Portavano cibo. Medicine, vestiario. Aiuti umanitari. Portavano materiale utile a chi, bloccato nella propria terra, nell’indifferenza dei grandi e nell’impotenza dei piccoli, paga il fatto di essere nato dalla parte sfortunata del mondo: quella palestinese. Portavano una lezione di disobbedienza civile e morale; quella che, giustamente, si chiama solidarietà internazionale. Sì, internazionale, perché da tanti paesi provenivano i missionari laici della solidarietà. Soprattutto, sfidavano il blocco di Gaza, quello per il quale i legittimi proprietari di una terra da sempre loro, ne diventano i prigionieri.
E internazionali erano le acque dove la nave turca è stata assaltata. Circondandola prima e andando all’arrembaggio subito dopo, aprendo il fuoco di fronte alle proteste e alla reazione di chi non era disposto a subìre l’ennesima prepotenza. L'associazione turca IHH (Insani Yardim Vakfi), l'European Campaign to End the Siege on Gaza (ECESG),
Caschi e giubbotti antiproiettili, visori notturni, mitra, gas e pistole erano invece il dispositivo ideologico degli assaltanti. Aiutare i reclusi era un affronto intollerabile, devono aver deciso a Tel Aviv. Che andava lavato col sangue. E col sangue di diciannove civili è stato lavato. Alla strage hanno aggiunto le bugie, perché l’odio, per forte che sia, ha bisogno della propaganda per essere diffuso sotto le mentite spoglie delle politiche di difesa. Hanno raccontato, da Tel Aviv, di resistenza dei passeggeri pacifisti a colpi d’arma da fuoco. Ma le immagini hanno mostrato più di un racconto, meglio di un film, peggio di quanto ci si poteva immaginare.
La reazione internazionale c’è stata; non sono risultate credibili le bugie di Tel Aviv. Abu Mazen ha decretato tre giorni di lutto nei Territori palestinesi. Il governo turco ha protestato duramente, definendo l’assalto israeliano agli inermi come “terrorismo di Stato”. Martedì, si richiesta di Ankara, si riunirà
Gli ambasciatori dell'Unione Europea s’incontreranno a Bruxelles, in via straordinaria, per discutere della crisi. Il ministro degli Esteri francesi, Kouchner, si è detto “profondamente sconvolto” dall'azione israeliana.
C’è davvero poco da verificare, se non l’esattezza della contabilità del dolore e del sangue. Dieci, diciannove o ventisei che siano le vittime cambia poco. L’assalto israeliano alla nave pacifista è stato un atto di guerra premeditata contro civili inermi. Non c’era nessun altro messaggio nell’azione se non quello d’installare il terrore in chi vi partecipava; un monito per ora e per il futuro. Gaza è bloccata e tale deve rimanere.
Chi annacqua il dolore in salomoniche distinzioni, chi sparge stupore per la violenza israeliana, vive o finge di vivere sulla luna. Sparare sui civili é consuetudine israeliana. Da sempre - e in particolare in questi ultimi trent’anni - da Sabra e Chatila in poi, passando per l’Intifada, seguendo con le eliminazioni mirate e con le operazioni militari stile “Piombo fuso”, Israele considera la striscia di Gaza (ma più in generale il Medio Oriente) un solo immenso poligono di tiro e i suoi abitanti carne da macello da utilizzare nello scacchiere regionale ed internazionale, per ribadire l’indisponibilità assoluta di Israele a stare dentro le regole del diritto internazionale. Di questo si tratta.
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