Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia

Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia

lunedì 1 febbraio 2010

Acqua pubblica, patrimonio di tutti.

Il nodo della questione è tutto lì, nel titolo dell’articolo 15 del decreto legge n.135, o decreto Ronchi, tramutato in legge al Senato.
È lungo solo una riga ma vale miliardi.
Soldi che usciranno dalle tasche dei consumatori e che arriveranno in quelle di pochi grandi gruppi, «si assiste - per usare le parole dell’Antitrust - alla sostituzione di monopoli pubblici con monopoli privati».
Si prenda l’esempio di Acea.
La società serve il Lazio, una parte della Campania, l’Umbria, e 4 Ato su sei della Toscana ( compreso il Fiora ).
È il primo operatore nazionale del circuito idrico (ha il 10% del mercato).
È controllata al 51% dal Comune di Roma, al 10% circa dalla francese GdF-Suez e al 5% dal costruttore Caltagirone.
Ma presto il comune di Roma dovrà cedere a privati l’11% della società per un valore di circa 200 milioni.

La garanzia per la gestione di un bene primario oltre ad una migliore efficienza industriale è data innanzitutto dalla proprietà pubblica di reti e impianti del servizio idrico che, proprio perché appartengono al demanio, sono inalienabili.
L'acqua è pubblica e costituisce una risorsa da salvaguardare.

In questo contesto appare ancor più grave la decisione di non prevedere nel
provvedimento l'istituzione di una Autorità di controllo indipendente
sulle risorse e sul servizio idrico integrato, necessaria per la definizione
dei livelli minimi di investimento, qualità del servizio, controllo della gestione e
per la determinazione delle tariffe a garanzia soprattutto delle fasce sociali più
deboli.

Quello invece che si sta registrando, e tutti i dati sono concordi, che all’inizio degli anni 90, gli investimenti annui erano pari a circa 2 miliardi di euro l’anno, oggi si registrano investimenti pari a circa 700 milioni di euro l’anno, ora abbiamo da una parte un innalzamento delle tariffe per garantire il profitto ai soggetti e ai gestori privati e dall’altra una diminuzione degli investimenti e anche della qualità del servizio.
Nel 2008, secondo l’ultimo rapporto del Co.Vi.RI. relativo a 54 Ato, risultavano realizzati solo il 56% degli investimenti previsti (sei miliardi). Questo, a fronte di un’impennata delle tariffe di oltre il 47% negli ultimi 10 anni.
Seconde solo al petrolio.
In Toscana, ad esempio, dove è più forte la presenza di privati, ogni famiglia spende in media per l’acqua 330 euro all’anno a fronte di una dispersione del 34%. I privati, se non regolamentati, non portano efficienza.

Inoltre, secondo dati Istat, da gennaio 2000 a luglio 2009 l’aumento delle tariffe è stato del 47%.

In più esiste il problema di qualità delle acque destinate al consumo domestico, poco si parla del ricorso alle deroghe, previste dal D.Lgs. 31/01 e concesse dal Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali: negli ultimi 7 anni, ne hanno usufruito ben 13 regioni.
Se nel 2002 solo la Campania ne aveva fatto ricorso, accompagnata nel 2003 da altre2 regioni, per complessivi 5 parametri “fuorilegge” (fluoro, cloruri, magnesio, sodio, solfati), attualmente sono 8 le regioni in deroga (Lazio, Lombardia, Piemonte, Trentino, Umbria, Toscana,
Campania, Puglia), per un totale di 7 parametri: arsenico, boro, cloriti, fluoro, selenio, trialometani evanadio.
Tali Regioni devono provvedere affinché la popolazione sia adeguatamente informata, ma in alcuni casi non si specificano nemmeno i nomi dei singoli comuni coinvolti.
In ogni caso, ad oggi, il Lazio è la Regione con il maggior numero di amministrazioni comunali interessate da deroghe, ben 84 (nel 2006 erano 37) per 5 parametri, segue la Toscana con 21 comuni (ma nel 2008 erano 69 e nel 2005 addirittura 92) e tre parametri. ( fonte arpat )
Non penso che i privati, se non l’hanno fatto adesso, intendano migliorare la qualità dell’acqua facendo investimenti in tal senso, il loro compito è fare profitti, e non sarebbe la prima volta che i cittadini ci rimettano la salute a causa dei profitti, la beffa oltre il danno!!

Poi bisogna stare molto attenti, quando si parla di “acqua pubblica”, ci viene risposto dal politico di turno, “ma è pubblica: le fonti rimangono di proprietà pubblica, dai la gestione al privato con un 30 /40% di pubblico nella gestione e allora di che cosa vi lamentate? L’acqua rimane di proprietà pubblica e la gestione è privata”.
Questa è la trappola infernale perché, chi determina la situazione di mercato, è chi gestisce e non la proprietà della fonte. Sono i tubi, è la distribuzione dell’acqua. E’ come per l’energia, è la stessa cosa: chi detiene i tubi, i fili, detiene l’effettiva proprietà.

C’è un altro fatto fondamentale rispetto al processo di privatizzazione, se io sono un soggetto privato e devo gestire un servizio, e quindi anche distribuire una risorsa, l’obiettivo che mi pongo sarà quello di aumentare la quantità di prodotto che vendo anno dopo anno, tant’è vero che in Italia i "piani di ambito" che sono i piani attraverso i quali si gestisce la risorsa idrica, prevedono nei prossimi anni un aumento dei consumi pari al 18% circa, ossia i gestori privati prevedono un aumento di quella che è la vendita del proprio prodotto. Questo credo sia assolutamente da scongiurare, anche perché i cambiamenti climatici, quello che è il riscaldamento globale ha come primo effetto e come prima conseguenza, proprio un aumento della scarsità della risorsa. Allora bisognerebbe approntare politiche di risparmio idrico, politiche di uso sostenibile della risorsa, questo, i soggetti privati, anche legittimamente rispetto a quella che è la propria "mission" imprenditoriale non lo possono garantire, lo può garantire esclusivamente una gestione attraverso enti pubblici, proprio perché il suo primo obiettivo è di garantire un servizio e un diritto a tutti, anche per le generazioni future, e di poter usufruire di identico patrimonio naturale.

Cosa possiamo fare tutti noi per contrastare il processo di privatizzazione dell’acqua in Italia?
Uno è quella di modifica degli statuti comunali e provinciali, proprio perché l’ultimo provvedimento approvato dal Governo a novembre 2009, fa riferimento alla privatizzazione dell’acqua, perché riconosce nel servizio idrico un servizio a rilevanza economica e quindi deve essere messo necessariamente sul mercato e sottostare alle leggi del mercato e della libera concorrenza.

Io come cittadino e come consigliere ho scelto, ritengo che il servizio idrico e quindi l’acqua non sia un bene di rilevanza economica, non sia un bene che debba sottostare alle leggi del mercato, in mano a multinazionali quali ci ritroviamo senza saperlo ( ripeto nel Fiora SpA, come socio privato c’è GdF-Suez e al 5% il costruttore Caltagirone ).
Nel prossimo Consiglio Comunale ho presentato un'ordine del giorno dove chiedo che sia modificato lo Statuto Comunale inserendo il servizio idrico locale come privo di rilevanza economica in quanto essenziale per garantire l’accesso all’acqua e pari dignità umana a tutti i cittadini.

Solo in questo modo il Comune, e tutti noi, possiamo riappropriarci della podestà decisionale, di come gestire il servizio idrico e quindi fuoriuscire dalla legislazione nazionale e questo è fondamentale proprio per mettere uno stop al processo di privatizzazione in Italia.

In allegato il testo della mozione.

Al Sindaco del Comune di Monteriggioni
e.p.c. a tutti i Capigruppo consiliari

Ordine del giorno sul D.L. n. 135/2009, art. 15: riconoscimento del servizio idrico come privo di rilevanza economica

Premesso che:

L’acqua è una risorsa primaria, essenziale alla vita. L’accesso universale ad essa, la sua disponibilità e la sua conservazione devono essere perseguite quali garanzie di un diritto inalienabile per il presente e di quello a un ecosistema equilibrato per le generazioni future.

Oggi sulla Terra più di un miliardo e trecento milioni di abitanti non hanno accesso all’acqua potabile e si prevede che nel giro di pochi anni tale numero raggiunga i tre miliardi, nonostante la sua natura di bene comune necessario alla sopravvivenza.

Il quadro legislativo in tema di governo del Servizio idrico integrato è imperniato sulla L. 36/94 (detta “legge Galli”, dal nome del suo estensore), recepita dalla legge Regionale Toscana n°81/95 che ha istituito gli Ambiti Territoriali Ottimali (A.T.O.) obbligatori per i Comuni.

Precedentemente all’entrata in vigore della legge Galli, la gestione del servizio idrico si espletava in forme e modi totalmente diversi nei vari Comuni, alcuni dei quali gestivano il servizio in economia, altri tramite aziende speciali intercomunali e altri ancora attivando S.p.A. pubbliche.

L’attuazione della legge Galli nei 93 Ambiti italiani ha avuto applicazione diversificata e la Toscana è stata la prima regione italiana ad attuare in modo organico la legge quadro di cui trattasi.

La scelta operata in Toscana con la L.R 81/95 muoveva su due temi di fondo: la necessità di accorpare i servizi esistenti, fino ad allora molto frammentati, puntando al raggiungimento di economie di scala molto più efficienti, con il relativo contenimento dei costi, rispondere alla legge 36/94 che prevedeva la fiscalità particolare come unico finanziamento dell’intero Sistema idrico Integrato.

La scelta per la gestione del servizio, successiva all’adozione dei Piani di Ambito, in Toscana è stata quella del P.P.P. (Partenariato Pubblico Privato), con il socio pubblico in maggioranza e il socio privato con quote di minoranza, e il tutto è stato esplicato con procedure pubbliche di gara.




La gestione del servizio idrico integrato in Italia è attualmente normata dall'Art. 23bis della legge 133/2008 che prevede, in via ordinaria, il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali a imprenditori o società mediante il ricorso a gara e fa così lergo forzatamente all’ingresso dei privati nella gestione stessa.

Il recente Art. 15 del D.L. 135/2009, che modifica il suddetto Art. 23bis, muove passi ancor più decisi verso la privatizzazione dei servizi idrici e degli altri servizi pubblici, prevedendo:
• l’affidamento della gestione dei servizi pubblici a rilevanza economica a imprenditori o società in qualunque forma costituite, individuati mediante procedure competitive a evidenza pubblica o, in alternativa, a società a partecipazione mista pubblica e privata con capitale privato non inferiore al 40%;
• la cessazione degli affidamenti “in house” a società totalmente pubbliche, controllate dai comuni (in essere alla data del 22 agosto 2008) alla data del 31 dicembre 2011.


Considerato che:

La risoluzione del Parlamento europeo del 15 marzo 2006 dichiara l’acqua “un bene comune dell’umanità”, chiede che siano effettuati tutti gli sforzi necessari a garantire l’accesso a essa alle popolazione più povere entro il 2015 e insiste affinché “la gestione delle risorse idriche si basi su un’impostazione partecipativa e integrata che coinvolga gli utenti ed i responsabili decisionali nella definizione delle politiche in materia di acqua livello locale e in modo democratico”.

Gli stessi organi della UE hanno più volte sottolineato che alcune categorie di servizi non sono sottoposte al principio comunitario della concorrenza; si veda ad esempio la Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo COM (2004) 374: “…le autorità pubbliche competenti (Stato, Regioni, Comuni) sono libere di decidere se fornire in prima persona un servizio di interesse generale o se affidare tale compito a un altro ente (pubblico o privato)”.

E’ peraltro noto che non esiste alcuna norma europea che sancisca l’obbligo per le imprese pubbliche di trasformarsi in società private (come ribadito da: Corte di giustizia CE, 2005; Commissione CE 2003 e 2006; Parlamento CE, 2006).

A partire dalla promulgazione della carta europea dell'acqua (Strasburgo 1968) si è affermata a livello mondiale non solo la concezione dell'acqua come "bene comune", ma anche del suo uso come diritto fondamentale dell'uomo.

Il Testo Unico sull’Ambiente” d.lgs. n. 152/2006, all'articolo 144, comma 2, afferma: "Le acque costituiscono una risorsa che va tutelata e utilizzata secondo criteri di solidarietà; qualsiasi loro uso è effettuato salvaguardando le aspettative e i diritti delle generazioni future".

Valutato che:

Da un punto di vista normativo lo strumento del decreto legge risulta inappropriato per simile materia e non è stato possibile svolgere nelle sedi deputate un’approfondita discussione a causa del voto “di fiducia” imposto sul provvedimento dal Governo, che ha impedito di fatto il confronto su un tema così delicato e complesso come la gestione della risorsa idrica.

Oggi il 61% del servizio idrico erogato in Italia è gestito da società interamente pubbliche, con il rischio evidente, conseguente l’obbligo di dismissione di almeno il 40% delle quote di capitale delle società pubbliche entro il 2011, di svalutare il patrimonio dei comuni.

Assumono rilevanza prioritaria la preventiva definizione delle regole attraverso le quali sia possibile, per l’istituzione locale, in ambiti territoriali strutturalmente ed economicamente ottimali, scegliere nell’interesse pubblico i gestori migliori, nonché il rafforzamento delle Autorità pubbliche di regolazione, di garanzia e di controllo, in grado di gestire le modalità degli affidamenti, di fissare le regole e di controllarne il rigoroso rispetto.
Vanno definiti i termini di utilizzo delle reti, che devono restare integralmente di proprietà pubblica.

Considerato che:

Il maxiemendamento presentato dal governo nella legge finanziaria prevede lo scioglimento dei consorzi di funzioni e risultano perciò a rischio di scioglimento le autorità di ATO costituite sotto forma di consorzio, con la conseguente mortificazione delle funzioni di programmazione e di controllo pubblico esercitato dai comuni per il tramite di tali autorità.

Sottolinea che:

L’esperimento di gestione del servizio idrico integrato condotto in Toscana, con la scelta di una esclusiva competenza pubblica nella programmazione e nel controllo e il mantenimento della maggioranza pubblica nella compagine societaria dei gestori del servizio, risulta certamente migliore della normativa attualmente in vigore.

L’esperienza toscana ha permesso, contabilizzando i relativi oneri sulla tariffa, di sviluppare investimenti importanti per la salvaguardia della risorsa, il miglioramento del servizio e l’adeguamento alle normative europee e mondiali sulla depurazione. Tuttavia, pur avendo la tariffa raggiunto il suo apice e sebbene si sia fatto più volte ricorso a finanziamenti pubblici o esterni, quali quelli della Fondazione MPS, non sono stati ancora effettuati molti degli interventi necessari per un adeguamento delle infrastrutture idriche, della qualità della risorsa e della capacità di depurazione. In particolare, le perdite idriche superiori al 40% gravano in modo pesante sulla disponibilità della materia prima in sé e anche, a causa dei mancati introiti, sulla possibilità di investimento.

Seppur penalizzato dalla remunerazione di legge del 7% dei capitali investiti (col rischio di una incentivazione dei consumi anziché del risparmio della risorsa) e dall’apporto spesso insufficiente di know-how del privato alla gestione, questo contesto ha permesso comunque la valorizzazione del patrimonio di esperienze compiute dai comuni nelle gestioni dirette e dalle società di capitali interamente pubbliche che gestivano il servizio precedentemente all’affidamento ai vari gestori.


Ricordato che:

Le criticità più rilevanti del servizio sono il deterioramento quantitativo e qualitativo delle riserve idriche nonchè l’elevata quantità di perdite, e che ciò è antitetico a un uso “sostenibile” della risorsa.

Gli investimenti necessari al raggiungimento degli standard di legge sui criteri di depurazione esorbitano le entrate assicurate dalla tariffa.

Tutto ciò premesso,

e ribadendo il proprio impegno, in accordo alla dichiarazione della “carta dell’acqua” della Toscana, a un uso “sostenibile” di tale risorsa, patrimonio pubblico e diritto individuale, nonché a impedire la svendita di un bene collettivo rilevante e strategico

IL CONSIGLIO COMUNALE DI MONTERIGGIONI

Esprime:

Il dissenso contro il decreto, colpevole di non tutelare il servizio idrico integrato, mercificandolo alla stregua di un bene di mera rilevanza economica anziché difenderlo come servizio pubblico essenziale, e di indebolire la presenza del pubblico nel controllo e nella gestione del servizio idrico, in modo particolare nelle società quotate in borsa.
-La volontà di fare quanto in suo potere per modificare il nuovo quadro normativo, imposto ricorrendo al voto di fiducia.
-L’impegno ad agire, in qualità di socio del soggetto gestore del servizio idrico, per migliorare la qualità del servizio erogato e contenere i costi di funzionamento.
-L’impegno a promuovere una cultura del consumo dell’acqua più rispettosa della scarsità e del valore della risorsa idrica.
-La convinzione che è indispensabile reperire nuove risorse pubbliche, da aggiungere alle entrate da tariffa, per sostenere gli investimenti necessari a: adeguare le riserve idriche a uno sviluppo economico sostenibile, operare un’adeguata manutenzione della rete, completare le condotte fognarie e gli impianti di depurazione su tutto il territorio, chiedendo a Stato, Unione Europea e Regione di destinare idonee risorse
-La disponibilità del Comune a compartecipare, nei limiti concessi dal bilancio e dal Patto di Stabilità, al piano straordinario di investimenti prefigurato.

Ribadisce

-che la gestione del servizio idrico integrato è un servizio pubblico locale privo di rilevanza economica, in quanto essenziale per garantire l’accesso all’acqua e pari dignità umana a tutti i cittadini, e si impegna a inserire tale principio nel proprio statuto comunale.

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