Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia

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giovedì 11 novembre 2010

L’Italia non è un paese per le donne

Da Liberazione:

Non ci voleva certo l’Istat a dimostrare dati alla mano, quanto l’Italia non sia un “Paese per donne”, riprendendo il titolo del celebre romanzo di Mc Carthy. Ma i dati servono e danno un quadro disastroso nella distribuzione dei carichi di lavoro all’interno del tanto santificato “nucleo familiare”.

Il 76,2% del lavoro familiare risulta infatti a totale appannaggio femminile- 1,4% in meno rispetto a 5 anni fa – ma comunque di una asimmetria spiazzante, su cui non è possibile trovare giustificazioni di sorta. Una asimmetria trasversale, che tocca tutto il Paese e che si riduce sensibilmente solo nelle coppie al nord in cui non ci sono figli ed entrambi i componenti del nucleo lavorano.

Agghiacciante anche la comparazione se si prende in esame il cosiddetto tempo libero: se anche a causa della crisi sia uomini che donne hanno dovuto rinunciare in gran parte a questo bene prezioso, la fotografia di una giornata femminile dovrebbe far drizzare i capelli, coloro che sono occupate dedicano al lavoro retribuito 17 minuti in più esattamente quanto cala quello domestico.

Aumenta anche il tempo che gli uomini debbono dedicare al lavoro retribuito, si è passati dalle 5 ore e 44 minuti del 2002/3 alle 6 ore e 19 minuti del 2008/9, diminuisce il tempo libero in maniera ancora più netta e aumentano sia per gli uomini che per le donne i tempi dedicati agli spostamenti verso i luoghi di lavoro, segno di una vita in città impossibili. Scendendo nei dettagli, oltre 9 donne su 10 risultano ancora relegate alla cucina, addirittura il 97,8 per le donne non occupate, la pulizia della casa impegna l’82,7% delle donne occupate e il 94,8% delle non occupate.

E gli uomini? Risultano selettivi nel tipo di contributo, laddove selettivo risulta essere un eufemismo. In un giorno medio, fra i partner di donne occupate, il 41,7% cucina, il 31,4% partecipa alle pulizie della casa, il 29,9% fa la spesa, il 26,6% apparecchia e riordina la cucina mentre vere e proprie rarità da collezione sono coloro che stirano e lavano i panni. Ovviamente se la partner non lavora tutte queste percentuali si dimezzano. Che trarre da questi dati?

La semplice e ovvia conclusione che i rapporti sociali fondamentali non hanno risentito che poco o nulla dei mutamenti degli ultimi 50 anni, non ne hanno risentito nelle condizioni materiali di vita e di organizzazione della vita familiare. Come se, nonostante la mutazione della società intera, del modo di produzione, della vita quotidiana nei suoi aspetti più minimali, sia rimasta una struttura arcaica e immutabile.

Sarebbe un tema di profonda riflessione non solo culturale o sociale ma anche politica, una riflessione che permetterebbe di guardare anche con occhi diversi la crisi che attraversa il modello di produzione capitalista partendo dai suoi gangli fondamentali. Si si tratterebbe di parlare anche alla luce di questi semplici dati per definire il patriarcato e provare a scardinarlo. Ma lo si vuole realmente. E se ci si prova, a smontarne la struttura poi, chi cucina?

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