Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia

Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia

sabato 7 maggio 2011

Punti di vista radicali

La crisi del berlusconismo (che non è tracollo, ma lenta agonia del Paese) sta riaprendo finalmente il dibattito politico. Anche se, per ora, da destra. E' bene, comunque, che riparta il confronto vero ed aspro, che si esca dal gradualismo del sistema delle alleanze, dal vacuo tatticismo della "riduzione del danno"; è tempo, infatti, di punti di vista forti e radicali.

Altrimenti, gramscianamente, «il vecchio muore e il nuovo non può nascere», anche perché il tornante storico è complesso: bombardiamo, noi paese colonialista, la nostra vecchia colonia libica; è in atto il tentativo governativo e confindustriale insieme (a proposito, perché la Camusso attacca il governo in nome di una interlocuzione con la Confindustria?) di sistematico abbattimento della forza organizzata del movimento operaio; le precarietà diventano una vera e propria condizione soggettiva, antropologica.

I referendum sui beni comuni, contro il nucleare e la giustizia dei potenti richiedono un impegno straordinario perché sono un segmento importante di una strategia politica alternativa che ritrovi i paradigmi fondativi. L'altra scadenza immediata, le elezioni amministrative, può ridisegnare il tema della ricostruzione dello spazio pubblico, dell'idea stessa di autogestione, di vita che si contrappone alla mercificazione dei non-luoghi metropolitani. Vi è l'esempio importante e positivo delle sinistre a Milano, a Bologna, diverso, ma ugualmente importante a Torino.

Se guardo al Sud, a Napoli si vive già ora una parziale fuoriuscita dalla passivizzazione, un risveglio di cittadinanza; è un laboratorio meridionalista che si sta formando anche intorno alla candidatura di De Magistris (a cui si è sottratto Vendola, come a Salerno, a Cosenza, in tante altre città meridionali: anche questo nei prossimi mesi sarà un tema di discussione dentro la costruzione, che ritengo obbligata, del polo della sinistra alternativa).

Si riapre, dicevo, la discussione politica: è anomalo, ma non irrilevante, certo, che nel centrosinistra l'abbia riaperta il presidente Napolitano, quando ha affermato che la sinistra non vincerà se non sarà credibile, affidabile e portatrice di una proposta praticabile. Bene, fin qui. I problemi si manifestano quando diamo forme, contenuti, propensioni quotidiane agli aggettivi «credibile ed affidabile». Nessuno, infatti, potrà negare che l'interpretazione data alle parole del Presidente da gran parte del centrosinistra e dei commentatori sia quella della necessità di una decisa torsione a destra del centrosinistra. Interpretando correttamente, temo, lo stesso pensiero del Presidente.

Bastano alcuni esempi: Casini invita Bersani «a prendere atto che l'intesa con l'Idv è impossibile». L'Idv ha, infatti, votato perfino contro i bombardamenti sulla Libia ed è forza, quindi, estremista e non credibile; le alleanze si fanno solo emarginando a sinistra e diventando stampella del Terzo Polo. Le parole di Napolitano sono diventate un pesante maglio nelle mani di tutti i centristi democratici (moltissimi interni al Pd, ai fini di una lacerante battaglia congressuale).

E' sempre bene, in questi casi, lasciar parlare Matteo Renzi, che è semplice e chiaro e che arruola Napolitano fra i rottamatori. Spiega cosa sia, per lui, il dopo Berlusconi: «La sinistra deve essere credibile ed affidabile, essere cioè una sinistra che non si limita ad andare contro gli altri, ma dimostra di saper fare le cose»; cioè di essere al servizio di Marchionne e soci. Ma davvero il centrosinistra è poco credibile perché troppo oppositivo e troppo di sinistra? E non perché, come credo, manca assolutamente di un punto di vista, di una concezione autonoma, di un sistema di valori alternativi, della coerenza di un progetto materiale e sociale basato sul conflitto di classe, sui beni comuni, sulla pace, sull'antirazzismo? Disegnando se stessi, contro l'abattimento della Costituzione, come i nuovi partigiani della democrazia costituzionale? Basta leggere gli articoli sul Corriere della Sera di ieri del professor Inchino e di Battista.

E' impressionante soprattutto l'articolato ragionamento di Ichino che sostiene, sostanzialmente, che dagli anni Cinquanta ad oggi, in tutti i grandi snodi della complessa vicenda sindacale, la Cisl ha sempre avuto ragione nei confronti della Cgil, concludendo, ovviamente, che «avevano ragione Cisl e Uil quando hanno firmato gli accordi alla Fiat di Pomigliano e di Mirafiori, se è vero che ora alla Bertone di Grugliasco anche i rappresentanti della Fiom hanno dato l'indicazione di votare sì sullo stesso piano industriale per evitare la chiusura dello stabilimento». Mi pare abbia ragione Ferrero quando scrive che, in definitiva, ciò assolutizza il «libero di spiegarsi dell'iniziativa manageriale che diviene, così, la condizione del successo dell'impresa che, a sua volta, è la premessa per il mantenimento dei posti di lavoro».

La costruzione del nuovo movimento operaio contemporaneo, nella concezione liberaldemocratica, finirebbe con il portare alla rottura della dignità costituzionale del lavoro dentro lo stesso rapporto di lavoro. Su un solo punto concordo con Inchino e Battista, ovviamente da sinistra: non è più tempo di piccolo cabotaggio. Per avere, infatti, la credibilità di un'alternativa occorre mutare radicalmente rotta. Dopo anni di devastazione culturale, di revisionismo storico ed istituzionale, il Paese vive oggi la crisi drammatica del costituzionalismo democratico. Annega nell'immoralità populista il governo. Ma giunge anche oggettivamente al capolinea la Seconda Repubblica.

Occorrono, allora, "pensieri lunghi"; e il ripensamento autocritico di tanta parte della sinistra che ha generato la Seconda Repubblica. Il problema non è il ritorno alla Prima Repubblica, ma l'impegno primario per il superamento del bipolarismo maggioritario, corazza istituzionale che ingabbia il conflitto, lo separa dalla politica (rendendola mera amministrazione del potere), inibisce la possibilità stessa di una progettualità alternativa. Nel bipolarismo maggioritario, infatti, la credibilità finisce con il consistere nell'occupazione del "centro", nell'appiattimento programmatico sulle esigenze confindustriali, patriarcali, razziste di Stato. Esso, tra l'altro, impedisce la necessità della ricostruzione di uno schieramento alternativo e plurale e rende più difficile l'ineludibile fondazione di un polo delle sinistre autonomo, indipendente dal Pd. E' questo anche il fondamento della Federazione della Sinistra.

Chi, anche a sinistra, continua, con una irragionevole coazione a ripetere, a ritenere che l'alternativa si fonda sul sistema bipolare maggioritario, sulla "democrazia governante", sul presidenzialismo, pensa, nei fatti, ad un futuro sistema politico che esclude la rappresentanza dell'anticapitalismo sociale e politico. Pezzi di sinistra alternativa possono essere cooptate solo se passano attraverso l'omologazione centrista. Omologazione da un lato, desertificazione dall'altro. Sarebbe un disastroso continuismo. Le sinistre non possono che ripartire da temi chiari, netti, discriminanti. Altrimenti il tramonto del berlusconismo vedrà l'espansione del gattopardismo trasformista o il rafforzamento dell'antipolitica intesa non come critica del potere, ma come alienazione di massa di un popolo sempre più muto, passivo, rancoroso.

di Giovanni Russo Spena

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