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venerdì 5 novembre 2010

Il gioco delle tre carte sull'acqua

Su Il Sole 24 Ore a pagina 20 odierno si parla della discussione in Commissione del Senato sul Federalismo.


Leggo che il PD (partito democratico), in sede di Commissione in Senato, avrebbe proposto modifiche a un decreto legislativo in fase avanzata sui fammisogni standard di Comuni, Città metropolitane e Province, ma, non avendole ottenute, voterebbe contro.

Si sa che al momento della legge n. 42/2009 istitutiva del federalismo fiscale da cui il decreto legislativo "recante disposizioni in materia di determinazione dei fabbisogni standard di comuni, città metropolitane e province" di cui parla Il Sole 24 Ore odierno, il PD si astenne.


Non le avevo lette, oggi corro a leggerle. Sorpresa, scopro che il PD lascia pari pari il punto 5 del comma 1 dell'articolo 2 del predetto decreto legislativo. E cosa dice questo punto 5? Dice che ai Comuni vengono tolti: "servizio di edilizia residenziale pubblica e locale e piani edilizi nonché ... il servizio idrico integrato".

Se sottrarre ai comuni l'acqua è togliere ai cittadini il governo di quanto costituisce il 70% del loro corpo, sottrarre agli stessi il territorio, o il PRG o Piani strategici e Operativi ( Piano del Sindaco) come legiferato già da più Regioni (mi sembrano passare alle Province), io penso che ci troviamo non già di fronte al "fallimento pilotato dei Comuni italiani", come scriveva Pietro Raitano l'11/11/2009 per Altraeconomia, ma molto più in la'.

Cioè, alla loro "chiusura"; almeno alla chiusura dei Comuni così come li conosciamo e come ci provengono dalla quasi millenaria tradizione dei Liberi Comuni di origine popolare. Va da se che con questa chiusura scompaiono non pochi pezzi di articoli della nostra Costituzione in tema di Autonomie Locali: 5, 114, 117, 118 e 119.

Un Comune, come uno Stato, ci hanno insegnato che si reggono, prioritariamente, su: 1) popolo, 2) territorio e 3) identità culturale; con una semplice astrazione, se noi togliamo uno di questi punti, il Comune, o lo Stato, non ci sono più. Pertanto, se togliamo al Comune la gestione del territorio il Comune non c'è più. I beni comuni non sono altro, si può dire, che la sintesi di questi 3 elementi.

Ma se i beni comuni, i servizi di interesse generale, finiscono in mano, "in via ordinaria ... a favore di imprenditori o società ... mediante procedure competitive..." (art. 23-bis comma 2 - l'articolo che con il nostro Referendum vogliamo abrogare e per il quale tra pochi giorni mi sembra che partirà una campagna per la moratoria), di quale Comune si sta più parlando?


In una comunicazione di Mario Collevecchio (della Bocconi e sovente su Il Sole 24 Ore) nel recente incontro di Viareggio della Lega delle Autonomie Locali scrive in un documento: "il disegno di legge AS 2259 (ndr quello sulla Carta delle Autonomie) ha assunto quasi un valore marginale incalzato dai decreti delegati suddetti e dalle norme relative alle manovre di finanza che finiscono per stravolgere l'autonomia istituzionale degli enti locali".

Se due più due fa quattro, a me sembra che si possa concludere che oramai non sono più i Comuni Province e Regioni a governare i beni comuni o i servizi di interesse generale, ma le società quotate e non quotate spa, con relativi Consigli di Amministrazione e top manager; che hanno preso in mano i servizi.

Si ricorda che a fine 2008 Confservizi pubblicava, molto esaltata, che le società partecipate degli Enti Locali avevano raggiunto un fatturato, nell'anno di 48 miliardi di euro.

In questi ultimissimi giorni si è letto che in Liguria, in Lombardia e anche in altre Regioni, i Comuni si stanno accorgendo dell'incredibile attacco alle loro funzioni fondamentali e alle loro autonomie. Oggi si è anche letto su Il Manifesto che Nichi Vendola ha aperto un confronto diretto nella sua Regione con il PD con cui sappiamo che governa la Regione. Vendola, titola Il Manifesto: "Blinda l'acquedotto pugliese e sfida i democratici" e dichiara: "io milito dalla parte di chi è contrario all'acqua mercificata e privatizzata".

Per tutto questo, il lavoro di ritessitura della tela della democrazia a me sembra grande, e, se si considera che ancora in troppe realtà molti, anche a noi vicini, non si accorgono che certe lacerazioni sono state fatte anche da e dentro le istituzioni pubbliche più vicine al cittadino, i Comuni, il lavoro, pensando anche ai begli articoli di Asor Rosa e di Pierluigi Sullo, a me sembra molto più grande e articolato.

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