un’iniziativa sociale straordinaria, che si diano ai militanti strumenti di analisi e di interpretazione; che si ristrutturi il partito sulla base di principi autenticamente democratici, che la partecipazione sia una cosa vera, che le componenti tornino ad essere luoghi di riflessione ed elaborazione, anziché lobby finalizzate alla spartizione di cariche e ruoli. Un impegno gravoso, dunque, ma ineludibile.

Gianluigi Pegolo

Segreteria nazionale PRC

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